La parità di genere: ideologia o furbata?

martedì 11 marzo 2014


La legge elettorale a febbraio, la riforma del lavoro a marzo, quella della Pubblica Amministrazione ad aprile, quella del fisco a maggio. Queste erano le promesse di Matteo Renzi all’atto del suo insediamento a Palazzo Chigi.

Sulla prima siamo già in ritardo e le nubi che si addensano all’orizzonte non lasciano presagire nulla di buono, mentre sulle altre è buio pesto. Qualcuno potrebbe piccarsi affermando che il nuovo Premier non ha la bacchetta magica e non può risolvere tutto in un istante. Vero, ma non siamo stati certo noi ad imporre uno scadenziario così serrato né tantomeno a promettere la luna come ha fatto il piazzista fiorentino.

La politica è diventata un fatto virtuale: si twitta una riforma e tanto basta per avere la coscienza a posto, affermare con orgoglio nei vari pollai televisivi che il lavoro procede a tappe serrate e crogiolarsi dietro a slogan (hashtag) – come ad esempio “la volta buona” – che descrivono una realtà esistente solo sugli smartphone dei social-politici. Intanto il Paese, se da un lato soffre, dall’altro partecipa attivamente al talk-show collettivo di cui Renzi è solo il conduttore pro tempore, colui che mixa problemi reali e problemi da salotto nell’unico frullatore della chiacchiera politica.

Prendete la legge elettorale: in un Paese normale essa dovrebbe essere un dettaglio da risolvere nei ritagli di tempo tra un provvedimento serio e l’altro, un metodo che un Paese si sceglie per selezionare la classe politica onde poi attivarsi nella risoluzione dei problemi veri. In Italia invece l’Italicum si è trasformato in una storia infinita zeppa di intrighi, giochi di potere, emendamenti. Probabilmente saremo i primi al mondo ad avere una riforma elettorale post datata come gli assegni: la facciamo oggi, tarata su un’unica Camera ed entrerà in vigore (a babbo morto) solo dopo l’abolizione del Senato.

Adesso ci si sono messe anche le gentili signore Parlamentari ad alimentare la fiera della banalità con gli emendamenti sulla “parità di genere”. Solo gente fuori dalla realtà come i marziani che siedono in Parlamento poteva coniare una formula in base alla quale si dovrebbe assicurare per legge una quota di presenza femminile da portare in Aula. Le signore autrici di questa geniale trovata sembrano venute direttamente da un salotto del sessantotto e, al grido dello slogan “l’utero è mio”, vorrebbero farci credere che una classe politica eletta a liste “doppiamente bloccate” (imposte dalle segreterie di partito e dal sesso dei candidati) sarebbe il modo corretto per distribuire equamente il potere creando un Parlamento “dei migliori”.

Problemi di costituzionalità a parte, la politica dovrebbe farla chi la sa fare e questo giudizio dovrebbe spettare insindacabilmente ai cittadini, indipendentemente da considerazioni di genere (che poi, oltre alle donne e agli uomini, in astratto ci sarebbero anche altri generi da tutelare). Ancora una volta lorsignori/e si stanno concentrando su una norma che assicura loro la sopravvivenza, incaponendosi su estenuanti trattative aventi ad oggetto il niente mentre l’Italia brucia e loro manco se ne accorgono perché la realtà non sanno nemmeno dove sia di casa.

Vogliono mettere per legge i posti riservati come se non stessimo parlando di donne ma di invalidi, di svantaggiati da tutelare per legge. Per fortuna la società civile è piena di donne che chiedono di essere selezionate per merito e per capacità senza piatire alcuna riserva indiana e probabilmente si sentono offese al solo pensiero di farsi considerare categorie protette. Credo che le donne abituate a smazzarsi la vita quotidiana con impegno siano totalmente diverse da queste parlamentari affette da un finto rigurgito tardo femminista, dietro il quale si cela poca ideologia e tanta paracula voglia di sentirsi garantite ope legis.


di Vito Massimano