venerdì 17 ottobre 2014
Due tegole, anche pesanti, stanno per cadere dal tetto del settimo piano di viale Mazzini. Il Consiglio di amministrazione dovrà sciogliere le riserve sulla quotazione di Raiway e sul Contratto di servizio che scade nel 2016. Annamaria Tarantola con Marco Pinto, nominato dal Tesoro, con i 4 indicati dal Pdl-Lega nord (Antonio Verro, Antonio Pilati, Luisa Todini, Guglielmo Rositani), l’Udc Rodolfo De Laurentis, i due sponsorizzati dal Pd (Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi) non hanno molto tempo a disposizione. Eletti il 5 luglio del 2012, avranno davanti altri otto mesi per portare avanti la “rivoluzione” indicata dal direttore generale Luigi Gubitosi.
Nessuno crede, però, che sia possibile perché le altre due questioni sono prioritarie. Si tratta di incassare almeno 400 milioni dalla vendita del 30-40 per cento delle azioni dell’azienda delle torri dopo l’ultimatum del Premier Matteo Renzi sul contributo della Rai alla riduzione della spesa pubblica per 150 milioni. Il secondo punto riguarda il futuro sul quale spinge a fare chiarezza e presto il presidente della Commissione parlamentare di vigilanza, Roberto Fico (M5S). Sono questioni di fondo per l’azienda del servizio pubblico. Non può eluderle come sta facendo per i costi di alcune trasmissioni e non ottemperando alle disposizioni di legge sulla separazione della contabilità per i programmi pagati con il solo canone e quelli con pubblicità. La richiesta di quotazione di Raiway è stata depositata alla Consob il 10 settembre come atto della spending review che faceva seguito al taglio di 150 milioni di fondi derivanti dalle competenze del canone di abbonamento e deciso in aprile dal Governo.
All’apertura di Prix Italia, a Torino, la presidente Annamaria Tarantola aveva dichiarato il 22 settembre che l’operazione Raiway era in corso anche se “complessa e delicata” e che avrebbe potuto essere portata in porto entro la fine dell’anno. L’ottimismo dell’ex vicedirettore generale della Banca d’Italia è stato smorzato da tutti i sindacati Rai (confederali e autonomi), che hanno inviato una raffica di lettere a tutte le parti a vario titolo coinvolte nella cessione di una parte di Raiway (Consiglio dei ministri, Commissione di vigilanza, Corte dei Conti, Consob, Norsa, AgCom), denunciando presunte irregolarità dell’operazione. La denuncia nasce dalla preoccupazione che una “preziosa infrastruttura pubblica, strumento che garantisce l’emissione della tv e della radio di Stato, utilizzata anche dalle forze dell’ordine e dal Viminale, possa uscire dall’effettivo controllo pubblico”.
Un progetto, osservano i sindacati “realizzato in tutta fretta che presenta espliciti contrasti con le norme di legge vigenti”. L’altro aspetto collegato è quello degli effetti che potrebbe produrre sulla concessione di servizio pubblico, che deve essere definito entro il 2016 per l’assetto industriale della più grande azienda culturale del Paese e per la questione occupazionale. La denuncia avrebbe stoppato la valutazione di legittimità da parte della Consob, che sta prendendo più tempo sulla quotazione in Borsa di Raiway. E sul contratto di servizio si registra anche un intenso epistolario tra il presidente della Commissione Fico e la Tarantola, dal quale si evince che il primo sollecita la firma e la seconda si trincera dietro il ritardo dello specifico parere degli organi consultivi più volte sollecitato. Gli addetti alle segrete cose di viale Mazzini osservano che il Cda sarebbe propenso ad un congelamento del contratto di servizio; in attesa di conoscere l’eventuale disegno di legge che il sottosegretario Antonello Giacomelli starebbe preparando su indicazioni di Palazzo Chigi riguardante il canone, e frequenze e la governance Rai. Perché tutti vogliono le torri di Stato e quanto valgono?
Raiway è la società che possiede le torri di trasmissione, un patrimonio di know-how e infrastrutture che rendono possibile che il segnale radio o tv arrivi nelle case degli italiani. E’ lo strumento che si è occupato della conversione al digitale terrestre dall’analogico. L’allora ministro Maurizio Gasparri disse no all’offerta di acquisto da parte dell’americana Crown Castle per 724 miliardi di lire per il 49 per cento del totale. Era il 2001. Oggi, secondo la stima effettuata da Banca Imi, responsabile dell’offerta pubblica, il valore sul mercato fluttua tra i 940 milioni e il miliardo e 200 milioni di euro. I soggetti interessati sono potenzialmente una lunga fila.
di Sergio Menicucci