mercoledì 29 gennaio 2014
Non vogliamo rovinare la festa al Cavaliere e ai suoi supporters, ma la celebrazione dei vent’anni dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi merita qualche nota un po’ più approfondita del semplice giubilo di alcuni e del trito e ritrito dileggio di altri. Il videomessaggio del 26 gennaio 1994 ha con certezza cambiato marcia alla politica italiana e ha costretto tutti ad aggiornare messaggi, modalità di comunicazione e strategie elettorali.
Vista da sinistra, l’epopea berlusconiana è stata un’autentica maledizione: ha unito un fronte moderato disomogeneo e fino ad allora silenzioso, ha impedito la scalata al potere di Occhetto nel 1994, reso impossibile governare a Prodi nel 1996 e nel 2006, portato a casa larghe vittorie nel 2001 e nel 2008, costretto tutti allo stallo nel 2013. Peccato che, vista da destra, sia stata tutt’altro che una favola con lieto fine assicurato. Berlusconi si è dimostrato uno straordinario condottiero in campagna elettorale, un gigantesco solista capace di dribblare palla al piede l’universo mondo. È stato molto meno bravo quando si è trattato di governare e di creare le condizioni perché il centrodestra diventasse qualcosa di presentabile anche oltre il carisma del suo leader.
La cifra politica della sconfitta di questi anni è evidente e si percepisce nella sua complessa semplicità anche solo riavvolgendo il nastro di quel videomessaggio: dopo due decenni i problemi del Paese sono ancora tutti lì, i limiti dei moderati sono ancora gli stessi, le riforme fondamentali per togliere “lacci e lacciuoli” sono ancora tutte da fare. Eppure i Governi Berlusconi alcune cose intelligenti le hanno messe in cantiere: la Legge Biagi, l’introduzione della no-tax area, un seppur lieve tentativo di ridurre le tasse, un convinto filo-atlantismo in campo internazionale. Tutte cose che, però, sono state sporadiche intuizioni – spesso elettorali – e mai riforme di sistema, sostenute da un movimento culturale e politico capace di cristallizzare quei valori e quei provvedimenti nella mente e nel cuore degli italiani.
A Berlusconi è mancata la capacità di governo di Margaret Thatcher e Ronald Reagan e questo lo consegna alla storia come il leader di una parte sempre più piccola (il centrodestra valeva il 50% sei anni fa, oggi Forza Italia è di poco oltre il 20) e con un’eredità che non è percepita né sul piano politico, né su quello economico, né tantomeno su quello istituzionale. L’Italia a cui Berlusconi parla nel videomessaggio del 2014 è esattamente la stessa di quel gennaio del 1994: si discute esattamente delle stesse cose che non si faranno e siamo alle prese con una crisi dei partiti e della politica del tutto simile a quella dell’immediato post-tangentopoli. Le colpe, ovviamente, non sono tutte sue. Ma non possono nemmeno essere tutte degli altri: il Cavaliere è un gigante circondato da nani. Ma quei nani se li è scelti con cura, li ha allevati, li ha scaricati quando crescevano troppo in consenso ed indipendenza di giudizio.
Ha sempre messo la lealtà assai prima delle capacità e il risultato tragicomico è che uno come lui, eccezionale nel creare team vincenti in campo privato, si ritrovi tra le mani una classe dirigente che non è mai riuscita ad essere un sostegno vero e che ha fatto l’esatto contrario di quel che dovrebbero fare gli uomini chiamati a supportare leadership di questo tipo. Invece di costruire attorno a lui un consenso diffuso e capace di durare nel tempo, si sono accontentati di un orticello culturale e politico molto proficuo per i pochi del cerchio magico, ma incapace di diventare maggioranza nel Paese.
Anzi, come incredibili Re Mida all’incontrario, hanno trasformato le maggioranze del 2001 e del 2008 in minoranze ininfluenti e folkloristiche, hanno allontanato establishment culturali ed economici, rinunciato del tutto a coltivare una classe dirigente capace di prendersi il futuro che le spetta e costretto molti uomini e donne di centrodestra ad aggrapparsi a Matteo Renzi. Basterebbe questo per dire che non c’è proprio niente da festeggiare. Ma chi sta con Berlusconi oggi si accontenta di essere seduto al tavolo dove si soffieranno le candeline, sapendo bene che in questi vent’anni a spegnersi sono state le speranze di avere in Italia un centrodestra all’altezza delle migliori esperienze conservatrici e repubblicane occidentali.
Tratto da Notapolitica.it
di Andrea Mancia e Simone Bressan