domenica 13 luglio 2014
C’è qualcosa che puzza nell’attacco sferrato dalle colonne del Corriere della Sera da parte di Sergio Rizzo – coadiuvato nella circostanza da Nicola Catenaro – contro il nostro direttore. Giacché Arturo Diaconale ha risposto puntualmente nel merito delle contestazioni sollevate, non reputo opportuno ritornarvi.
Noto, invece, che ormai siamo assuefatti allo stile aggressivo di chi “denuncia” presunti scandali senza troppi riguardi per la verità dell’informazione e per le persone coinvolte. Sono vent’anni che il sistema mediatico si nutre di moralismo a buon mercato. Ma tant’è e bisogna farsene una ragione. La condotta privata delle personalità pubbliche è diventata la cifra della costruzione del consenso elettorale, e non solo. Ne consegue che il discredito dell’avversario sia divenuto il principale strumento di lotta.
Ciò ha generato un’industria di “professionisti della morale” sulla falsariga dei “professionisti dell’antimafia”, la cui pericolosità venne denunciata in tempi lontani da un insospettabile della statura di Leonardo Sciascia. Non stupisce, quindi, che in un simile sistema il moralista di professione divenga il punto di riferimento più ascoltato per emettere giudizi di valore su chiunque entri in contatto con la cosa pubblica. Fin qui more solito (secondo il solito costume) la mascalzonata appostata dietro l’angolo ci può stare.
Eppure, nella storia dell’attacco a Diaconale c’è puzza di bruciato. Insisto. Non amo le dietrologie, le ritengo un esercizio adatto ai paranoici. Tuttavia, una circostanza mi induce a far peccato pensando male, anzi malissimo di coloro che, negli ultimi tempi, stanno dedicando premurose attenzioni a “L’Opinione delle libertà” e al suo direttore.
Arturo Diaconale si sta spendendo con assoluta determinazione per portare avanti l’iniziativa del Tribunale Dreyfus. Egli intende dare voce ai massacrati dalla “giustizia ingiusta”, il che comporta mettersi di traverso agli occhi di certa magistratura. Ha scelto, come banco di prova, lo scivoloso argomento del complotto che portò, nel novembre del 2011, alla caduta del Governo Berlusconi, eletto dalla maggioranza del popolo italiano e alla sua sostituzione con il tecnico Mario Monti. Diaconale sta andando in giro a raccogliere testimonianze. Fa domande scomode e chiede spiegazioni anche ad organismi i quali sono tradizionalmente abituati a non dare risposte. Insomma, sta rompendo le scatole a un po’ di gente.
Così capita, per puro caso (?), che nel bel mezzo di una trasmissione televisiva un noto economista che presta la sua scienza ai peggiori esemplari dell’imprenditoria piratesca nostrana, dovendo fare un esempio a suo dire di malcostume nell’utilizzo dei fondi pubblici, citi impropriamente L’Opinione.
Ora che Diaconale ha raccolto, sul complotto internazionale ai danni del governo Berlusconi, elementi sufficienti per presentarsi davanti a un procuratore della Repubblica e dirgli: “Egregio dottore, le spiacerebbe mettere le mani in quest’affare per cercare di capirci qualcosa?”, spunta una reprimenda a sfondo moralistico che, a proposito della persona Arturo Diaconale, associa la circostanza della titolarità di un incarico di prestigio presso un ente pubblico della sua terra natìa al fatto che il giornale viva di pubblica contribuzione. Come se tra le due cose vi fosse un nesso, come se i due momenti generassero una sorta di incompatibilità etica, come se accedere alla legge sull’editoria fosse di per sé uno scandalo, non un diritto ma un abuso.
Il fatto sorprendente è che lo stesso Sergio Rizzo, chiamato in passato a difendere la testata per cui lavora dall’accusa di prendere denari pubblici a mani basse, non ebbe difficoltà a farsene paladino in un piccato articolo apparso il 13 aprile del 2012. Perché, come lui spiegava, quei miseri 2.839.0000 euro stanziati dallo Stato per il Corriere della Sera, nel 2011, a valere sugli acquisti di carta, sulle spedizioni postali e sulle bollette del telefono, erano poco più che spiccioli rispetto al fatturato del colosso editoriale. Spiccioli per i quali i ricchi padroni di Rcs non si sono fatti scrupoli a raccogliergli da terra.
Penserete che esagero. Può darsi. Ma continuo a credere che questa storia puzza perché, da vecchio lettore, ho la presunzione di riconoscere un’inchiesta ben fatta da un avvertimento a scopo intimidatorio. Certamente quello di Rizzo non lo sarà stato nelle intenzioni, però, a suo disdoro, va detto che ci somiglia molto.
C’è da giurare che il direttore Diaconale tirerà dritto alla ricerca della verità nei casi di malagiustizia. Perciò, non mi stupirei se, fra qualche tempo, gli arrivasse qualche altro siluro lanciato da uno degli anfratti dei cosiddetti poteri forti. Per questo, un solo sentito consiglio: vai avanti, direttore, ma guardati le spalle.
di Cristofaro Sola