giovedì 27 febbraio 2014
Nel momento in cui l’Italia andrà ad assumere la Presidenza dell’Unione Europea è opportuno ricordare, soprattutto ai giovani che emigrano in altri Paesi alla ricerca di un lavoro, come l’unità europea è nata, come si è sviluppata e quali clamorosi errori sono stati commessi dai nostri governanti e non solo da loro, nella sua realizzazione.
Uno dei grandi ispiratori dell’unità d’Europa è stato Altiero Spinelli (nella foto), che con il Manifesto, scritto a Ventotene nel 1941 quando, assieme a Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e altri, si trovavano confinati in quell’isola. La ragione principale che permise di realizzare il primo abbozzo dell’unità europea, con il trattato di Roma del 1954, al quale parteciparono i rappresentanti di Germania Francia, Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo, era quella di evitare che tutti questi Stati, soprattutto Germania e Francia, evitassero nuove guerre fra di loro che in passato avevano distrutto l’Europa e dato vita ai peggiori regimi totalitari. La Conferenza di Versailles tenuta alla fine della Prima guerra mondiale, con le enormi sanzioni che le potenze vincitrici avevano imposto alla Germania furono la causa principale dell’avvento del Nazismo, grazie alla disastrosa situazione in cui era caduta l’economia tedesca.
Fortunatamente questo clamoroso errore non fu commesso alla fine della Seconda guerra mondiale. In questi sessant’anni che sono trascorsi dal Trattato di Roma, molti eventi si sono succeduti sotto il profilo politico, sociale e tecnologico, per cui agli occhi dei giovani il mondo ci appare più piccolo. Oggi raggiungiamo Parigi in poco più di un’ora, mentre negli anni Cinquanta occorrevano tre ore soltanto per raggiungere Roma o Milano partendo da Firenze. Anche il crollo del muro di Berlino ha contribuito a diminuire queste distanze. Dobbiamo osservare, tuttavia, che l’accelerazione che è stata impressa in questa direzione in molti casi ha prodotto dei guasti. La liberalizzazione dei mercati grazie al Trattato di Schengen, il quale ha previsto la libertà di movimento delle persone e delle merci nell’ambito della Comunità (che oggi è composta di 27 Paesi con le loro differenti culture) ha fatto sì che, grazie all’apertura delle frontiere, queste nazioni si sono trovate di colpo a dover affrontare nuovi problemi quali la concorrenza, lo spostamento di masse di lavoratori sia all’interno della Comunità sia all’esterno. L’unità europea ha dovuto affrontare questi grandi problemi anche con l’affacciarsi sul mercato mondiale dei Paesi dell’Asia, soprattutto India e Cina che, in molti casi, adottano una scorretta concorrenza nel presentare sul mercato europeo i loro prodotti.
Ma l’Unione Europea si è mossa in maniera differente rispetto a quanto auspicato da Altiero Spinelli. Questi, nel suo manifesto auspicava una unità politica prima di quella economica, la quale sarebbe dovuta realizzarsi mediante una serie di trattati commerciali. I governanti europei, credendo di accelerare questo processo di unificazione, hanno anteposto l’unità economica a quella politica, realizzando una moneta unica: l’Euro. Oggi è opinione comune che gran parte dei nostri mali sia stato proprio l’Euro. Soprattutto per come è stato realizzato. A questo proposito è necessario conoscere l’opinione degli economisti, i maggiori dei quali riconoscono che questo è stato un grave errore. I principali premi Nobel dell’economia, siano essi considerati appartenenti alla scuola monetarista o alla scuola Keynesiana, come Milton Friedman, su posizione legata al liberalismo economico o altri legati ad altre scuole economiche, si sono dichiarati estremamente contrari all’introduzione della moneta unica.
Nel 1998, prima che la moneta unica entrasse in circolazione, Friedman ebbe ad affermare che la spinta per l’Euro è stata motivata dalla politica e non dall’economia e spiegava che la moneta unica è un Soviet e Bruxelles e Francoforte prenderanno il posto del mercato. L’allora Presidente del Consiglio, Romano Prodi, rispondendo ai cronisti sull’affermazione fatta dall’economista americano nella sua intervista al Corriere della Sera, ribadì che Friedman ha sempre detto che non è possibile e che l’Europa è una torre di Babele perché abbiamo lingue diverse. Mi auguro che Friedman, anzi, sono sicuro, ma voglio più modestamente dire mi auguro, che sia smentito dai fatti. Ma quella di Friedman non era una voce isolata. In precedenza un altro grande economista Nicolas Kaldor, ungherese naturalizzato inglese di tendenze keynesiane e consigliere economico del Gabinetto Laburista di Harold Wilson, previde con estrema lucidità le conseguenze negative cui l’Europa sarebbe andata incontro con l’introduzione dell’Euro a causa dello squilibrio commerciale fra i vari Paesi, a causa di un regime di cambi fissi che si sarebbe realizzato e in assenza di un’armonizzazione del mercato del lavoro e del sistema fiscale. Forse le intuizioni di Kaldor contribuirono a far sì che l’Inghilterra non entrasse nell’Euro.
Ma queste non sono state voci isolate. Anzi, il coro degli economisti contrari all’Euro è aumentato, soprattutto fra coloro che nel recente passato hanno ricevuto il Premio Nobel per l’economia. Un altro Nobel per l’economia è Amartya Sen, il quale in seconde nozze ha sposato Eva Colorni figlia di Eugenio Colorni, come ricordato, uno dei tre firmatari del Manifesto di Ventotene. Questa circostanza ha rappresentato l’occasione di avere frequenti colloqui proprio con Altiero Spinelli. In un’intervista rilasciata di recente al Corriere della Sera, Amartya Sen ha affermato che, non che la moneta unica vada disfatta, ma è stata un errore che ha prodotto conseguenze negative per l’Europa. In quest’intervista si è dimostrato preoccupato della dinamica politica dell’Unione Europea. Questo comportamento ha provocato altri errori, il peggiore di questi è stata l’imposizione di politiche di austerità ai Paesi più deboli.
Oggi possiamo affermare che la schiera degli economisti contrari all’Euro è notevolmente aumentata. Alcuni di essi hanno osservato che nella storia dell’umanità prima sono sorti gli Stati e successivamente si sono dotati di una moneta, e non viceversa come è avvenuto per l’Euro. È stato osservato che negli Stati Uniti il dollaro è la moneta comune fra tutti gli Stati, ma la differenza fondamentale è quella che sia il sistema fiscale, quello previdenziale e quello legato al lavoro è uniforme in quanto le politiche in questi settori sono dettate dal governo federale in maniera uniforme in tutti questi settori. Per comprendere le distorsioni che l’introduzione dell’Euro ha prodotto basta sintetizzare i seguenti elementi: La politica fiscale dei Paesi appartenenti all’Unità Europea è estremamente differenziata. In Italia la pressione fiscale à raggiunto livelli insostenibili ed è più alta di quella di molti altri Paesi. Tutto ciò significa che i capitali tendono a spostarsi nei Paesi dove questa è inferiore. Non solo. La pressione fiscale si riflette sull’aumento dei costi delle merci e della manodopera, per cui un bene prodotto in Italia ha un costo maggiore di quello prodotto in uno dei Paesi a noi vicini. Questo, assieme al notevole costo del lavoro, provoca la delocalizzazione delle aziende in altri Paesi della Comunità.
Abbiamo già accennato a quali conseguenze l’eccessivo costo del lavoro produce. Tutto ciò comporta la difficoltà da parte degli imprenditori di assumere del personale e di tentare di produrre in altri Paesi dell’Europa i propri prodotti. Tutto ciò si riversa in modo negativo sulla bilancia dei pagamenti in quanto in questa situazione è più difficile vendere i propri prodotti che hanno un costo maggiore, mentre è più facile acquistare beni e prodotti ad un prezzo inferiore realizzati in altri Stati dell’Unione.
Giungendo alla conclusione del nostro ragionamento possiamo affermare che i governanti, sia nazionali che della Comunità, debbano ascoltare con maggiore attenzione i suggerimenti degli economisti. Una cosa è certa. È necessario dare una sterzata alla politica dettata dalla Comunità Europea. Se è difficile uscire dall’Euro perché le conseguenze sarebbero estremamente gravi, altrettanto grave è rimanere nell’Euro senza una profonda modifica dei meccanismi monetari comunitari. Oggi, nel momento in cui nasce un nuovo Governo e si discute se nominare al dicastero dell’Economia un tecnico o un politico, ritengo che sia necessaria la presenza di un politico il quale, come rappresentante di tutte le forze politiche, imprima una vera svolta alla politica economica dell’Unità Europea. I tecnici dovranno supportare il ministro nell’indicare la strada da seguire.
di Alessandro Terzani