martedì 10 giugno 2014
È ben noto che la triplice ripartizione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) esiste in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea. Non considerando, per il momento, il potere giudiziario, nell’Ue invece i due poteri legislativo ed esecutivo (poiché non siamo in un’Europa federalista, ma ancora in un’Europa… intergovernativa) vengono esercitati da tre distinte Istituzioni: il Consiglio dei Ministri, la Commissione e il Parlamento.
Il Consiglio dei Ministri è emanazione diretta dei singoli Stati nazionali ed è costituito da un rappresentante di ciascuno Stato. La sua Presidenza è assunta a rotazione da uno Stato membro per la durata di un semestre (la prossima spetterà all’Italia). Il Consiglio esercita assieme al Parlamento la funzione legislativa, coordina le politiche economiche generali degli Stati membri e definisce la politica estera. Ha un Comitato permanente (Coreper) ed è al suo interno che si svolge gran parte dei negoziati tra gli Stati membri.
La Commissione esercita, per cinque anni, il potere esecutivo ed è composta da 28 membri (uno per ogni Paese dell’Unione). La Commissione, con il Consiglio e il Parlamento, ha il potere dell’iniziativa legislativa, sottoponendo loro gli atti legislativi. Rappresenta l’Unione Europea a livello internazionale e verifica che ogni Stato membro osservi il diritto europeo. È il Consiglio dei Ministri che designa i commissari, compreso il presidente. Ma la Commissione deve essere approvata dal Parlamento nel suo insieme (non può, cioè, bocciare un singolo candidato) e, teoricamente, potrebbe revocarla successivamente con una “mozione di censura”.
Il Parlamento è eletto direttamente dai cittadini dei Paesi europei e i gruppi parlamentari che lo compongono sono organizzati per schieramento politico e non in base alla nazionalità. (En passant, facciamo notare che le sedi del Parlamento Europeo sono ben tre: Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo; il che mal si addice ad un periodo di vacche magre, come quello che stiamo attraversando). I suoi poteri, benché siano stati leggermente ampliati dal Trattato di Lisbona, non sono ancora quelli di un vero Parlamento. È il Consiglio dei Ministri che ha ancora il sopravvento. Secondo l’attuale legislazione, in conseguenza, è il Consiglio dei Ministri (fuori della metafora, i singoli Stati nazionali o, per essere ancora più chiari, i più influenti fra essi) che deve proporre i nomi della Commissione e del suo presidente al Parlamento Europeo che, formalmente, lo eleggerà. Con le nuove disposizioni, il Consiglio deve “tener conto dei risultati delle elezioni del Parlamento Europeo”. I cittadini europei, dunque, iniziano ad avere un ruolo.
I partiti politici europei, durante il periodo elettorale, hanno presentato i loro candidati per la Presidenza della Commissione. Il candidato del partito popolare, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, certamente, ha ottenuto il maggior numero di seggi (213 deputati); essi però sono ben insufficienti per ottenere la maggioranza nel Parlamento Europeo (751 deputati). Inoltre Juncker, che ha tutti i requisiti personali per essere il Presidente della Commissione, rappresenta agli occhi di tutti la continuità della politica europea di austerità incarnata dalla cancelliera tedesca, Angela Merkel.
Anche la notevole affermazione degli euroscettici, pur con tutte le varie sfaccettature (raccolti attorno al duplice fronte di Marine Le Pen, primo partito in Francia, e di Nigel Farage, primo partito in Gran Bretagna), costituisce certamente, anch’essa, “il risultato delle elezioni per il Parlamento Europeo” di cui non si può non tener conto. Esprime una consapevolezza molto diffusa, cioè che bisogna riorientare gli obiettivi dell’Unione Europea se si vuol salvare la stessa idea di Europa messa in discussione dagli egoismi nazionali, anche se ad oggi sono considerati solo come campanelli d’allarme.
La Francia storicamente ha sempre rappresentato un’opposizione al federalismo, dal fallimento della Ced (Comunità Europea di Difesa: il progetto di collaborazione militare tra gli stati europei) nel lontano 1954, alla “grandeur” francese di de Gaulle della Quinta Repubblica (1959-1969); oggi, però, Hollande non può accettare l’austerità propugnata dalla Germania perché ha bisogno urgente d’instaurare una politica di crescita economica e sociale, utilizzando opportunamente anche il quantitative easing.
Anche la Gran Bretagna di Cameron, tradizionalmente contraria all’idea di un’Europa federalista e artefice, nel 1960, dell’Associazione europea di libero scambio (Efta, European Free Trade Association), proprio in opposizione alla Comunità Europea, oggi si trova a dover affrontare una forte ondata di euroscetticismo che propugna esplicitamente l’uscita del Regno Unito dall’Unione. Per questo motivo il premier britannico si è pronunciato contro Juncker (“spingerebbe la Gran Bretagna – afferma Cameron – ad accelerare il tempo sul referendum relativo alla permanenza nell’Unione Europea”).
Trovare una soluzione da parte del Consiglio dei Ministri, cioè da parte dei vari Stati nazionali, al complesso problema della candidatura alla Presidenza della Commissione, da proporre al Parlamento Europeo affinché formalmente lo elegga, non sarà facile. In ultima analisi è decisiva la disponibilità della Germania. Così come sarebbe illusorio cercare un fronte antitedesco. Bisognerà trovare una soluzione condivisa, diversa da quella di Juncker.
C’è stato già un tentativo sul nome della direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde. La signora Lagarde, infatti, avrebbe potuto essere una soluzione possibile di compromesso da portare al voto dell’Assemblea di Strasburgo, e così superare l’impasse determinatasi con le elezioni europee del 25 maggio scorso. Ma l’ipotesi di candidatura è naufragata subito per un dissidio interno alla politica francese.
Bisognerà, entro la fine di giugno, continuare a costruire un equilibrio, pur se difficile, sia tra le due principali forze politiche europee, PPE e PSE, ognuna delle quali, da sola, non raggiunge la maggioranza, forse anche con l’apporto del gruppo liberale; sia bisognerà continuare a cercare un’intesa, altrettanto difficile, tra i quattro Paesi principali dell’Ue: Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia. È indispensabile, in tutti i casi, trovare un nome, diverso da Juncker e da Schultz, che soddisfi i partiti ricordati e i principali Paesi europei.
La posizione dell’Italia ci sembra la migliore. Prima ancora di individuare la persona del nuovo Presidente della Commissione, e degli altri commissari, bisognerà che il Consiglio dei Ministri dell’Ue chiarisca, a se stesso e ai cittadini europei, quale idea di Europa si vuole realizzare.
di Guido Fovi