giovedì 6 novembre 2014
Lo scontro verbale che ha opposto il premier Matteo Renzi al neo insediato presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, non è robetta. Al contrario, è questione serissima. Dietro la spavalderia del Presidente del Consiglio si cela la paura che Bruxelles, nella valutazione dei nostri conti pubblici, non gli consenta, in aggiunta ai seppur minimi margini di manovra già concessi, ulteriore agibilità nella gestione delle risorse finanziarie straordinarie, promesse dallo stesso Juncker per rilanciare l’economia interna dell’Unione. Renzi e il suo governo sono aggrappati a quell’esile filo di speranza per salvare la situazione. Ma per rimettere in linea il paese, spiace dirlo, il giovane e poco esperto premier è sulla strada sbagliata. Ha giocato la carta della polemica con Junker per far sapere in giro che l’Italia non è piegata alle logiche della “eurocrazia”.
E’ una mossa a effetto che paga dal punto di vista mediatico ma non sposta di una virgola la realtà dei rapporti di forza esistenti oggi in Europa. Ha sbagliato bersaglio. Con altri avrebbe dovuto prendersela, non con Junker. Del perché glielo ha spiegato lo stesso interessato. La nuova Commissione, nelle intenzioni del suo capo, aspira a svolgere un ruolo più propriamente politico. Ciò significa che cambiano i criteri di valutazione dei conti pubblici dei singoli Stati membri. Non una visione strettamente ragionieristica, alla maniera di Barroso, ma una lettura che sappia tenere conto del contesto. Junker glielo ha sbattuto in faccia: caro Renzi se non fossimo stati mentalmente aperti, col cavolo che ti facevamo passare i conti che ci hai portato. Siamo alle solite. Si fa casino a valle quando il problema è a monte. La verità è che ci si è infilati in un cul-de-sac mortale. Non è con gli zero-virgola che si rimette in moto il paese.
Lo si fa, se lo si vuole davvero, mettendo mano alle regole d’impianto che ordinano il processo d’integrazione comunitaria. Il che vuol dire andare a scontrarsi a muso duro con il dominus incontrastato di questa stagione della politica europea: la Germania della signora Merkel. Renzi è in grado di alzare il livello del confronto tanto in alto? Sa bene, il nostro premier, che di questo passo, senza modifiche sostanziali alle politiche comunitarie, l’Italia va a sbattere. La crisi ha avuto un impatto devastante sulla nostra economia. E dura da troppo tempo. Il rimedio, imposto da Bruxelles in questi anni di inarrestabile contrazione produttiva, è stato peggiore del male che intendeva curare.
Le politiche di austerity hanno accelerato la scomparsa degli investimenti dal territorio italiano e, contestualmente, hanno provocato l’espulsione di un numero impressionante di risorse umane dal mercato del lavoro. C’è una parte d’Italia che è finita per strada. La chiamano nuova povertà. L’incapacità di fronteggiare adeguatamente la concorrenza delle potenze economiche emergenti insieme all’immobilismo della politica nazionale nel mettere mano alle riforme strutturali, hanno fatto il resto. Renzi ha compreso che, di questo passo, il paese verrà commissariato dagli organismi monetari internazionali.
Come la Grecia. A quel punto si provvederà dall'alto a sistemare le molte cose che il ceto politico non è stato in grado di risolvere per evidenti ragioni di conservazione del consenso. A cominciare da una seria sforbiciata all’organico della pubblica amministrazione. E’ la prima voce di costo che verrà aggredita dai curatori fallimentari mandati dal nord per ridimensionare lo stock di debito pubblico giunto a dimensioni stellari. Se dovesse inverarsi un simile scenario non si può escludere che la rottura sociale, finora fortunosamente evitata, possa avvenire nelle forme più traumatiche. Ha iniziato a pensarlo anche l’inquilino del Colle che qualche informazione in più si pensa che l’abbia. Prima che tutto ciò accada anche l’europeista Renzi potrebbe essere costretto a prendere in considerazione una qualche forma di sganciamento dell’Italia dalle maglie strette del sistema Ue, partendo dal meccanismo della moneta unica. Per il match con la Merkel lui aveva puntato sull’appoggio di François Hollande.
Le cattive condizioni economiche in cui versa la Francia hanno fatto supporre al nostro premier che avrebbe trovato una sponda forte sulle rive della Senna. Si sbagliava di grosso. Hollande sta giocando in Europa tutt’altra partita e non ha alcuna voglia di andarsi a impiccare al progetto renziano. La strada della rinegoziazione delle regole europee, dunque, potrebbe essere l’unica praticabile per evitare di finire nel precipizio. Il sentiero è stretto e Renzi saprà affrontarlo? Abbiamo molti dubbi che vi riesca. E questo non per essere gufi, ma per il nostro pessimo difetto di guardare in faccia la realtà.
di Cristofaro Sola