mercoledì 18 giugno 2014
Al confine tra assistenza, solidarietà, amicizia e prezioso servizio sociale, descriviamo ora, brevemente, il sistema di tutoraggio integrale, che definiamo “Metodo Franz” dal nome del grande maestro che lo ha messo in atto.
Conosciamo tutti le applicazioni possibili del tutoraggio, perciò, in questa bozza di progetto, ci limitiamo ad enunciare il senso profondo che caratterizza la straordinaria catena del tutoraggio Franz, che abbiamo visto svilupparsi e applicarsi all’interno di una città relativamente piccola e poi venir proiettato in una più vasta realtà sociale.
Lo presentiamo come impresa. Sì, come l’impresa della politica. Come esempio, non come “modello” teorico, di una politica nuova fondata sulla scuola e che non esistiamo a definire “business oriented”: dove il business è la felicità. Perché qui l’impresa concerne l’educazione, la formazione, lo scambio e, in definitiva, la crescita e la messa a capitale di una comunità più bella da vivere. In ciò consiste il suo incalcolabile valore politico.
1. Il programma nasce in un istituto scolastico ben scelto, oppure in un distaccamento sperimentale, in accordo con le istituzioni.
2. Si può iniziare con un insegnante, ma per attuare un processo significativo è meglio se si forma un gruppo di sei/sette.
3. Ogni insegnante avvia il tutoraggio in una classe.
4. Ogni classe è aperta a ragazzi che, insieme, rappresentano l’abituale mix di una classe scolastica delle nostre città.
5. Le classi appartengono all’intero arco dell’insegnamento medio: dalle scuole medie vere e proprie al ginnasio liceo, ai licei scientifici, professionali, etc.
6. Questa fase fondante del tutoraggio presenta il seguente carattere:
A - I tutorati sono: giovani con handicap mentali, afasici e spastici; giovani con forme di epilessia dai risvolti comportamentali complessi e serie difficoltà di apprendimento. Portatori di handicap gravi dell’adattamento famigliare, afasici comportamentali, etc. Giovani immigrati con handicap e disabilità dello stesso genere.
B - I tutori sono: giovani “difficili”, anche in affidamento ai tribunali minorili, con tendenze aggressive anche pericolose. Delinquenti conclamati e delinquenti potenziali. Giovani “difficili” e “delinquenziali” appartenenti ai popoli immigrati.
7. Si formano coppie, indicativamente due/tre, in una classe di una ventina di ragazzi.
8. I “deboli” sono affidati ai “cattivi”.
9. L’insegnante svolge il programma scolastico, secondo addestramento, tentando rigorosamente di rispettare il ritmo ordinario, cioè non rallentando il processo apprenditivo dei “normali”.
10. Se necessario, l’insegnante dedica alla coppia o alle coppie un extra-time leggero.
11. L’insegnante – che immaginiamo possa insegnare materie letterarie o tecniche – è presente nell’istituto (non necessariamente in aula) anche durante l’orario occupato da altri insegnanti per altre materie. È a disposizione, non incombe, ma deve poter contare sulla collaborazione di tutti i suoi colleghi.
12. L’insegnante verifica, insieme alla coppia, ogni problema insorto o insorgente e coinvolge la coppia nella valutazione dei progressi, anche dei piccoli risultati.
13. Non si hanno esperienze di “fallimenti”. Di lentezza sì, ma non di fallimenti. Poiché si realizza quasi sempre la medesima sequenza:
a) il “cattivo” si responsabilizza con grande rapidità
b) tende a diventare protettivo e a supplire, da “vice-maestro”, l’insegnante
c) apprende con più rapidità dei suoi coetanei “normali”
d) il “debole” – rotta la barriera della paura e della diffidenza – si affida al “cattivo.
e) La classe viene coinvolta quasi totalmente. Il rischio non è che via via si disinteressi, ma, al contrario, che eserciti troppa attenzione al fenomeno in atto, ossessionando le “coppie” di un eccesso d’attenzioni.
14. A questo punto – cioè prima di quanto sembri opportuno – l’insegnante (o meglio, l’intero pool di insegnanti responsabili del tutoraggio) prepara la coppia alla fase due.
15. Nel quadro di un’organizzazione sociale informata e consenziente (importante il ruolo delle famiglie dei “due ragazzi”), la coppia viene nominata “squadra di tutoraggio”.
16. E mentre il programma scolastico continua regolarmente, il pomeriggio la coppia (il “cattivo” e il “debole”) divengono tutori di persone sole, di anziani, di soggetti non autosufficienti o di poveri.
17. Comincia così una catena di affratellamento e di uguaglianza: sul campo, non in astratto. Come servizio, non come assistenza. Dunque come lavoro prezioso per:
- la cura degli handicappati gravi;
- la fiducia delle famiglie;
- per la guarigione dei “cattivi soggetti”;
- per l’esempio contagioso all’intera comunità;
- per la moltiplicazione redditizia e spirituale dell’idea stessa di servizio sociale.
Naturalmente ci vuole pazienza, determinazione, sostegno istituzionale e riconoscimenti economici e d’onore. E premi. Premi grandi per segnare una nuova frontiera del valore. Primo tra tutti i premi, è questo: l’istituzione locale (villaggio, cittadina, quartiere) non solo non dovrà spendere un euro, ma potrà anzi venire finanziata come sistema da alcuni soggetti tenuti a sostenere la riuscita dell’impresa, e cioè: gli enti locali, il ministero della Sanità, il ministero dell’Interno, il ministero di Grazia e Giustizia, il ministero dell’Industria, e ancora dalle Asl, dall’industria farmaceutica, da una grande impresa di distribuzione (servizio spesa, ecc.) oltre, naturalmente, a sponsor d’immagine e commerciali.
Il processo-impresa qui abbozzato dovrà essere, evidentemente, strutturale. Senza però rinnegare la sua logica “sperimentale”. L’obiettivo è la crescita e lo sviluppo solidale della comunità. Se la partecipazione-condivisione istituzionale dovesse costituire un ostacolo insormontabile, cercheremo alleanza soltanto con soggetti co-interessati al successo, a partire dall’impresa privata.
di Girolamo Melis