La culla del diritto è davvero vuota

martedì 28 gennaio 2014


L’Italia sarà pure la culla del diritto, ma la creatura non è mai cresciuta. Per cercare di ottenere un processo passabilmente civile, la Costituzione viene infarcita di espressioni ridondanti e prolisse, che dimostrano quanto la realtà sia difforme dall’ideale. Con la riforma del 1999 la nostra Carta ha recepito ed esplicitato taluni basilari principi del giusto processo derivati dalla tradizione giuridica angloamericana. Opera sacrosanta.

Tuttavia è difficile spiegare negli Stati Uniti e nel Regno Unito un’ovvietà come il “giudice terzo ed imparziale”. Un giudice che parteggi, non neutrale, cointeressato al processo, che giudice è? Può mai essere chiamato giudice chi pronuncia il diritto nel caso sottopostogli, essendone partecipe o sodale delle persone implicatevi? La legge, poi, “assicura la ragionevole durata del processo”. Magari! La verità è che la legge non assicura un bel niente, quasi sempre. È noto che nell’interpretazione giuridica l’indicativo tiene le veci dell’imperativo. Quindi la legge “deve” garantire processi brevi. Invece è essa stessa per lo più la causa della violazione del dovere che sarebbe tenuta ad imporre.

Tanto vero che proprio una legge provvede all’equa riparazione quando è violato “il termine ragionevole del processo”. Qui però bisogna stare attenti. La parola “termine” è molto scivolosa nel diritto italiano, sempre per il motivo che il fantolino stenta a lasciare il nido d’infanzia. Esistono il termine di efficacia, il termine di adempimento, il termine essenziale. Tutti i termini sono o dovrebbero essere perentori. Ma nella pratica sono stati inventati i termini “ordinatori”, una specialità genuinamente italiana, tipo la pizza. Il termine ordinatorio è un non-termine, come se non esistesse. Il suo rispetto è rimesso alla sola buona volontà dell’obbligato. Lo stabilisce il giudice, spesso a favore di se stesso. Un ossimoro, in buona sostanza. Il “festina lente” degli antichi romani, che i giudici, questo sì, applicano con rigoroso scrupolo ai processi.

Il termine ordinatorio è impossibile da far capire agli Anglosassoni. Altrettanto impossibile è ficcare in testa agli italiani, legislatori compresi, che il giudice angloamericano non giudica nel senso nostrano, bensì arbitra la procedura ed emette la sentenza sulla base del verdetto della giuria. A parte le tante altre differenze istituzionali, basta questa a rendere quel giudice inconciliabile con la Costituzione, le leggi, la mentalità italiana.


di Pietro Di Muccio de Quattro