venerdì 9 maggio 2014
La libertà di accesso è stata fin dai suoi esordi uno dei pilastri fondanti di internet, oltre che una sua caratteristica distintiva, e forse una delle ragioni per cui, in un lasso di tempo relativamente breve, è diventato la prima “autostrada” del mondo per quanto riguarda gli scambi e le relazioni economiche ed umane del pianeta. Oggi internet rappresenta una delle principali fonti informative per una parte sempre più consistente di utenza: news, cultura, social...
Il principio della “Net neutrality” o neutralità della rete, sulla quale internet si è finora basato, assicura uguali condizioni di accesso per tutti. Ciò significa che durante la navigazione tutti i provider che forniscono la connessione devono garantire un accesso ai contenuti egualitario ed alla medesima velocità, ovvero privo di discriminazioni. Nonostante le ripetute rassicurazioni da parte del Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama (durante la campagna presidenziale del 2007), negli Usa sembra ormai annunciata la fine della neutralità della rete. Oltreoceano, infatti, la Fcc (Federal Communication Commission) ha proposto nuove regole che – se approvate (il voto è previsto il prossimo 15 maggio) – andranno a scardinare questo principio ritenuto fondante e garante di un’effettiva democrazia della rete, facendo di internet essenzialmente un’autostrada a due velocità.
A viaggiare più veloce sarà – ovviamente – quella fetta di utenti disposti a pagare di più (benché le tariffe in vigore negli States siano già tra le più alte al mondo, pari a circa 60 dollari al mese). Riproducendo, anche on-line, quella spaccatura tra “ricchi e poveri” tipica di ogni aspetto della società americana. In sintesi, una rete performante e di qualità a chi può permetterselo, e una di seconda scelta per tutti gli altri. Sembra quasi un modo per dire: “Chi ha i soldi si compri la Mercedes, gli altri prendano l’autobus”.
È vero che l’ideologia egualitario-democratica di internet era in parte soltanto un principio sulla carta. Per due ragioni. Da una parte il “digital divide”, ancora particolarmente presente in determinati contesti (tra cui molte regioni italiane), dall’altra il deficit infrastrutturale (e in questo l’Italia è purtroppo in prima linea), non garantiscono effettiva parità di accesso (ovvero stessa velocità di navigazione) a tutti gli utenti. Ma questa volta il problema sta all’altra estremità della rete, ovvero dalla parte dei provider, i colossi che gestiscono l’infrastruttura stessa. In base alle nuove regole, i “giganti delle reti” come Comcast o Verizon potranno negoziare con ogni singolo fornitore di contenuti, applicando tariffe differenti a seconda della “priorità”. A tutto danno dei consumatori, che si ritroveranno, a valle, a pagare l’“extra costo”.
I sostenitori della neutralità della rete temono inoltre che questo “cambio di regole” finirà inevitabilmente per favorire, ovvero potenziare, le grandi società, a tutto discapito di start-up e dei nuovi entranti, producendo una sostanziale chiusura del mercato. A poco sono servite per ora le rassicurazioni giunte da Tom Wheeler, Presidente della Fcc, che ha definito queste interpretazioni fuorvianti. In un post sul sito della Commissione, Wheeler ha detto che “non si tratta di una decisione definitiva, ma di una richiesta formale di suggerimenti sul modo migliore per promuovere e proteggere la neutralità della rete”. Wheeler si è quindi apertamente dichiarato forte sostenitore dell’open internet, in quanto il libero flusso di informazioni e contenuti è fondamentale per promuovere innovazione e produttività.
Secondo l’Fcc si tratta di trovare un compromesso tra i diritti dei consumatori e la necessità dei provider di differenziare le offerte. “Il nostro obiettivo è quello di creare regole che incoraggino gli Internet Service Provider a migliorare continuamente il servizio a vantaggio di tutti e di offrire un trattamento preferenziale del traffico di rete in condizioni commercialmente ragionevoli”, garantendo che non si determinino modificazioni allo “status quo” per gli utenti. Wheeler ha dichiarato che qualora un provider dovesse agire in modo anticoncorrenziale, con l’obiettivo di danneggiare gli altri, mettendo quindi in atto una violazione ai principi dell’open internet, farà qualsiasi cosa in suo potere per fermarlo. La commissione ha ritenuto inoltre di sottolineare che al momento si tratta soltanto di proposte utili ad aprire un dibattito.
Inutile dire che le associazioni di consumatori sono in rivolta.
Intanto in Europa si sta producendo uno scontro simile, che vede protagoniste Vodafone e Deutsche Telecom. La loro richiesta sarebbe quella di far pagare tariffe superiori a Google e Netflix (dato il significativo uso delle infrastrutture), sostenendo che in assenza di aumenti tariffari non avrebbero alcun incentivo a fare investimenti per la modernizzazione delle reti, aumentando così il divario già esistente rispetto al mercato statunitense e asiatico.
di Elena D’Alessandri