Ma si può fare un partito del 37%?

venerdì 31 gennaio 2014


Finalmente la legge elettorale ha un suo assetto pressoché delineato. Che sia definitivo è tutto da vedere, ma quanto sin qui sappiamo può bastare per lanciare qualche spunto di riflessione. Siamo fermamente convinti che il sistema migliore sia quello rappresentato da collegi uninominali maggioritari: ci si candida nel collegio e chi prende un voto in più vince. Ogni tipo di variazione sul tema ci sembra una complicazione inutile.

Questo sistema garantisce rappresentanza ai territori (ogni collegio un eletto), costringe chi si candida a metterci la faccia e riduce al minimo l’effetto distorsivo dei premi di maggioranza (la distorsione si manifesta nel collegio – piccolo – e non sull’intero Parlamento). È vero: non assicura maggioranze certe quando le urne si chiudono e può portare a governi di coalizione. Resta il fatto che sarebbe salutare se gli esiti di quei governi fossero decisi da parlamentari che poi devono andare a guardare in faccia i cittadini e misurarsi su quel che il governo fa. In Gran Bretagna il governo Conservatori-LibDem si è fatto, c’è stato qualche strattone, ma niente a che vedere con il Vietnam che ogni cinque minuti hanno dovuto affrontare Monti o Letta. Fatta questa debita premessa, il centrodestra è chiamato oggi a confrontarsi con due sfide non di poco conto.

La prima, la più importante, è vincere le elezioni. La seconda, non meno rilevante, è sperare di farlo con una classe parlamentare degna di tal nome. E chi siede in Parlamento per grazia (di Berlusconi) ricevuta, molto spesso non ha queste caratteristiche. Visto che la soglia per accedere al premio di maggioranza al primo turno è al 37% e che il secondo round elettorale rappresenta da sempre per il centrodestra un bagno di sangue, i moderati italiani dovrebbero interrogarsi sulla possibilità di dare vita ad un partito del 37,1%. Come si fa? Non ci pare servano fini politologi: basterebbe avere il coraggio di abbandonare il proprio orticello ed accettare di navigare in mare aperto, magari con una rotta un po’ più chiara di quella sin qui tenuta.

Il partito in questione non può essere Forza Italia (che sta almeno 15 punti sotto la soglia e rappresenta una forza con una coalizionabilità molto limitata), non può essere con ogni evidenza il Nuovo Centrodestra né tantomeno un rassemblement tra montiani, popolari e Udc. Tutti questi soggetti, però, possono e devono concorrere alla creazione di un partito moderato, inclusivo, orgogliosamente di centrodestra e con una spiccata vocazione maggioritaria. Fantascienza? Mica tanto. Nel 2008, il Pdl prese da solo il 37,4% e, fossimo nelle condizioni attuali, vincerebbe le elezioni senza grossi problemi.

Quel che è accaduto da quel giorno è sotto gli occhi di tutti: invece che perseguire un’idea occidentale e anglosassone di country party si è preferito continuare sulla strada del “one man show” (e non ci riferiamo al solo Berlusconi), dilapidando un consenso ed un vantaggio strategico senza precedenti nella storia del nostro paese. Ricreare quelle condizioni è possibile, a condizione di aver capito cos’è successo e di provare a non commettere lo stesso errore: Forza Italia, Ncd, Udc, Popolari, Fratelli d’Italia, La Destra (e certamente dimentichiamo qualcuno) dovrebbero avere la forza di siglare un patto in cui accettano di cedere tutti un pezzo della loro autonomia politica per dar vita ad un soggetto ampio, che scelga la propria classe dirigente con primarie aperte e che rimetta in moto il sogno di un partito moderato capace di conquistare il cuore e le menti degli italiani.

Non è una cosa fattibile a piccoli passi o per gradi, serve una sterzata netta: alle prossime elezioni si impegnino ad andare così, sotto un unico simbolo, facendo primarie vere per superare questa cosa ridicola delle liste bloccate e rimettere al centro del dibattito politico le idee e le prospettive offerte alla propria parte e al Paese. Il momento migliore non è domani, è adesso. Proprio ora che il sogno di un grande partito di centrodestra sembra tramontato per le divisioni personali, un’intera classe politica ha l’opportunità di riscattarsi e di dimostrare che non si rassegna alla bella faccia di Renzi a fare da foglia di fico alla solita, brutta, sinistra. Coraggio. Ci vuole solo quello.

Tratto da Notapolitica.it


di Andrea Mancia e Simone Bressan