Si abolisce il carcere, si mette il bavaglio

giovedì 8 gennaio 2015


Abolita la reclusione in carcere per i giornalisti per il reato di diffamazione. Messa così sembrerebbe una notizia di cui gioire. Ma i primi dubbi emergono appena si cerca di approfondire un po’. Come si suol dire, dalla padella alla brace… viene abolito sì il carcere, ma a che prezzo? Lo scotto sembra un po’ troppo alto, quello del bavaglio al giornalismo…

L’atto 925-B, quello relativo alla legge sulla diffamazione, incombe alla Camera, a seguito dell’approvazione in Senato. Se verrà licenziato senza emendamenti diverrà legge. Un atto iniquo che sembra però aver messo tutti d’accordo. Tutti d’accordo contro i giornalisti. In base alla normativa infatti la rettifica del presunto diffamato deve avvenire, per ogni mezzo stampa – dai quotidiani alle testate online ai notiziari televisivi – entro 48 ore e senza alcuna annotazione, senza alcun commento. Un tempo così risicato da non consentire nemmeno alcun accertamento sulla fondatezza della richiesta. E i casi di richieste infondate o pretestuose non sono poi così rari… Nessun diritto di replica per il giornalista o direttore della testata. Una decisione ai limiti dell’incredibile, oltre che della costituzionalità. Come se non bastasse ci sono le multe salatissime da dover pagare, questa volta in senso letterale: le somme ammontano a 10mila euro in caso di diffamazione commessa in “buona fede”.

Qualora l’azione fosse stata messa in atto invece intenzionalmente (non è dato sapere chi sarà l’organo giudicante in materia!?!) la cifra oscillerà tra i 10mila e i 50mila euro. Somme non da capogiro, ma in tempi di magra come questi, in cui già l’editoria arranca faticosamente, si tratta di cifre che rischiano di mettere in ginocchio una testata. Come era prevedibile tutto il mondo dell’informazione è (giustamente) in subbuglio. Articolo 21 intanto ha promosso un appello sul sito www.nodiffamazione.it che già conta numerose firme tra le quali quelle di Rodotà, Iacopino, Gabanelli, Annunziata…

Se la legge dovesse passare così come è adesso, il bavaglio sembra essere più che una possibilità, una certezza. L’abolizione della reclusione per i giornalisti per il reato di diffamazione sembrava essere un passo avanti verso una società più pluralistica e democratica che avrebbe dovuto liberare l’informazione dal rischio di sanzioni sproporzionate per una maggiore tutela dei diritti fondamentali di cronaca e di critica. Ma dietro questa legge si cela di fatto il desiderio di mettere a tacere coloro che fanno informazione, talvolta “scomodi”, ma certamente essenziali per offrire ai cittadini una visione, a volte a tinte fosche, ma sicuramente più completa della realtà che li circonda. Il bavaglio alla stampa è un mezzo cui si è ricorso durante le dittature e i regimi autoritari per mettere a tacere i dissidenti e i sovversivi, durante il nazismo in Germania o il fascismo in Italia.

Periodi tanto “bui” sono fortunatamente alle nostre spalle, ma l’insegnamento che è stato tratto da queste esperienze dovrebbe essere ancora ben vivo nelle nostre menti per non consentirci di ripetere gli stessi errori.


di Elena D’Alessandri