L’inutile litania attorno al “Def”

sabato 12 aprile 2014


Quando arriva il momento della presentazione del Documento di Economia e Finanza (Def) credo che il mondo della carta stampata sia travolto da un’ondata di noia e di sconforto derivanti dall’essere costretto a commentare in maniera sempre nuova un documento sempre uguale a se stesso.

Cambiano i numeri, cambiano i Governi, ma la manfrina è sempre la stessa: il Premier di turno presenta in pompa magna ed a reti unificate un documento che contiene generalmente sempre lo stesso, speranzoso e baldanzoso “non detto”. Il sottinteso suona sempre allo stesso modo ed è come se la vocina governativa tutte le volte volesse mormorarti in un orecchio che “la situazione è preoccupante, i dati per l’anno in corso sono un po’ bruttini, ma adesso arrivano le nostre riforme epocali a migliorare drasticamente le cose. Tempo un anno e vedrai la crescita schizzare alle stelle, il debito sforbiciato dalla nostra opera moralizzatrice, l’occupazione in rapida risalita e vissero tutti felici e contenti”.

Apriti cielo, il popolo tifoso si eccita e saluta l’estensore del Def come il salvatore della Patria giunto col destriero bianco a salvare le sorti della Nazione con le pezze sulle natiche tirando fuori dal cilindro “l’uovo di Colombo”, che se non ci fosse stato il prode economista del momento saremmo andati a tutti rotoli, perbacco. Di lì in poi è tutto uno snocciolare di cifre, previsioni, umori dei mercati (sì, i mercati hanno gli umori e c’è pure qualcuno che li capisce), proiezioni, dichiarazioni di Olli Rehn (solo quelle favorevoli, però), dati Istat e clima di fiducia delle imprese.

Anche i detrattori ovviamente snoccioleranno una serie di problemi e di falle nelle norme e diranno che è tutto sbagliato, è tutto da rifare ma, visto come va a finire con i fondamentali macroeconomici italiani, credo che purtroppo ci prendano sempre. Generalmente, invece, il coscienzioso osservatore aspetta di vedere i provvedimenti prima di esprimere un giudizio, ma tutte le volte “la ciccia” (il provvedimento) non te la fanno vedere visto che circolano delle bozze, i definitivi sono in fase di limatura, il ministro sta lavorando alacremente, la versione uno, la versione due, la versione tre; poi c’è l’iter parlamentare, sai, molte cose vengono stravolte… e menate simili.

Insomma, si parte per fare le pulci al Def ma si arriva stanchi alla versione definitiva, talmente stanchi che ci si perde svogliatamente nei meandri dei disegni di legge e delle norme attuative, fino a quando un nuovo tema di attualità ti libera dall’incombenza di dover commentare un provvedimento passato in cavalleria e soppiantato dall’ennesima, inutile polemica politica divenuta nel frattempo l’argomento del momento. In questo Monti e Saccomanni sono stati due eccellenti maestri nell’addormentare la partita sui vari Def tanto che (ma nessuno lo ammetterà mai) sono veramente in pochi coloro che hanno letto la versione definitiva delle loro finanziarie ed ancor meno coloro che ne hanno controllato lo stato di attuazione.

Come se non bastassero le lungaggini domestiche, ad allungare il brodo ci si mette anche l’Ecofin, quindi poi il ministro competente di solito prende armi e bagagli e fa il giro delle capitali europee per spiegare (come può) i buoni propositi del Governo e di solito le principali istituzioni internazionali, che ormai ci conoscono a menadito, tirano fuori i comunicati stampa dell’anno precedente e li sparano alle agenzie senza nemmeno rileggerli perché tanto non c’è bisogno. Un po’ come accade con l’opinione pubblica italiana, anche dall’estero, se dal principio esprimono “vivo apprezzamento per le ambiziose riforme del Governo italiano, tuttavia ci riserviamo di esprimere un giudizio compiuto solo dopo aver visto i testi definitivi licenziati dalle camere”, da quel momento in poi la cordialità va via via scemando.

Una volta arrivati all’analisi della “ciccia normativa”, generalmente dall’Eurotower si irrigidiscono parecchio e cominciano dapprima a “raccomandare all’Italia la puntuale attuazione delle riforme calendarizzate”, per poi richiamare il Paese al rispetto dei patti europei in tema di finanza pubblica. A quel punto l’imbroglio è chiaro, i nodi sono arrivati al pettine e l’eccitazione verso il Premier di turno si arresta; amen.

Fin qui il noioso cronoprogramma delle attività che ci aspetta nelle prossime settimane. Volendo, per dovere di firma, analizzare i provvedimenti di renziana fantasia, cominciamo col dire che gli 80 euro in busta paga ci sono, o almeno paiono esserci. A patto che servano veramente queste cifre ridicole per risvegliare l’economia, il gioco per assicurarli è molto semplice: si mettono 80 euro in busta paga ad una platea di contribuenti proprio nel mentre alla stessa categoria di persone si cassano le detrazioni per familiari a carico per un totale di circa 800 euro (65 euro al mese). La differenza tra gli 80 euro dati ed i 65 euro tolti costituisce il succulento aumento secco di reddito (15 euro).

Più in generale, i numeri comunicati da Renzi indicano tagli fiscali per 10 miliardi complessivi (6,6 miliardi per il periodo maggio-dicembre 2014) cui corrispondono coperture così composte: 4,5 miliardi derivanti dalla spending review, un miliardo derivante dai prelievi supplementari operati sulle banche che hanno visto rivalutato il capitale con il famoso “decreto Bankitalia” ed un altro miliardo che arriva dal gettito Iva supplementare, dovuto al pagamento degli arretrati della Pubblica amministrazione.

Coperture ballerine, vediamo perché: i risparmi derivanti dalla spending review non sono istantanei. Tagliare in Italia non è facile, s’incontrano mille resistenze e comunque il procedimento è lungo e tortuoso. Fare affidamento sul Piano Cottarelli come se esso fosse stato già attuato è come comprarsi la Ferrari contando di vincere il Superenalotto. La tassazione delle banche, invece, riguarda plusvalenze relative all’anno in corso e che l’anno prossimo andranno colmate con nuove entrate. Nulla di strutturale, dunque. Ovviamente gli istituti di credito provvederanno immancabilmente a scaricarle sui clienti le maggiori tasse e comunque, in quanto entrate una tantum, lasciano presagire che gli sconti fiscali operati dal Premier dureranno fino a dicembre, a meno che non si trovino nuove risorse per l’anno prossimo.

Niente di duraturo quindi, così come per il maggior gettito Iva. Esso si verificherà straordinariamente per l’anno in corso, anticipando il gettito Iva che si sarebbe verificato negli anni a seguire e cioè quando le fatture della PA sarebbero state pagate. Anche in questo caso bisognerà pensare a nuove coperture per gli anni successivi. È giallo invece sui 4,5 miliardi del Piano Cottarelli: la Ragioneria generale dello Stato ci fa sapere che essi, stante una norma emanata dal Governo Letta, sarebbero già stati impegnati da Saccomanni e quindi inutilizzabili. Bella fregatura per Renzi, visto che la spending review costituiva il fulcro delle sue coperture.

Uno “spottone” ad impatto zero quindi, così come lo sono state le manovre finanziarie degli ultimi dieci anni: una noia mortale. Con buona pace di chi voleva trasformare un banale venditore fiorentino di auto blu su eBay in uno statista.


di Vito Massimano