La ricetta per l’Italia: onestà e realismo

giovedì 17 luglio 2014


Noi, che siamo piccoli pensatori di strada e certo non disponiamo delle grandi capacità del Premier, insistiamo nel dire che stiamo andando a sbattere. Escludere con spavalderia l’ipotesi di una manovra correttiva, il rischio di un severo attenzionamento dell’Unione europea, un ritorno all’attacco dei mercati, quantomeno è fuorviante. Va da se, che un Premier debba infondere fiducia, ma di qui alla spavalderia ce ne corre. L’Italia rischia e tanto, tutti gli indicatori previsti con leggerezza dal Governo, si confermano peggiori e non di poco.

Del resto, che gli 80 euro non avrebbero fatto un baffo al Pil si sapeva, così come invece era ovvio che la vergogna della Tasi, la tassa sui risparmi e la mitragliata di addizionali locali, sarebbero state esiziali in un contesto come il nostro. Dire in continuazione, che le tasse andrebbero abbassate, continuando ad alzarle in modo spudorato, è imbarazzante oltreché suicida da un punto di vista economico.

Il Paese è al lumicino, il Pil è fermo, il debito aumenta, i consumi si contraggono ancora e non c’è il becco di un quattrino di liquidità aggiuntiva. Come se non bastasse, Equitalia e l’Agenzia delle entrate insistono con l’ossessionare aziende e famiglie (non i grandi milionari) con cartelle e ingiunzioni, che si vanno a sommare all’immensità di quelle precedenti. Figuriamoci se chi non è riuscito a pagare prima, dovendo scegliere se dare stipendi o saldare il fisco, se pagare le bollette o il sospeso fiscale, fare la spesa o sistemare la Tasi, possa farcela oggi con multe, sanzioni, interessi e costi aggiuntivi. Il risultato è un contenzioso, che diventa gigantesco, come gigantesca è la rabbia dei contribuenti e la frattura fra amministrazione e la gente.

Tutto è diventato sempre più antagonista, i cittadini non credono nello Stato, sono indignati con la burocrazia, infuriati verso gli enti locali, disgustati dalla qualità dei servizi, esasperati dalle file per tutto. In buona sostanza l’Italia è ferma, perché i Governi degli ultimi anni l’hanno impaurita, tartassata, sfiduciata: l’hanno proiettata nel baratro con i demenziali provvedimenti e l' incapacità politica. Chiacchiere e promesse, salvatori della patria, professoroni e tecnici, elevati a guru della sapienza e ricoperti di onori e incarichi, che ci hanno condotto all’asfissia.

Le banche non erogano liquidità all’economia reale, la burocrazia terrorizza ogni iniziativa, la fiscalità trafigge ogni consumo, l’enormità dello Stato sociale è incapace di funzionare. Per converso nulla si è venduto o anche svenduto, dell’immenso e improduttivo patrimonio dello Stato, nulla si è privatizzato della fornace di debito delle aziende locali, nulla si è ridotto della inutile e inefficiente presenza delle amministrazioni statali nella vita del Paese. Insomma, nonostante gli annunci di gloria, da Monti a Renzi, tutto è rimasto come era. Semmai è peggiorato, alla faccia delle riforme e delle straordinarie novità.

La politica annaspa e cincischia, i sindacati sono sempre più antichi e fuori dal mondo, la burocrazia continua a costare e il debito è sostenuto da una tassazione inverosimile. Dunque, essere spavaldi in questo quadro, è a dire niente, imbarazzante.

All’orizzonte c’è un aumento dei tassi, la possibile esplosione di altri debiti sovrani, il fiscal compact e un Mediterraneo in fiamme. O si corre ai ripari con immediatezza, che significa subito, o il Parlamento e la maggioranza si danno coraggio con scelte eccezionali destrutturando, con ogni vendita possibile il debito, incassando il massimo da una pacificazione fiscale, facendo uscire lo Stato dalle realtà locali, sburocratizzando per decreto ogni pratica. Altrimenti si va contro un muro. Questa deve essere la parola d’ordine, intervenire ora e con l’accetta, sulle pensioni d’oro, sui costi della politica, sui finanziamenti a pioggia, sulle spese per le missioni, sul numero di enti inutili e dannosi, su tutti quei folli privilegi che solo da noi esistono, o non se ne esce.

Non si tratta di essere rottamatori per finta o riformatori per caso, la stessa nostra Costituzione andrebbe non riformata ma rivoluzionata, resa corta e flessibile. Troppe Regioni, troppi statuti speciali, troppi incontrollabili costi di una quantità di enti inutili, altro che Senato. Sulle Costituzioni, quando si allontanano dai tempi, non servono finte opere di lifting, ma vere e proprie rivoluzioni concettuali e culturali. Servirebbe il presidenzialismo, uno Stato leggero, una sola Camera e pochi enti decisionali, soprattutto la terza parte di parlamentari di ogni livello. E poi una magistratura al di sopra delle parti, due gradi di giudizio e carriere separate. Servirebbe la sussidiarietà ovunque possibile e centri di spesa unici e limitati.

Le riforme in corso non basteranno e non cambieranno il futuro del Paese. O ci commissariamo da soli o lo faranno i mercati, piuttosto che l’Europa. Non si scherza con il 140 per cento di debito, l’economia ferma e il Paese sfiduciato. L’ultima e unica via per riprendersi è quella del realismo, del coraggio e dell’onestà intellettuale verso la gente, verso il Paese. Se un palazzo vacilla o lo si incatena con l’acciaio, per restaurarlo fino in fondo, oppure crolla. E chi vivrà, vedrà.


di Elide Rossi e Alfredo Mosca