Jobs act e non solo, ne parla Ferradini

martedì 2 dicembre 2014


Per capire meglio la validità del Jobs act, da poco approvato alla Camera dei deputati in prima lettura, abbiamo intervistato Guido Ferradini, avvocato fiorentino, con “una insana passione per la politica”, sostenitore dalla primissima ora dell’attuale Governo Renzi ed ex presidente dell'associazione Officine Democratiche.

“Il Governo rischia il flop sul Jobs Act” per dirla come ha detto qualche noto commentatore politico?

“Per ora non sono in grado di dirlo, la delega è molto generica. Dovremo vedere i decreti. Intanto mi sembra di intravedere una iniezione di forte flessibilità in uscita, sotto gli aspetti del licenziamento. Ci risentiamo quando avrò letto i decreti che si dice saranno presentati entro dicembre e sarò più preciso. Ma, a prima vista, a me preoccupa il fatto che se per anni è stata sostenuta la flessibilità perché funzionale ad una crescita dell'occupazione i dati empirici dicono il contrario. Un’impressione confermata dai dati Istat di questi giorni”.

Un esempio?

“Il mercato del lavoro fino al 2012 è stato considerato sempre molto rigido (anche se lo era meno di quanto ci dicono) fino a quando con la riforma Fornero si è puntato di più sulla flessibilità. Allora mi domando: dopo la Fornero c’è stata una crescita dell’occupazione?”.

No, dunque?

“L’occupazione non dipende dalla flessibilità ma da altri fattori, come gli investimenti privati e pubblici, dipende da misure strutturali, da vere politiche industriali e, naturalmente, dai tagli della pressione fiscale”.

Quindi?

“Quindi, non esprimo giudizi critici finché non vedrò i decreti attuativi. Parlare di Jobs act significa parlare di una materia terribilmente tecnica e anche una sola parola o un numero in più hanno un peso rilevantissimo. Il giudizio, positivo o negativo, dipenderà dai particolari. Ad una prima lettura dico che si tratta di una riforma sicuramente pro business”.

Esiste il rischio di andare in conflitto con le norme europee, come sostiene il sindacato?

“Difficile dirlo. Certo è che l'introduzione delle tutele progressive comporta una differenziazione in base all'età di impiego. E in passato l'età è stata ritenuta un fattore discriminatorio. Anche se la Corte UE si riferiva all'età anagrafica, e non a quella relativa l’assunzione”.

Cambiamo discorso: il risultato delle elezioni in Emilia Romagna, o in Emilia Calabria, scrive Camillo Langone, visto il considerevole numero di astensioni al voto come accade spesso al Sud Italia.

“Le chiavi di lettura sono moltissime: gli scandali della regione Emilia hanno pesato e pesa anche la disaffezione dell’elettorato verso la classe politica”.

Possibile che sia stato anche un riflesso dello specchio della politica renziana?

“No. Credo che il problema non sia Renzi, ma la delusione verso la politica e naturalmente anche verso i sindacati”.

I "no" e l’uscita dall'aula dei “dissidenti Pd”.

“Ci sono alcuni che votano semplicemente per partito preso contro Renzi e il fatto che siano usciti fuori dell’Aula è un ulteriore segnale che la classe dirigente offre al nostro Paese: uscire dall'Aula parlamentare è inutile, se si è contro si è contro, se invece si è a favore si è a favore, ma si resta. E si vota. Un'azione che non capisco”.

Gesti di spettacolarizzazione, di attrazione mediale, piuttosto che un’azione politica

“Questo gesto lo pagheranno pesantemente in termini di consenso. La minoranza - specie quella della sinistra tradizionale - non è più credibile. E Renzi ha ragione quando dice che vince chi vota. È il principio della Juventus degli anni ‘70: magari giocavano un po’ male ma intanto vincevano e ora sull'Albo delle figurine troviamo una Juve con tanti scudetti da mostrare; dunque, ripeto, è importante giocare, affaticarsi, sporcarsi, e non uscire dal campo”.

Approfitto della metafora calcistica: a me sembra che Renzi faccia bei dribbling, tunnel e rovesciate (con le parole), eppure non riesce a far goal. Per lei quale goal ha fatto Renzi?

“Il Jobs act. Politicamente un goal straordinario, di una difficoltà impressionante. Come quello di Van Basten alla Russia. Rimane comunque il dubbio che attualmente questo tipo di politica del lavoro sia adatta all'Italia in questo frangente storico e politico. Ma di lavoro faccio l’avvocato, non l’economista”.


di Costantino Pistilli