sabato 19 luglio 2014
Il tema della giustizia in Italia è molto vasto. Lasciando da parte il quesito fondamentale sul se possa davvero esistere la giustizia, dobbiamo attrezzarci per far sì che, a richiesta di giustizia, corrisponda una qualche risposta. Un consesso umano si fonda sulla erogazione della giustizia a tutela di quello in cui crede, cioè su regole che sono percepite come tali da tutti e cui corrispondono procedimenti giudiziali. L’intera macchina dello Stato italiano non è in grado di funzionare se non si avvale di un meccanismo di giustizia capace di dare applicazione alle regole riconosciute come comuni.
Senza fare tanti giri di parole, in Italia la giustizia è obsoleta, vecchia, anacronistica, inefficace. Risponde a criteri del passato, soprattutto a un’idea dello Stato che non può più esistere. Già non esiste oggi con l’Europa e l’Unione europea, ed è dunque destinata ad esistere sempre meno.
Da cinquanta anni a questa parte si è insistito nell’applicazione di un sistema che ha mostrato la propria insufficienza. Sono almeno una trentina d’anni che ci si arrovella sul perché non funzioni la macchina giustizia, non ponendosi il problema di capire che, a fronte di una diversa realtà, sia necessario un diverso tipo di giustizia, multiforme, elastica e diretta, breve e possibile, differente da quella che è.
Ciò vuol dire che il cittadino non tollera più di sapere che, a fronte del proprio diritto, riconosciuto come tale, corrisponde il nulla di fatto, cioè la mancata decisione per quasi tutti gli anni a venire e, forse, per tutti quelli che gli saranno dati da vivere, e capisce che al pagamento delle odiose tasse – le tasse sono odiose e proprio perché vanno ridotte – non corrisponde alcun servizio giustizia, ma solo mal funzionamento, lentezza, danno.
Basta leggere l’evoluzione del sistema giustizia – e della sua erogazione – negli Stati Uniti per rendersi conto che essa è nata come squisitamente privata. Spontaneamente i gruppi si sono dati una regola, alla cui violazione il gruppo rispondeva con un’altra regola spontaneamente data, cioè un giudice – in genere un giudice collegiale – che rispondeva a nome del gruppo alla richiesta di giustizia. Ciò in materia civile come in quella penale perché, in principio, i due ambiti erano tutt’affatto distinti.
Bisogna che in Italia si crei un sistema di giustizia privata misto al pubblico, nel quale quest’ultimo sia sussidiario e residuale. Come riformare allora il sistema di giustizia in Italia? Lo si cambia con l’implementazione delle vie alternative di risoluzione delle controversie sino a farle diventare la via maestra, lasciando alla residualità quello che oggi chiamiamo il giudizio “ordinario”.
Si tratta di incentivare l’esistenza di una sorta di giustizia diffusa. Decine e decine di possibilità di giustizia privata cui possano accedere i confliggenti, e solo un’unica via o procedimento pubblico giudiziale – che da “ordinario” diviene “straordinario” cioè l’eccezione alla regola – per gli sparuti casi che non trovino soluzione precedentemente. Si deve immaginare cioè la giustizia italiana come il luogo dalle mille porte, da aprire e percorrere, a seconda della scelta di volere accedere a uno piuttosto che a un altro sistema. Mediazione, conciliazione, negoziazione della lite, arbitrato, ma anche tantissimi altri modi da potere “scegliere” e da seguire perché più convenienti per ciò che riescono a dare e a garantire, per la loro portata e valore di “soluzione” finale: accordo, transazione, lodo. Si deve immaginare e porre in essere una giustizia diffusa perché diffusi sono e saranno i metodi a disposizione e di cui ci si potrà avvalere. Immaginare un giudizio ordinario per poche sparute cause, pochi giudici statali responsabili personalmente civilmente, cui si acceda quale ultima ratio con la drastica riduzione dell’apparato pubblico esistente, sino alla sua riduzione significativa: pochi giudici per un processo cui arrivino pochissime liti. È il processo denominato di degiuridificazione dei compiti di giustizia dallo Stato.
Il caso della tutela dei consumatori è la dimostrazione palese non solo della necessità di diversificazione delle vie di giustizia ma anche del cammino e della direzione intrapresa. In base ad alcune rilevazioni svolte in ambito europeo, il quarantotto per cento dei consumatori non si rivolge a un tribunale per danni inferiori a duecento euro. Si rivela pertanto chiara la necessità di individuare soluzioni alternative all’accesso alla giurisdizione ordinaria, specie con riferimento alle controversie di modesta entità che interessano i consumatori.
Fatta salva la differenza tra disponibilità o meno dei diritti, si tratta di “costruire” una serie di procedimenti di soluzione stragiudiziale delle controversie improntati a principi di imparzialità, trasparenza, efficacia ed equità nel senso di libertà di scelta, oltre che – e soprattutto – di economicità. Avere giustizia non deve essere costoso. Gli interessati devono cioè trovare ragionevole il pagamento di quando stabilito in cambio della possibilità loro data di crearsi giustizia.
Si tratta adesso di attuare alternative possibili al contenzioso ordinario – notoriamente lento, complesso e costoso – tenuto presente che l’inefficienza della giustizia non riguarda soltanto la prospettiva della tutela del cittadino ma è snodo fondamentale per lo sviluppo economico di un Paese, in assenza o difetto del quale costituisce il serio ostacolo agli investimenti e in generale alla attrattività necessaria per la sua crescita.
Non è facile. Si tratta di mutare l’esistente, ribaltandolo. L’idea stessa di giustizia deve diventare la risposta veloce e possibile alla richiesta presentata. Non si deve ambire all’idea di giustizia quale valore assoluto, ma a tantissime giustizie possibili, private, miste, scelte dai cittadini. Non si deve ambire cioè alla giustizia che non è di questo mondo e neppure di un altro, si deve ambire e attuare la giustizia possibile: un punto fermo, certo, voluto dalle parti, rapidamente realizzato, teso al superamento o alla ricostruzione del rapporto tra i litiganti, comunque del mantenimento.
Questa è la giustizia del domani più evoluto verso cui andiamo. Una rimessione costante nei termini della vita con, a fronte del problema, una rapida decisione possibile del problema stesso. Come si fa? Per ora si implementano le strade alternative di giustizia fino a farle divenire la strada maestra.
Una costellazione di possibilità cui accedere per risolvere il conflitto, le multi doors courthouses statunitensi. Si fa dei litiganti parte attiva del problema, di modo che la scelta della strada prescelta sia già l’inizio per la soluzione da parte di loro stessi del problema. Essi potranno nel tempo valutare la convenienza dell’intrapresa di una piuttosto che di un’altra strada, potendo accedere a quella che oggi indichiamo come ordinaria, solo dopo avere esperito le molte altre strade possibili. Si tratta di concepire e disegnare non solo il nuovo modo di intendere la giustizia – veloce e possibile – ma l’intera costellazione.
In Italia da poco tempo si sono affacciati alcuni metodi cosiddetti alternativi delle controversie, che si stanno faticosamente facendo largo. Il problema è ampio, il bandolo della matassa è cominciare a introdurre sistemi alternativi (oggi alternativi, domani principali) quali primi approcci obbligatori. Una volta introdotta in Italia una quindicina di possibilità di alternativa al giudizio ordinario – e privatizzata in tal modo la giustizia – sarà agevole rendere funzionante un processo ordinario che diverrà nel tempo quasi secondario e marginale, con tutte le conseguenze del venir meno del peso economico a carico dello Stato, che a sua volta si alleggerirà.
È sotto gli occhi di tutti come il rapporto tra l’economia e la giustizia di un Paese sia collegato e connesso. Non si può vivere e crescere con una giustizia che non funziona perché malata. Si tratta di operare un cambio drastico di visione e impostazione per far sì che le cose funzionino al meglio. Tale sarà inevitabilmente la via che per necessità verrà intrapresa in futuro, perché il mercato preme. E la crescita non aspetta.
di Francesca Romana Fantetti