sabato 28 giugno 2014
Sì, hanno pazientemente atteso la visita in Calabria del Pontefice per riaprire in grande stile la polemica contro la gerarchia cattolica della regione. Troppo ghiotta l’occasione rappresentata da Papa Francesco, campione di luoghi comuni, per non sferrare l’ennesimo attacco contro chi ha coraggiosamente saputo rintuzzare, nei mesi scorsi, la canea dei soliti professionisti dell’antimafia che hanno trovato a capitanarli il nuovo simbolo del sinistrismo estremo, il pm dell’apparire e dell’affermazione che “nella jonica reggina è tutto mafia”. Parole che fanno rivoltare nella tomba Leonardo Sciascia.
Da mesi il dottor Nicola Gratteri, attualmente alla procura di Reggio Calabria, ha aperto una guerra senza esclusioni di colpi contro la Chiesa calabrese, che viene additata come collusa con la mafia perché alcuni sacerdoti mantengono legami con boss ‘ndranghetisti e assieme ad essi consumano qualche tazzina di caffè, o esprimono valutazioni positive su alcuni malavitosi, dimenticando che i don Abbondio non spuntano solo ora ma sono sempre stati presenti nella società anche molto, ma molto prima, che Alessandro Manzoni ne celebrasse la presenza con la famosa frase: “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”.
Ma nessuna categoria sociale è composta solo di don Abbondio, per cui ero certo, da ateo, che anche nella Chiesa sarebbero emersi gli opposti al soggetto a difesa della propria Chiesa, rintuzzando adeguatamente chi ha teso a fare di tutte le erbe un fascio puntando a versarle addosso fango e letame. Gratteri pronunciò parole dure come pietre quando disse che “‘Ndrangheta e Chiesa camminano per mano” e Giuseppe Fiorini Morosini, attualmente arcivescovo di Reggio Calabria, ha reagito non sopportando quella che gli apparve come una vera e propria aggressione.
“Ma non si rende conto che fango sta versando sulla Chiesa, che è tanto più sporco venendo da un uomo delle istituzioni come è lei?”, disse il vescovo che ha dimostrato di non temere il potere irresponsabile della magistratura e quello vergognoso della corte che la sostiene e che va dall’incapacità dei partiti di ripristinare la divisione dei poteri, alle compagnie di giro dei professionisti dell’antimafia, ai media che sembrano impegnati solo a sbriciolare il tessuto connettivo che tiene ancora in piedi la nostra democrazia. Per rafforzare le proprie parole, Morosini ha scolpito un vero gioiello dicendo che “lei potrà strappare qualche applauso, ma non contribuisce certamente alla lotta comune contro la malapianta”.
Ma cosa avrebbe detto il Papa sulle cui parole si sono concentrati i mass-media e la compagnia di giro? La ‘ndrangheta è “adorazione del male e disprezzo del bene comune”, è un “male che va combattuto, va allontanato”, anche dalla Chiesa che “deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere”; e poi gli uomini della ‘ndrangheta “non sono in comunione con Dio, ma sono scomunicati”. Guarda caso sono le stesse, identiche parole pronunciate dai vescovi calabresi ma che vengono presentate, da “La Repubblica”, come “parole chiare e nette che la gente voleva sentire” perché, si sottintende, esse non sono mai state pronunciate dal clero calabrese.
Oppure vengono censurate come fa “Il Fatto Quotidiano” che “nasconde” il saluto fatto ai carcerati di Castrovillari con quel “amici miei” che non escludeva, tra i reclusi, i mafiosi. Però hanno voluto enfatizzare solo parte delle parole di Papa Bergoglio per poter tenere banco e rafforzare personaggi che passano da possibili ministri della Giustizia (“Sì, se avessi la libertà di realizzare le cose che ho in testa”) a candidati alla Regione Calabria (ovviamente per fare piazza pulita come Grillo) o anche a sindaco di Reggio. L’operazione è contro la democrazia e rende un pessimo servizio alla Calabria che deve, dopo gli ultimi avvenimenti, poter rifondare una propria nuova classe dirigente.
In questa direzione non c’è bisogno di “salvatori della patria”, ma di operatori che badino soprattutto ad adempiere ai propri compiti, senza alcun grillo per la testa. Ed è per questo che ci ribelliamo alla canea che si è innescata strumentalmente con la visita del Papa.
di Giovanni Alvaro