mercoledì 24 dicembre 2014
L’orazione funebre di Roma Capitale. Amici, Romani, concittadini, prestatemi ascolto. Voi volete seppellire Roma? Il male che gli uomini fanno vive oltre di loro; il bene sovente rimane sepolto con le loro ossa; e così sia di Marino. I nobili giornalistelli pagati dalla sinistra, i cantanti, i cineasti, le loro mogli e compagne, i somari intellettuali del regime rosso, i nuovi parvenus della politica romana hanno votato Marino Sindaco di Roma Capitale.
Tutti uomini d’onore, perché Marino è uomo d’onore; così come sono tutti uomini d’onore quelli che ora lo circondano anche se al tempo non l’hanno votato. Marino diceva che Alemanno ha distrutto Roma, la sua gestione è stata un disastro e Marino è uomo d’onore. Quando i poveri, gli indifesi, gli oppressi di ogni patria hanno pianto, Marino ha lacrimato: l’ambizione, l’inettitudine dovrebbe essere fatta di più rude stoffa, ma molti sostengono ora che Marino è ambizioso ed inetto. Non parlo, no, per smentire ciò che Marino dice, ma qui io sono per dire ciò che io so. Molti lo hanno votato una volta, né senza ragione. Ricordate Ignazio Marino, medico, appena indicato da 50.000 iscritti al P.D., ha alzato il vessillo del pressappoco, del difensore della porta accanto, del consolatore dei dolori della gente comune, del sacerdote laico dei problemi che affliggono le persone indifese, delle soluzioni impossibili e, quindi, inattuabili.
“Un risultato straordinario, grazie a tutti” ha lanciato di getto. “Mi assumo una grande responsabilità, adesso pensiamo tutti insieme ad arrivare al governo della città: bisogna liberare il Comune dalla politica oscura di questi anni. Noi cambieremo tutto”. Ricordate Ignazio Marino e la direttora dell’Unità Concita De Gregorio nella sfida all’Okey Corral, nel leggendario regno di Ballarò, un vero ricovero per cavalli azzoppati (corral vuol dire ricovero per cavalli). Lui docente universitario di chirurgia dei trapianti, Lei passata dal quotidiano “La Repubblica” a capo dell’Unità, pensionando il bravo Antonio Padellaro, che ha fondato il “Fatto Quotidiano”, tanto per chiarire. Una gara senza esclusione di colpi a chi la dice più grossa, una competizione senza scatto alla risposta.
I loro interventi a Ballarò hanno lasciato di stucco milioni di telespettatori. Una corsa a chi la spara più stupida, grande fantasia, capacità di racconto senza eguali, una gara entusiasmante piena di colpi di scena. Peccato che Pingitore non si sia accorto di loro, avrebbe potuto riempire il Salone Margherita per un anno. Risate a crepa pelle, boutade di ogni genere, sganasciate ai limiti della rottura della mandibola. Frasi che lasciano il segno: non comprate i cannoni, comprate i fiori; la cultura è importante, privare qualcuno della cultura è privarlo della vita; il bene è il bene, il male è il male; indignarsi è segno di sensibilità. Il giorno è giorno, la notte è notte; il giorno è diverso dalla notte, la notte è diversa dal giorno.
E sì, scende la notte su Ballarò, la trasmissione più amata dagli italiani. Floris dorme non si è accorto che il tempo a disposizione è scaduto. Concita sguaiatamente sdraiata pensa al futuro e piange, piange per l’Italia ormai giunta al baratro, piange per il futuro che non c’è. Marino tenta l’affondo in scivolata: è meglio avere i soldi che non averli; bisogna dare soldi alla ricerca, all’università, alla scuola, alla famiglia, alle forze armate, ai poliziotti, alle casalinghe, ai lavoratori, agli imprenditori, agli agricoltori, insomma a tutti; più generosità, più diritti per tutti, più, sempre di più.
I due sfidanti non si preoccupano delle sacche di sprechi impressionanti nella Pubblica Amministrazione: sanità, difesa, pubblica istruzione, università, industria, commercio, turismo, comunicazione. Ci raccontano dei tagli orizzontali, delle mamme che comprano la carta igienica per la scuola, che il vecchio armadio viene dipinto a nuovo, con la vernice acquistata dai genitori. Scempio del denaro pubblico, di opere iniziate e mai ultimate, dopo che l’appaltatore ha incassato il malloppo; false imprese costruite nel Sud, con finti lavoratori che ricevono uno stipendio per contemplare le stelle. Montagne di euro sperperate dai clienti dei partiti. Regioni, province, comuni, società partecipate che lamentano i danni subiti, minacciando di chiudere i servizi sociali, mentre per altre vie ingrassano consulenti, associazioni, fondazioni amiche. Inventano lavori ed opere inutili, innaffiano consorzi, cooperative, comitati, centri di formazione professionale, elargendo somme ai sindacati di ogni ordine e grado.
Onestamente di Marino possiamo sostenere che è uno dei sedicenti protagonisti della politica del bel Paese, profeti del bene comune, portatori sani del morbo dell’ignoranza, pensatori errabondi nel loro percorso di martirio nei luoghi del debito sovrano, di redenzione dal peccato del deficit di bilancio, di salvezza con il patto di stabilità. Personaggi che svolazzano qua e là, percorrono le incerte vie della azione di risanamento ora mestamente ora a rasoiate, cambiando forma ondulare, mentre corrono di lato resecando l’area della opaca economia italiana, alacre e inutilmente mercuriale, senza un’origine e senza una meta, ma furiosamente veloci a cambiare opinione.
Una legittima aspirazione a non lasciarsi imprigionare in un ruolo tipico definito, ma provarli tutti ora copiando il ruolo di ruvidi contabili, ora assumendo le vesti di spericolati riformisti, ora affabulando gli ingenui, ora tramando imitando la finanza creativa, ora gratuitamente delegittimando gli stessi compagni di cordata, vibrando calunniose accuse, improvvidi ammonimenti, penose indicazioni, con la golosità dei ragazzi prodigio cresciuti tra dispute di cortile e vili metodi dialettici.
Marino appartiene a pieno titolo a quei dirigenti di partito con spiccata vocazione al suggerimento, alla lottizzazione della chiacchiera, a trame di palazzo, a dispute lontane dalla realtà. Specchiati esempi di finto candore verbale devastano il mondo della praxis, del fare intelligente. Corrompono il consenso degli spiriti gentili, procurano l’aborto dei valori alti della scienza, della concretezza dell’agire, della necessità del risultato. Richiami al bene comune, alla difesa dei molti affondano lungo i sentieri perniciosi degli interessi di pochi. Campeggiano tra una intervista e una dichiarazione fulminante i devoti cantori della difesa dei superiori valori del popolo italiano. Marino è uno di questi. La fotocopia di un rituale antico volto ad inquinare il volto solare della verità logica e della verità empirica. O senno, tu sei fuggito nella pochezza di Marino, nella illusione di una città migliore, fatta di promesse e di sperpero di pubblico denaro come è avvenuto per 40 anni a Roma con le Giunte di destra e di sinistra e gli uomini hanno perduto la ragione. A Roma viene fatto gran torto. Pur ieri la parola di Roma avrebbe potuto opporsi al mondo intero: ora giace qui con Marino vincitore al primo turno delle elezioni per il Sindaco di Roma, poi Sindaco ed ora il risanatore della Città Eterna. Un tempo si diceva vieni avanti Marino, proprio per non farlo venire.
Ma adesso non possiamo più dire vieni avanti Marino, perché è già avanti e Roma corre il pericolo di morire. Tutti avete conosciuto questa Roma che non Vi piace, ma quella di oggi con sindaco Marino trapasserà con un pugnale il cuore di Roma, che sarà trafitta. Il sangue di Roma si precipiterà fuori della vostre case; rudemente la orazione funebre busserà per annunciarvi che non potrete più risorgere. Dimettiti Marino.
di Carlo Priolo