Le “buone mosse” di Matteo Salvini

mercoledì 7 maggio 2014


Hai capito, il ragazzo! Sembrava che dovesse mangiarne di panettone prima di diventare un politico fatto e finito. E invece, no. Sono bastati pochi mesi e alcune mosse tattiche più che azzeccate per consegnare alla scena nazionale un leader che ha idee di ampio respiro. Lo si è visto la scorsa domenica, durante la manifestazione di Pontida. Ci si aspettava un discorso di routine propagandistica, a uso e consumo della prossima scadenza elettorale per le elezioni europee. Non è andata così. Matteo Salvini ci ha stupito. Ha rinfocolato in noi quegli interrogativi sorti già a seguito di alcune scelte culturali ardite, compiute dopo pochi giorni dalla sua elezione al vertice della Lega Nord.

Se è del tutto chiara la posizione anti-euro, assurta a leitmotiv di un riposizionamento strategico del movimento in relazione ai futuri assetti nell’organismo parlamentare della Unione Europea, suscita sorpresa la forte assunzione di responsabilità su alcuni temi per i quali Salvini auspica debba esistere un “idem sentire” con le regioni meridionali. A cominciare dalla questione dei respingimenti degli immigrati clandestini. L’annuncio di voler andare in Sicilia per stare al fianco di quella popolazione che, più di tutte, sta vivendo sulla propria pelle il dramma degli sbarchi quotidiani di disperati in fuga dal sud del mondo, non è solo scelta propagandistica. Essa cela una visione del Paese piuttosto attraente. Salvini sembra voler riprendere la teoria della distinzione tra “Stato” e “Patria”, riconducibile alla produzione di un pensiero che potremmo definire prerisorgimentale. Il giovane leader sembra voler evocare una nuova coscienza di identità collettiva, per tutti gli italiani, che sappia fare a meno dell’assioma sulla imprescindibilità dallo Stato-Nazione. Per ottenere questo risultato egli opera una separazione, anche plasticamente visibile, tra Stato e italiani. “Lo Stato dà 10 euro al giorno ai disabili, e 40 a chi sbarca la mattina da clandestino. È razzismo contro gli italiani, basta con queste schifezze”, sono parole sue.

L’obiettivo finale che appare all’orizzonte del nuovo leghismo è una diversa Europa. La sua fonte di legittimazione sarebbe nella proiezione, all’interno del perimetro continentale, dell’aspirazione comunitaria, non già di organismi statuali o di tecnostrutture dotate di speciali poteri, ma di popoli connotati da una specifica identità territoriale. Nelle tesi della Lega 2.0 affiora una consapevolezza, sconosciuta al leghismo tradizionale, circa la necessità di un’interazione degli effetti delle scelte politiche sull’intero sistema sociale italiano. Salvini è cosciente che il battito d’ali di una farfalla a Siracusa possa causare uno smottamento tellurico nel profondo nord di una valle alpina. Con questa convinzione l’egoismo padano dei tempi di Umberto Bossi appare una fase datata e non riproponibile nei nuovi scenari. Salvini ha ben chiaro quanto il battito d’ali di un barcone che scarica cento disperati possa ripercuotersi sulla tenuta sociale dell’amato nord nel momento in cui quei cento disperati finiscono per accamparsi nei sottopassi della stazione ferroviaria di Milano. Messa così, diventa anche spiegabile la scelta non più tattica, ma evidentemente strategica, di unirsi alla spinta movimentista della nazionalista Marine Le Pen per un’intesa che guarda ben oltre al 25 maggio prossimo.

Ma c’è dell’altro. La Lega di Salvini propugna la mobilitazione del “terzo Stato”. Nel suo orizzonte politico il ceto medio è in marcia verso la creazione di nuovi equilibri per le dinamiche sociali. Non resta fermo a guardarne la distruzione. “Oriana Fallaci ci ricordava che lottare per la libertà non è un diritto, ma un dovere. Lo è lottare contro l’euro. Quanti di voi stavano meglio, lavoravano di più, avevano il negozio, non avevano l’ansia di pagare il mutuo o di avere i soldi per cambiare il grembiule del figlio, e quanti invece si sono arricchiti con l’euro? Tanti hanno chiuso le imprese al Nord per aprire in Cina e in Turchia, e riempirci di merce contraffatta. Torniamo padroni di casa nostra, della nostra moneta, del nostro lavoro, della nostra fatica, dei nostri negozi, delle nostre aziende agricole. Viva l’agricoltura massacrata da quegli stronzi di Bruxelles! Ci riempiono di schifezze che arrivano dall’altra parte del mondo come se non fossimo più capaci di produrre niente”.

Il messaggio è chiaro e forte. La Lega propone al tradizionale blocco sociale del centrodestra un nuovo patto che escluda il moderatismo politico dalle sue opzioni strategiche. È una presa di posizione coraggiosa e lungimirante ed è un modo astuto per cavalcare, senza particolari danni, la tigre dell’indipendentismo il quale, soprattutto in Veneto, è tutt’altro che morto. Ma questa scelta rappresenta anche un colpo micidiale assestato alle speranze elettorali dell’alleato forzista. Appare ormai evidente che la corsa per le Europee la Lega la stia puntando più alla conquista del bacino di consensi di Forza Italia che non a quello del centrosinistra di Renzi o al fuoco fatuo del “cesarismo” grillino. Salvini per l’occasione ha coniato uno slogan seducente: “La rivoluzione del sorriso”. Sembra innocuo, ma non lo è. Piuttosto è un ossimoro. “Rivoluzione” è in primo luogo lotta e sangue. Semmai il sorriso viene dopo. A cose fatte. Allora dobbiamo pensare che il giovane Salvini abbia toppato? No. Al contrario. Dietro lo slogan ancora una volta c’è un ragionamento sottile. Vi è indicato un metodo: la lotta politica agita con la forza e, allo stesso tempo, vi è tratteggiato l’obiettivo: la pacificazione conquistata con una vittoria. Contro chi? Si chiederanno i lettori. Salvini sul punto è esplicito. I suoi nemici sono i poteri forti che siedono nella cabina di comando dell’Unione Europea. Quelli che lui, icasticamente, chiama: “Gli stronzi di Bruxelles”. Di costoro, l’algido volto della Merkel raffigura l’incarnato.

Che il futuro della Lega sia di lotta combinata al governo dei territori, non vi è dubbio. Anche il ricorso costante a riferimenti simbolici segna la scelta politica. Nel Pantheon leghista, la scorsa domenica, Salvini ha collocato la figura controversa di Bobby Sands, patriota nordirlandese combattente del Provisional Irish Repubblican Army, morto nel 1981 per le conseguenze di uno sciopero della fame, attuato durante la sua detenzione nel carcere di Maze. Sands protestava a oltranza contro il duro regime penitenziario inglese. Se non ve ne fosse già ampia prova, i richiami simbolici confermano la presenza, nell’orizzonte politico salviniano, di un progetto inequivocabilmente radicato a destra benché camuffato sotto le mentite spoglie di un moderno populismo deideologizzato.

È questo quindi, che dovremo aspettarci dalla Lega 2.0 nel prossimo futuro? Molto dipenderà dagli esiti della consultazione elettorale del prossimo 25 maggio. Se, per ipotesi, il movimento si collocasse intorno al 6/7% del consenso espresso, a fronte di un risultato di Forza Italia inferiore alla soglia psicologica del 20% e, allo stesso tempo, dovesse ulteriormente liquefarsi l’area centrista, oggi in parte tenuta dalla collocazione del Nuovo Centrodestra in combinata con l’Udc di Casini, sarebbe molto difficile immaginare, per i futuri assetti nazionali, un suo ritorno nell’alveo naturale del tradizionale centrodestra berlusconiano. Alcuni commentatori osservano che una tale prospettiva sia praticamente irrealizzabile perché Silvio Berlusconi, secondo il gossip, avrebbe nelle mani carte segrete che bloccherebbero all’origine ogni tentativo leghista di smarcamento. Se ciò sia vero non lo sappiamo. Può anche darsi che, in passato, Berlusconi, noto per la sua proverbiale generosità, abbia dato una mano a Bossi e compagni a tirarsi fuori da qualche pasticcio finanziario. Ma questo, se è stato, oggi è acqua passata. Le obbligazioni derivanti da crediti sono prescritte. I dirigenti leghisti di un tempo sono stati pensionati d’ufficio dai nuovi leader.

Salvini e i suoi sono un’altra cosa, rappresentano una storia nuova. Sarebbe salutare che Forza Italia ne prendesse coscienza al più presto e si preoccupasse di adottare le opportune contromisure. Al popolo di Berlusconi di certo non farebbe piacere ricevere, il 26 maggio, un’amara sorpresa.


di Cristofaro Sola