Basta starnuti enfatizzati dai media

sabato 14 giugno 2014


La società italiana, ormai, è così assuefatta agli abusi giudiziari che non ci fa più molto caso. Il martellamento dei mass media (scritti e parlati) sulle inchieste in corso contro la corruzione è diventato così ossessionante che tutto il resto passa in secondo ordine. L’attenzione viene focalizzata direttamente sulle “malefatte”, vere o presunte, presentate con veri è propri bollettini di guerra che fanno sposare subito il teatrino conseguente.

A nulla serve l’esperienza del passato che ha fatto registrare percentuali bassissime di convalida delle tesi dell’accusa, a partire dall’inchiesta “Mani pulite” che è servita soprattutto a distruggere la Prima Repubblica ed a costruire “carriere politiche” senza risolvere il problema corruzione. Anzi, si ha la sensazione che si stia ripresentando lo stesso schema svelato da Sansonetti, con la variante che stavolta non si tira la volata a qualcuno, come fu negli anni Novanta, ma si stia puntando alla distruzione dello Stato democratico. Un vero e proprio attentato alla democrazia attraverso la delegittimazione degli organi costituzionali dello Stato, a partire dallo stesso Parlamento.

Una mano formidabile in questa direzione è data dagli usi e abusi della Magistratura che scivolano sulla pelle della società italiana come prassi normali, dato che i media non li denunciano per nulla determinando un ulteriore disfacimento dello stato di diritto che sta alla base di ogni sistema democratico. Tutto comunque fa brodo perché si chiede e si ottiene, dal Parlamento, l’arresto dell’onorevole Genovese, su cui si stava indagando, e a cui, solo dopo alcune decine di ore dal suo ingresso in carcere, un Gip gli concede gli arresti domiciliari. Ma allora, pensano i cittadini più attenti, perché tanta urgenza? Forse si puntava ad umiliarlo o addirittura a dimostrare chi comanda in Italia? Succede pure che si chiede l’arresto di Chiara Rizzo, moglie di Amedeo Matacena, condannato con sentenza passata in giudicato, che avviene in un aeroporto estero dove la signora stava attendendo di imbarcarsi per rientrare in Italia con l’obiettivo di costituirsi alle autorità giudiziarie del nostro Paese così come dichiarato alle agenzie di stampa alcuni giorni prima. Si sente anche qua l’acre sapore della voglia di creare grande clamore attorno all’inchiesta. E mentre la stampa si diletta a gossipare, senza alcuna vergogna, il Gip le nega gli arresti domiciliari perché potrebbe inquinare le prove e anche perché “non si può dire venuto meno il quadro di gravità evidenziato nell’ordinanza”. E che c’entra questo con la custodia cautelare?

Ma se a Chiara Rizzo vengono negati i domiciliari, c’è chi, come Paris (inchiesta Expo), li ha ottenuti con un’incredibile motivazione che fa a pugni con la legge, che indica solo in tre casi la possibilità di procedere a misure cautelari: pericolo di fuga; inquinamento delle prove; e reiterazione del reato. Per il Gip, Paris ha meritato “la diversa misura degli arresti domiciliari (...) in virtù dell’inizio del percorso di rivisitazione della propria condotta”, come è emerso “dalle dichiarazioni sia scritte che rese” negli interrogatori, durante i quali ha ammesso le contestazioni e consolidando l’impianto accusatorio. Come a dire: “Abbiamo ridotto la pesantezza della misura cautelare perché ha collaborato”.

Ma la collaborazione non è automaticamente la verità. A volte si “collabora”, dicendo ciò che i magistrati vogliono sentire, solo perché gli indagati non sopportano la detenzione essendo sprovvisti della corazza che contraddistingue i delinquenti abituali. La carcerazione preventiva diventa, quindi, per la maggioranza dei Pm e per molti Gip, una specie di tortura per piegare l’indagato e farlo “confessare” così come inaugurato dal famoso pool di Mani pulite.

Quel che lascia esterrefatti, comunque, non è tanto il modus operandi della Magistratura, quanto il lassismo di chi dovrebbe avviare la riforma della giustizia e perde tempo per farsi guidare dalle due stelle che considera polari, come gli starnuti degli organismi rappresentativi della Magistratura e i peti dei capi pentastellati sostanzialmente giustizialisti. Non si spiega altrimenti l’atteggiamento del Premier, che dona in pasto ai Cinque Stelle la testa di Genovese accompagnandola con l’affermazione che la “legge è uguale per tutti” (ma quale legge?) e commenta le ultime inchieste sulla corruzione sostanzialmente dal versante propagandistico parlando di “alto tradimento”, di “daspo a vita” per i politici, e di espulsione dei “ladri” dai partiti. Acqua calda che non risolve nulla.

C’è invece necessità di avviare una profonda semplificazione degli appalti pubblici per evitare che le lungaggini burocratiche spingano gli imprenditori a puntare all’accorciamento dei tempi “oliando” le rotelle decisionali. Non è poi così difficile. Quando si avvia una gara di appalto, devono essere espletati tutti gli adempimenti a carico dell’ente appaltante (esproprio, nulla osta ambientale, paesaggistico e archeologico, pareri favorevoli di Anas, o provincia, o comune, ecc.) per poter aprire il cantiere entro un mese. Deve essere fatto divieto di espletare la gara d’appalto se manca anche uno solo degli adempimenti, per non incorrere in contenziosi che allungano i tempi di realizzazione e aumentano i costi; e inoltre le somme che hanno dato vita all’appalto non devono essere toccate per altri scopi.

Inoltre va subito affrontata la riforma della Magistratura che è diventata, purtroppo, anche un freno incredibile agli insediamenti produttivi. Bisogna saper cogliere la palla al balzo del voto parlamentare sulla responsabilità diretta dei magistrati, per correggere quello che ormai passa per occupazione illegittima di competenze non proprie. Si tratta di due riforme non fini a se stesse, ma propedeutiche per evitare lo sbriciolamento dello stato democratico. Un banco di prova reale per sapere qual è la vera strada che vorrà prendere il giovane Premier.


di Giovanni Alvaro