Se poi i pentastellati sono tutti di destra

mercoledì 15 ottobre 2014


La kermesse del Circo Massimo dei 50mila, oppure 200mila oppure 500mila grillini ha dimostrato la vitalità del Movimento 5 Stelle, anche dal punto di vista economico. Se i Rolling Stones per il celebre emiciclo romano avevano pagato solo 7mila euro, Grillo ed i suoi dall’evento “Italia 5 stelle” hanno raccolto fondi per ca 100mila euro. E avevano preventivato un importo 5 volte superiore.

Dunque, Grillo (e Casaleggio) dati negli ultimi mesi per scomparsi, hanno superato il test di sopravvivenza, guadagnandosi il diritto a restare nel reality. Hanno anche mostrato di non essere soli, tra i 177 gazebo, dando un ruolo da coprotagonista a Di Maio e Di Battista, ai sindaci di Bagheria e Livorno Cinque e Nogarin (ma non al sindaco parmense Pizzarotti, definito bruscamente Capitan Pizza). Travaglio, che tra i vip è il maggior fan di Grillo, ha comunque definito l’evento dei 3 giorni un “Circo Minimo”. Dopo tre comizi del comico fondatore, il grande popolo intervenuto ed il grande numero dei milioni votanti non hanno ascoltato quanto sperato, cioè sostanziali novità di strategia e di tattica sul futuro del M5S. La presentazione di un eventuale governo ombra, adombrata dal titolo dell’intervento del vicepresidente Di Maio, è stata subito cassata, di fronte alla prevedibile e micidiale triangolazione tra esterno ed interno del movimento con la stampa. Così, alla fine non è restato che sprofondare nella negazione (fuori dal parlamento e fuori dall’euro) e nella negatività, augurando al Paese una rapida selfdestruction grazie all’operato di Renzi.

Lunedì è però un altro giorno ordinario, magari della solita follia straniante italiota. A Genova non si potrà andare, data la situazione ancora drammatica e la richiesta di dimissioni al sindaco Pd doriano dovrà attendere forse una settimana, quando il clamore generale si sarà sopito. In Parlamento, malgrado l’incastro di arbitri e regolamenti contrari, faziosi censori, bisognerà tornare, a meno di non voler proprio regalare il campo a Renzi e Pd. Un referendum sull’uscita dall’euro, ovviamente consultivo, era stato già pensato dalla Lega in primavera senza farne poi nulla, dato che sui trattati internazionali non sono ammesse consultazioni referendarie (e che l’unica che venne fatta fu ammessa ad hoc da una riforma costituzionale valida una tantum, fondata su un’ampia maggioranza parlamentare). Cosa resta allora della tregiorni M5S? Qualcosa resta.

Per esempio la dimostrazione di capacità di autofinanziamento. Sono stati usati parte dei 436mila raccolti per le euroelezioni ma sono stati incassati parecchi soldi dai gazebo, pagati dai gruppi locali. Resta poi la prova che il tesseramento non ha bisogno di sezioni. Oggi il M5S ha gli stessi iscritti, ca. 150mila, del PD. La cosa più importante però che si respira, sospesa, sopra le antiche aree romane è l’evidente, amaro e necessario, sapore che i fondatori pentastellati, non da ora cercano di nascondere: un’anima di destra. Di Battista, che sembra esprimere, meglio degli altri, la pancia del movimento, si dilunga in un certo antiamericanismo, in una certa difesa della realpolitik, in un certo indipendentismo legittimante anche i dittatori, dalla Russia, alla Libia, alla Siria, al punto da far pensare alle posizioni forziste. La sfida lanciata apertis verbis alla Lega e soprattutto a Brunetta, proprio a lui, sul piano delle azioni comuni contro l’attuale Europa, si intreccia con una naturale ostilità al pensiero unico politico corretto, al suo strumento, i media ed ai suoi guru, i radicalchic sinistri. Forse nella Roma dell’odiato Marino, nell’epoca del Pd pigliatutto, uno spostamento a destra è inevitabile. Non sembra un caso però che i Nogarin abbiano un passato tutto antiPci, coltivato anche in una militanza forzista e che i tentativi di collaborare con il Pd siano il motivo che rende impopolare Pizzarotti.

Il fatto è che Berlusconi, come appare dalle sue stesse dichiarazioni, è in sordina e con lui scompaiono lo psiconano ed i bordelli. Affiora invece, con tanto di richiamo all’Esercito, la convergenza con la destra sull’immigrazione e sulla liberazione di partite Iva e piccole imprese dalla burocrazia. L’impianto di fondo, una piattaforma comunitaria di destra, miracolista e tecnocratica, minaccia eletti e leader. Gli eletti, tranne pochi casi, si considerano opposizione di sinistra alla falsa sinistra Pd. Nei fatti invece fanno un’opposizione di destra, non a caso simile a quella di Lega e FdI, alla destra moderata renziana. Sui giovani deputati pesa una lunga deformazione propagandistica operata dai media e dalle strutture formative che fa coincidere destra con furto e golpismo. Sui Grillo e Casaleggio pesano le storie personali e anagrafiche che non ammettono l’etichetta di destra, che considerano, o meglio sanno considerata, un tutt’uno con dittatura antidemocratica. Per questa ragione in Europa hanno scelto Farage e non la Le Pen. Problema che ebbero ai loro tempi Bossi e Segni. Grillo attacca Napolitano colpevole di avere dato l’Italia a Renzi. Si dice colpevole di non avere contribuito all’elezione di un altro Presidente, che non sarebbe potuto essere altri che Prodi o Rodotà.

Oggi ciascuno dei due sarebbe per Grillo una peggiore jattura di re Giorgio. Infatti, e contraddittoriamente, il comico condanna, in un j’accuse stile Il Borghese, Rodotà, così ambiguo nell’essere barone e movimentista studentesco, piccista e amico americano, occupante e istituzionale. Il M5S, mezzo destro e mezzo sinistro, maggioranza tra i giovani e inesistente tra i vecchi, è al guado. Si è fatto i Vaffa facili, graditi a tanta burocrazia ed all’Europa; quelli difficili, quando il Pd si è fatto centrista. Ora deve decidersi ai Vaffa veramente impossibili, di condanna e rilettura del paese postbellico, della subalternità all’Europa come all’America, del moralismo e legalismo politicamente indirizzato. Al Circo se ne è vista l’anima. L’animo è però altra cosa.


di Giuseppe Mele