Lo Stato italiano messo in “mora”

martedì 24 giugno 2014


Lo Stato ancora paga i propri debiti troppo in ritardo, mettendo a rischio fallimento le aziende che lavorano per il settore pubblico. I tempi massimi di pagamento stabiliti a livello europeo variano tra i trenta e i sessanta giorni ma le nostre Pubbliche amministrazioni impiegano il triplo del tempo a saldare i conti con i fornitori. Centosettanta giorni in media che salgono a duecentodieci giorni, sette mesi nel caso di lavori pubblici.

Per questo la Commissione Europea su proposta del responsabile del Settore Industria, Antonio Tajani, ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia perché non applica correttamente la direttiva comunitaria sui pagamenti. Non è la prima volta che il Paese finisce nel mirino di Bruxelles per questi motivi. A breve verrà spedita una lettera di messa in mora al Governo italiano, primo passo della procedura. Una volta ricevuta la missiva, il governo avrà due mesi di tempo per rispondere. Se non riuscirà a fornire motivazioni convincenti partirà la procedura vera e propria che può costare milioni in sanzioni annuali alle casse dello stato. E nel frattempo altre aziende avranno chiuso o altri imprenditori e/o piccoli lavoratori autonomi si saranno suicidati?

Il Consiglio dei ministri ha approvato un piano che prevede di saldare, entro settembre, tutto lo stock di debiti. La nuova procedura varata dal Governo stabilisce che tutte le fatture delle imprese verso la Pa saranno caricate su una piattaforma elettronica di certificazione. La Pubblica amministrazione potrà pagarle entro sessanta giorni, contestarle o certificarle immediatamente. Ottenuta la certificazione, l’impresa potrà cedere il credito a una banca con la formula del pro soluto. L’istituto di credito anticiperà la somma al posto della Pa e poi si rivarrà su quest’ultima.

In altre parole, la banca diverrà creditore della Pubblica amministrazione sostituendosi all’azienda e subentrando anche nel rischio di insolvenza. Secondo Luigi Scipione, docente universitario e membro del Comitato di presidenza di Unimpresa (Unione nazionale di imprese), per risolvere il problema bisognerà puntare sull’autocertificazione, perché “ nonostante gli auspici è assai probabile che tali attese saranno deluse. In realtà si accumuleranno ancora ritardi significativi. Le principali difficoltà nel riconoscere tali crediti nascono dal fatto che buona parte di essi sono iscritti fuori bilancio. Da qui l’impossibilità degli enti pubblici di riconoscere sic et simpliciter il debito a favore dell’impresa fornitrice”. Sempre secondo Scipione, il persistere di resistenze alla soluzione del problema va individuato nel conflitto che si trascina da anni tra la Ragioneria dello Stato, che aderisce a una interpretazione restrittiva del problema e coloro che, al contrario, propendono per una estensiva.

Eppure, per il membro di Unimpresa, la ricetta per uscire da questa situazione di impasse è semplice. Per aggirare gli ostacoli frapposti dalla burocrazia sarebbe sufficiente inserire il meccanismo dell’autocertificazione da parte delle imprese dei crediti vantati verso la Pa, allegando la relativa fattura. Questa soluzione, peraltro, è stata adottata con successo in Spagna. Infine, un po’ di dati sui debiti Pa in base ad una analisi di Unimpresa. Su gli arretrati le aziende perdono 5,5 miliardi l’anno di interessi. L’analisi stima la perdita di interessi per le imprese conteggiando sia quelli non riconosciuti da amministrazioni statali e locali sulle fatture non saldate, sia quelli che le stesse imprese sono costrette a pagare alle banche sui crediti richiesti per coprire la mancanza di liquidità. Quindi oltre il danno anche la beffa. In media ogni impresa italiana vanta crediti con la pubblica amministrazione per oltre 322mila euro. Ammonta a 69,5 miliardi di euro lo stock di debiti della pubblica amministrazione verso le imprese e vale circa 5,5 miliardi la perdita virtuale di interessi che grava sulle stesse aziende a causa dei ritardi nei pagamenti della Pa. Sono oltre 215mila le imprese italiane creditrici dello Stato e degli Enti locali, con una media di arretrati pari a oltre 322mila euro. La media degli interessi non incassati da ciascuna impresa è dunque pari a più di 25mila euro l’anno.

Tutto ciò, nonostante i 21,5 miliardi pagati nel corso degli scorsi mesi dalla Pa, per cui il debito pubblico nei confronti delle imprese è sceso da 91 miliardi a 69,5 miliardi. Nell’industria è pari all’1,2% la quota di imprese in credito con lo Stato. Questo vuol dire che ci sono 5.436 aziende che aspettano di veder saldata una fattura. Per quanto riguarda il comparto delle costruzioni (edilizia e ristrutturazioni) la quota di imprese in attesa è pari al 16,2%, che equivale a 100.926 aziende. Il record è nei servizi, dove sono 109.131 (il 3,3% del totale del settore) le imprese a cui lo Stato centrale o gli enti locali e territoriali (regioni, province e regioni) devono riconoscere un corrispettivo. Complessivamente, dunque, sul totale delle imprese italiane (4.383.000) il 4,9% è creditore della pubblica amministrazione: 215.493 aziende, insomma, corrono il rischio di licenziare i dipendenti, di chiudere in perdita un bilancio, di avviare una procedura di crisi, di trovarsi in una pericolosa condizione di insolvenza o, ipotesi peggiore, di imboccare la strada del fallimento.


di Vito Piepoli