martedì 4 febbraio 2014
Anche quest’anno ho partecipato con profonda commozione alla rievocazione ufficiale della Shoah svoltasi al Quirinale. Ascoltando le parole del presidente della Comunità Ebraica, i discorsi dei giovani studenti ebrei e cristiani reduci da una visita ad Auschwitz e infine il nobile intervento del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, mi sono tornate in mente le riflessioni di Primo Levi nel suo indimenticabile libro “Se questo è un Uomo”. Inesorabile, inspiegabile, imperituro sono alcuni degli aggettivi che sorgono in mente pensando alla Shoah. Al Quirinale è stato perfino mostrato un film di propaganda – o frammenti di un film – prodotto dal Comando dalle SS, che mostrava un concerto tenuto in un campo di concentramento con musicisti ebrei davanti ad un pubblico ebreo, concerto che inneggiava alle vittoriose armate del Reich.
Alla fine ci è stato spiegato che dopo il concerto, orchestrali e pubblico erano stati gradualmente avviati allo sterminio. La tensione spirituale di quel giorno al Quirinale, seduto accanto ad una signora che aveva perso numerosi suoi congiunti nei campi della morte, derivava anche dai miei ricordi d’infanzia. Quando circolavano nelle scuole i cosiddetti “Ispettori della Razza” per verificare, se, per caso, vi fossero ancora scolari di origine ebraica che frequentassero “abusivamente” quelle scuole. Fin da allora (avevo tredici anni) ebbi un barlume della gravità di quella crisi etnica, politica, nazionale. Il giornale italiano “La Difesa della Razza” infieriva sull’invocare la piena realizzazione di quelle leggi obbrobriose firmate da un Re Savoia il cui antenato ci aveva dato le libertà risorgimentali.
Ma vi è un aspetto nei discorsi ufficiali della Giornata della Memoria che mi ha lasciato - confesso - una certa amarezza, che vorrei condividere con i miei amici ebrei e con i miei colleghi della nostra Associazione Nazionale dei Combattenti della Guerra di Liberazione, inquadrati nei reparti regolari delle forze armate. L’amarezza deriva dal fatto che nessuno degli oratori, tranne il Capo dello Stato, ha parlato di quei centomila italiani, soldati con le stellette e patrioti senza stellette che sono morti nella lotta contro il regime nazista del genocidio. Nessuno ha parlato di quegli otto milioni di soldati alleati di tante nazioni, dagli americani agli inglesi ai russi ai polacchi, ai sudamericani, ai canadesi, agli indiani ai neozelandesi ai francesi caduti nella Guerra di Liberazione europea. Perché, cari amici, se non ci fossero stati quegli eserciti vittoriosi sulle forze del male, i forni di Auschwitz forse sarebbero ancora i funzione: se non contro gli ebrei già quasi tutti massacrati, certo contro gli oppositori del sopravvissuto regime nazista.
La vittoria del 1945 è la vittoria dell’umanità contro un regime che due Pontefici, l’uno polacco Giovanni Paolo II e l’altro tedesco Benedetto XVI, a pochi anni di distanza in visita pastorale ad Auschwitz hanno definito “Nemico di Dio e del’Umanità” Sarebbe troppo dunque, amici ebrei, politici italiani di ogni tendenza; sarebbe troppo chiedere di ricordare nel Giorno della Memoria non solo i sei milioni di ebrei (oltre ai Rom, ai malati, agli omosessuali), ma anche quegli otto milioni di caduti per la Liberazione dell’Europa, tra cui centomila italiani? Che la memoria dei martiri ebrei si dilati dunque fino ad includere i liberatori che hanno rimosso dall’Europa il regime del genocidio nazista. Oltre alla visita ai campi di sterminio perché non visitare insieme qualcuno dei tanti cimiteri della Guerra di Liberazione?
(*) Presidente nazionale Ancfargl
di Alessandro Cortese de Bosis (*)