Il “no” europeo all’Italia di Renzi

sabato 19 luglio 2014


Il vertice europeo dello scorso mercoledì, nel quale si sarebbe dovuto completare l’organigramma della Commissione dopo la scelta di Jean Claude Juncker a presidente, si è concluso con un nulla di fatto. Matteo Renzi pensava di capitalizzare il brillante risultato elettorale per imporre la sua volontà anche tra i muri di gomma di Bruxelles. Così non è stato e, in compenso, ha rimediato una legnata di quelle che fanno male.

Il primo ministro italiano ha partecipato alla riunione con il fermo intento di sostenere la candidatura di Federica Mogherini alla carica di alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza della Ue. Gli è stato spiegato, nelle forme appropriate, che la sua proposta non avrebbe raccolto il consenso necessario tra i ventotto Paesi membri. Dopo l’idiozia di una Mogherini filorussa, a Renzi è stata detta la verità. A giudizio degli europei lei non sarebbe all’altezza del compito, perché inesperta. Renzi ha commesso un errore grave nel proporla e ciò denota tutta la sua impreparazione sul fronte della politica estera.

Egli ha messo il Paese in una situazione imbarazzante anche per il fatto che è in corso il semestre di turno della presidenza italiana della Ue. Dopo la sua mossa avventata, ci chiediamo, con quale credibilità, posto che l’avesse prima, il ministro Mogherini andrà in giro a rappresentare chi? A dire cosa? Sarà agli occhi del mondo la ragazza inesperta che i soci della Ue non hanno voluto.

Ma davvero Renzi pensava che quelli di Bruxelles avessero la medesima scaltrezza e l’uguale acume politico del suo collega di coalizione, Angelino Alfano? Tuttavia, di là dalla motivazione che, in via di principio, sarebbe anche fondata, resta il dubbio che il veto alla Mogherini nasconda altro. Cosa?

La sovranità limitata italiana non è circoscritta alle scelte di gestione della finanza pubblica ma si estende alla selezione dei rapprentanti da inviare nella cabina di comando delle istituzioni europee. Non è un caso che, in contemporanea con la bocciatura di fatto della Mogherini, il presidente permanente del Consiglio europeo, il belga Herman Van Rompuy, abbia manifestato un gradimento per Enrico Letta come suo successore alla guida del Consiglio. È anche trapelato che l’eventuale candidatura di Letta raccoglierebbe consensi bipartisan.

In realtà, le vecchie volpi hanno fatto capire al giovane primo ministro italiano che Bruxelles non è Roma. Ci sono delle regole non scritte da rispettare. Non è sufficiente aver raccolto un po’ di voti a casa propria per pretendere di fare il bullo in Europa. La “scelta” per un Paese sotto osservazione non può essere libera, ma deve tenere conto delle risorse umane che si sono formate nelle strutture trasversali di potere, egemoni nella creazione di leadership sovraordiate ai contesti nazionali.

È presumibile che Van Rompuy stia pensando a Enrico Letta non per fare un dispetto a Renzi ma per il fatto che il politico pisano possieda il profilo personale adeguato agli standard europei. Letta è un frequentatore del Bilderberg, l’associazione che riunisce in meeting annuali l’élite planetaria della politica, della comunicazione e della finanza. Pare che sia anche membro della potentissima Commissione trilaterale. Insomma, Enrico Letta è stato plasmato dallo spirito dei circoli del potere politico-finanziario globale. Come nel caso del capo della Banca centrale europea, Mario Draghi, anche Letta lo si prende in considerazione per il curriculum, non per la provenienza geografica.

È quindi probabile che il giovane Renzi dovrà dire addio ai suoi sogni di onnipotenza da “uomo solo al comando” e piegarsi ad avere in Europa un altro connazionale assai scomodo. Per ora la decisione è slittata al prossimo 30 agosto.

Tuttavia, questo rinvio lungo è punitivo per il Governo italiano, ha ragione Romano Prodi. L’intero semestre rischia di passare inosservato perché la nuova Commissione entrerà in partita solo verso la fine del turno di presidenza italiana. Il nostro Governo farà la parte ingloriosa dell’anatra zoppa.

A differenza della sinistra faziosa, noi di questo ennesimo flop internazionale dell’Italia non ce ne compiaciamo, né montiamo macabri spettacolini, alla maniera di certa stampa che conta, come accadeva ai tempi di Belusconi. È una questione di stile. Stile di destra.


di Cristofaro Sola