mercoledì 4 giugno 2014
Signori, un attimo di attenzione. L’Italia ha un grosso problema, drammatico, ineludibile: la consigliera leghista di Castelfranco Veneto Barbara Beggi ha dato del cesso alla signora Cécile Kyenge.
Si è scatenato il finimondo tanto che la consigliera in questione ha dovuto rimuovere il post e scusarsi (e forse sarà costretta a dimettersi), schiacciata dalla pressione di attacchi terribili: “La nostra città - scrivono gli esponenti del Pd di Castelfranco - ha dimostrato di volere il cambiamento, non può essere così infimo e razzista il livello dei nostri amministratori. La segreteria del Pd castellano, insieme con il gruppo consiliare Pd-Lista Sartor, esprimono indignazione e sconcerto per i contenuti offensivi postati in rete attraverso il proprio profilo Facebook dalla consigliera comunale di maggioranza, Barbara Beggi. Offese incivili nei confronti dell’onorevole Cécile Kyenge, che ancora una volta esulano dal confronto fra idee politiche e invece dimostrano come gli attacchi all’ex ministro affondino le proprie radici nel più triviale razzismo”.
Cosa ancor più grave, sono intervenuti i vertici della Lega che, invece di difendere la collega di partito, hanno pensato bene di condannare il fatto prendendo nettamente le distanze dallo spiacevole incidente. L’esponente leghista si è meritata anche l’attenzione di “Fuori il razzismo da Facebook”, il gruppo di attivissime sentinelle antirazziste che non ha mancato di far sentire con decisione la propria voce.
La storia è grottesca ma, a scanso di equivoci, premettiamo e sottolineiamo che la politica non dovrebbe ospitare certe invettive triviali ma anzi dovrebbe confrontarsi, anche duramente, sui contenuti e non certo in questo modo becero. Detto questo e condannato il gesto incivile oltre che la discriminazione in generale, non possiamo esimerci dal notare che l’Italia sta diventando la macchietta del razzismo. Al netto delle azioni realmente razziste (quelle sì, da condannare duramente), in questo Paese il concetto di razzismo si allarga a dismisura trovando sbocchi plateali in tragedie magnogreche che sviliscono la reale gravità del tema: uno ti chiama cesso? Razzismo. Un altro ti contesta? Razzismo. Qualcuno ti dice che non capisci nulla? Razzismo.
Ti attaccano perché pensano tu non sappia fare il ministro? Razzismo. C’è tutta una filiera di anime belle che sulla discriminazione ci specula facendo dell’antirazzismo di maniera una vera e propria professione; un po’ come i professoroni firmaioli di petizioni per professione, i difensori della Costituzione più bella del mondo o i custodi del sacro valore della Resistenza. Guai a toccarli, perché si commette peccato mortale, si violano le fondamenta della Repubblica e ci si ritrova automaticamente iscritti nel libro dei cattivi, degli incolti e dei barbari.
Sarebbe stato più semplice tacere sull’uscita sguaiata della Beggi, relegandola all’oblio che merita, mentre invece il suo partito l’ha scaricata per paura (pensate quanto forti siano state le pressioni), mentre le teste gloriose del progressismo hanno pensato di tirare fuori l’intento discriminatorio perché tanto, se la butti sul razzismo anche quando non c’entra, raccogli solo applausi, consensi, ipocrite attestazioni di solidarietà oltre che il distintivo di giusto e degno di prendere la parola.
Detto sinceramente, alla signora Kyenge è stato riservato lo stesso trattamento che ebbe la Bindi, Brunetta o Giuliano Ferrara. Tutta roba che nel dibattito politico purtroppo esiste e che, nel bene o nel male, è necessario condannare sempre o tacere per decenza.
Cosa dovrebbero dire Mara Carfagna o Mariastella Gelmini, fatte oggetto di volgarità pesantissime e molto spesso provenienti da quel mondo illuminato pronto a scandalizzarsi per un insulto fatto alla persona sbagliata? E cosa dovrebbe dire chi è oggetto di discriminazione politica da parte di coloro che condannano ogni forma di disparità onde poi inventarsi l’antiberlusconismo, che è un classico esempio di razzismo ideologico?
In un bel libro (“Inchiostro Rosso”, ndr), Massimo Pandolfi ha provato a contabilizzare le principali offese rivolte a Silvio Berlusconi da parte di autorevoli personaggi. Ne è uscito fuori un quadro agghiacciante: 1) È il capo dei banditi; 2) È un delinquente; 3) È un ominicchio; 4) È uno psiconano; 5) È un vecchio bavoso; 6) È impotente; 7) È di nuovo sfuggito alla Croce verde; 8) Ha la dittatura nel Dna; 9) Ha anche la camminata del dittatore; 10) Si muove in modo bullesco, insopportabile; 11) È una vergogna per l’Italia; 13) È una vergogna per l’Europa; 14) È una vergogna mondiale; 15) È matto; 16) Lo vedi e pensi a Mussolini; 17) È il contrario di un uomo di Stato; 18) È imbarazzante; 19) Non è un fascista, non è un mafioso, non è un Pulcinella. È molto peggio di tutto ciò; 20) È un analfabeta; 21) È come Wanna Marchi; 22) È un re Mida al contrario; 23) È antropologicamente diverso dal resto della razza umana; 24) È più alto che intelligente; 25) È un marziano; 26) È un folle; 27) Mi fa pena; 28) È un nanetto che ride; 29) È un puttaniere; 30) È un pedofilo; 31) È un mafioso…
Nel 2005, il compito di mettere insieme una selezione di frasi ingiuriose rivolte a Silvio Berlusconi e diramate dall’Ansa spettò a Luca D’Alessandro, il quale ne ricavò addirittura un volume, mentre la sparata di Benigni sulla mamma del Cavaliere, per questioni di decenza, la citiamo solamente.
Ma allora di cosa parliamo? Dell’apprezzamento della Beggi alla Kyenge per il sol fatto che la Beggi è la Beggi e la Kyenge è la Kyenge?
Detto inter nos: la signora Kyenge per me è un pessimo politico perché ha poche idee, confuse e sbagliate e il giudizio non deriva certo dal colore della sua pelle. Dire una cosa simile ti espone ad una probabile accusa di razzismo con annessa volante della polizia, magari inviata da qualche gauchiste in cerca di pubblicità, sulla falsariga di Laura Boldrini e della sua crociata sugli insulti in rete. Sono due anni che tirano fuori la manfrina sul razzismo per coprire l’operato di una persona che Sartori (e non è certo un pericoloso fascista), dopo averle consigliato qualche lezione di italiano, definì sul Corriere della Sera: “Una incompetente raccomandata. Lo ius soli è una idea demenziale. Sarebbe un disastro in un Paese con altissima disoccupazione. Aumenterebbe le file dei lavoratori sottopagati”. Tutti ricordiamo ancora l’idea demenziale “Genitore 1 e 2 al posto di mamma e papà nei documenti” o la splendida idea secondo cui “Bisogna superare i campi nomadi e collocare i Rom in alloggi”, così come le “quote nere” in azienda: “Bisogna introdurre una norma che preveda quote bloccate e posti riservati per gli immigrati nelle aziende”.
Allora basta con le evocazioni di concetti pericolosi come il razzismo, tirati fuori maliziosamente per fare bassa propaganda. Basta con il professionismo su certe tematiche: trasformano i diritti civili in liturgie ipocritamente incivili.
di Vito Massimano