Movimenti eretici di ieri e di oggi

martedì 11 marzo 2014


Movimenti eretici contrari alla egemonia della pubblica amministrazione. Predicatori inascoltati del ritorno al liberalismo nella erogazione dei servizi pubblici. La Curia pubblica, gli enti pubblici dimentichi dei principi economici e giuridici hanno gareggiato per fasto e magnificenza con uffici principeschi e stipendi manageriali dalle mille e una notte. Il nepotismo ha avuto e ha le sue manifestazioni più deleterie.

Liberarsi dalla supremazia del dominio degli enti pubblici è la nuova idea-forza che alimenta le proteste di piazza, dei non allineati, dei reprobi della monarchia dei sindacati. Lo scontro tra la conservazione dei privilegi, dei detentori del posto fisso ed i precari del libero mercato. Le vaste disorganiche competenze degli enti pubblici, le accresciute richieste di denaro al mondo produttivo (imposte, tasse, maggiorazioni, tributi che spuntano come i fiori in primavera), che alimentano la dissipazione del reddito prodotto dai lavoratori e favoriscono la moltiplicazione delle clientele, hanno causato, unitamente alla crisi mondiale, il default dell’Italia.

La prova inconfutabile viene evidenziata da due semplici dati. Gli italiani subiscono la pressione fiscale tra le più pesanti del mondo, l’apparato pubblico non ha il denaro in cassa per erogare i servizi e pagare i fornitori (le imprese private che hanno fornito beni e servizi agli enti pubblici). Giustificare questo fallimento con l’evasione fiscale, che pure va combattuta, vuol dire essere conniventi con tutti coloro che ingrassano a spese della collettività. Lo scisma tra i difensori del tutto pubblico (l’aggregazione di partito col sistema delle clientele) e gli imprenditori privati (piccoli e grandi) è già un dato di fatto. La vendita delle indulgenze pubbliche (posto fisso, incarichi, consulenza, nominati in Parlamento, collocati nelle università, designati nelle Asl, immessi nelle Authority, assunti come portaborse, proposti come candidati, paracadutati nell’azienda Rai, proposti come conduttori, ecc) sembra non avere fine, nonostante il rapido cambio dei Governi.

Ricorda le lotte religiose della Riforma e Controriforma del 1500 d.C.. Nel 1571 Papa Leone X per ottenere il denaro necessario alla ricostruzione della Basilica di San Pietro aveva promosso un’indulgenza speciale ai fedeli che avessero contributo con offerte. In Germania l’iniziativa assunse il carattere di una vera e propria vendita. La banca Fugger fu incaricata dell’appalto della riscossione delle somme. Ma i veri motori di questo gigantesco affare furono appunto i Fugger (nella foto Jacob Fugger detto “il ricco” in un ritratto di Durer), i banchieri di Augusta (Augsburg) che, tra il 1500 e il 1550, possedevano un potere economico e politico senza eguali.

Anche oggi le banche trovano sempre il modo per speculare anche quando piove sul bagnato. Come allora i sacrifici, le responsabilità, il carico delle sofferenze sono di molti, le condizioni di favore, i privilegi sono di pochi. Questa è la disuguaglianza, bisognerebbe suggerire alla Camusso. I sindaci dei Comuni, i presidenti di Regione che si lamentano dei tagli si dovrebbero dimettere. Agosto del 2011: Governatori di Regione, presidenti di Province e sindaci sono assolti da tali accuse, anzi sono difesi dal presidente della Conferenza Stato- Regioni Vasco Errani e dal vicepresidente dell’Anci, Graziano Derio, decisamente contrari al principio del pareggio di bilancio. Con i soldi siamo tutti bravi; è con poco denaro che l’azienda pubblica deve funzionare, dovrebbe essere più competitiva del privato per accreditarsi migliore.

Risanare con i soldi degli altri è facile. Chi è capace risana con le somme disponibili, altrimenti va a casa. I 2.200 miliardi di debito pubblico non sono piovuti dal cielo, ma sono esattamente i debiti che lo Stato comunità (i cittadini) ha contratto, coprendo i debiti di tutti gli enti pubblici che generosamente hanno amministrato elargendo somme a piene mani, senza controlli di gestione e rigore contabile. All’epoca (1522) le classi misere credettero giunto il momento di attuare i principi cristiani di giustizia ed uguaglianza, mentre i piccoli nobili decaduti ed impoveriti espressero il loro malcontento con una violenta ribellione che fu presto domata dai grandi feudatari. Oggi non saranno certo i 160 parlamentari grillini a salvare l’Italia dalla bancarotta, considerato che sono giunti al vertice del potere rappresentativo con il “vaffa”, né saranno gli interessati detrattori del Presidente Napolitano a modificare il viaggio verso l’abisso. Questi personaggi, più o meno consapevoli, favoriscono il cosiddetto default. Soprattutto perché non hanno capito o non vogliono colpevolmente capire che il decentramento (la democrazia del territorio) è clamorosamente fallito e costa alla collettività la metà del reddito nazionale prodotto dai lavoratori in un anno: 800 miliardi.

Non ci siamo indebitati per investire, ma per creare improduttivi posti di lavoro pubblici e conseguentemente accrescere la legislazione dell’apparato pubblico (per definire compiti e funzioni) che insieme forma quel mastodontico ostacolo alla crescita e allo sviluppo che si chiama burocrazia. L’Italia non potrà salvarsi se gli italiani daranno credito alle idee e proposte di Vendola, Civati, Grillo, Casaleggio e tutto il variopinto arcipelago dei nostalgici del Pci.


di Carlo Priolo