Preferenze sì o no? Un finto problema

mercoledì 22 gennaio 2014


La trattativa sul sistema elettorale è al giro di boa. Ma deve superare le ultime resistenze all’innovazione istituzionale concordata da Silvio Belrusconi e da Matteo Renzi, tutte incardinate sulla questione dell’alternativa manichea tra preferenze sì e preferenze no. Il dibattito è legato in realtà alle rispettive convenienze: gli oppositori interni del Pd, il Ncd di Alfano, Casini e Lista Civica non intendono mollare l’osso delle preferenze camuffando i rispettivi appetiti politici dietro il nobile intento di interrogarsi su come coniugare la riforma elettorale e la qualità della politica e strizzando l’occhio alla richiesta da parte dell’elettorato di illusorie conquiste di una modalità di voto più democratico e più rappresentativo.

Un approccio tanto miope quanto ingannevole e strumentale che si risolve in semplicistiche contrapposizioni manichee che stabiliscono fallaci paletti sulla modalità di voto più democratico e più rappresentativo. Le preferenze, è bene ricordarlo, da sempre, al di là dell’illusoria garanzia della scelta dei parlamentari che, al contrario, vengono decisi dai vertici di partito e solo formalmente scelti dagli elettori, sono un bacino di coltura di ricatto, lobby e malaffare. Un moltiplicatore delle spese delle campagne elettorali e dei costi per i candidati che spesso sono i costi della corruzione e, nel caso di preferenze multiple, meccanismo cui sono legate cordate per il controllo del territorio.

Un interessante tentativo di strappare il confronto dall’abbeveratoio delle semplificazioni pseudo-riformatrici è contenuto in un documento sul rapporto diretto tra elettori ed eletti di qualche tempo fa, curato dall’ex sindaco di Grosseto Alessandro Antichi (Pdl), elaborato in ambito toscano, ma molto esaustivo per ridare anche al dibattito nazionale sulle preferenze qualche aggancio concreto che lo allontani dall’equazione moralista tra preferenze e massimo grado di democrazia elettiva.

I curatori del testo pongono un quesito concreto: “Quanta attinenza ha con la realtà e l’esperienza pratica dell’uso della preferenza in Italia l’assunto teorico che la addita come il migliore strumento alla partecipazione diretta dei votanti?” La risposta che ci si dimentica di considerare è che “gli elettori italiani non si comportano nello stesso modo di fronte alla possibilità di far uso del voto di preferenza personale. Poiché si tratta di preferenza “facoltativa” (ovvero che l’elettore può decidere di esprimere o non esprimere a favore di un candidato, senza che la mancata espressione abbia conseguenze sulla validità del voto di lista), di fatto accade che l’elettorato abbia comportamenti molto diversi secondo dell’area geografica in cui risiede”.

Interessante lo spaccato che ci viene restituito proprio dalle elezioni regionali del 2010 che, ad eccezione della Toscana e della Campania, fotografa un’Italia ancora una volta spacchettata in tre realtà: un Nord in cui il tasso di preferenza è arrivato al 30,2%, un Centro con il 41,5% e il Sud che ha toccato la punta massima dell’80,3%. È più che legittimo azzardare l’ipotesi che l’inclinazione dell’elettore settentrionale e centrale a premiare la lista con un voto di opinione generalista tutt’al più concentrato sul candidato premier, man mano che si scende lungo lo stivale, ceda il passo alle scelte personalistiche, frutto delle condizioni strutturali e culturali che informano il rapporto tra elettorato e politici.

Anche i dati specifici regionali puntellano la rappresentazione di un Paese uno e trino: “In Lombardia – riporta il documento – su 100 elettori che esprimono un voto di lista valido, solo 23 lo esprimono accompagnandolo con l’indicazione di una preferenza per un candidato. I tassi di preferenza del Piemonte e del Veneto sono invece piuttosto simili, rispettivamente 35% e 35,2%. Il dato della Liguria è, al contrario, più alto, precisamente del 42%”. Interessante e in apparenza incongruo il dato sull’Emilia Romagna, dove il 25,7% di assegnazione della preferenza risente della passata tradizionale presenza del Partito Comunista Italiano in cui la preferenza ideologica per il partito ha sempre prevalso.

Una percentuale non molto inferiore a quella della Toscana dove l’ultima votazione regionale del 2000 ha registrato un 28,6%. In Umbria e Marche, al contrario, i valori si impennano rispettivamente al 53% e al 49%, nel Lazio al 51%. Il Sud si conferma il territorio d’adozione delle preferenze: in Campania si è arrivati al 90,6%, in Calabria e in Basilicata all’84% e all’85,9%, per finire con un 75,7% della Puglia. Sebbene, quindi, l’aggregazione dei tassi di preferenza dell’elettorato di tutte le regioni in cui si è votato raggiunga un totale del 54,2% le notevoli differenze geografiche nel ricorso alla preferenza da parte degli elettori escludono una spartizione a metà delle percentuali a livello nazionale.

Senza soffermarsi sulle differenze tra eletto e nominato un’istantanea del genere non fa che avvalorare l’idea di un collegamento diretto tra qualità della politica e modalità con cui il candidato accede alle istituzioni e confermare quanto la natura della personalizzazione dei rapporti tra elettore e candidato insita nel sistema delle preferenze sia per lo più di scambio reciproco, clanico clientelare e di condizionamento spesso mafioso. Eppure i dati sulla distribuzione geografica delle inclinazioni degli elettori al ricorso alle preferenze non dovrebbero restringere gli argini della discussione tanto da presentare la scelta tra voto di preferenza e lista bloccata come l’antitesi risolutiva tra il bene ed il male.

L’effettiva rappresentatività tra cittadino ed eletti rappresenta una chimera, un’illusione sulla qualità dei rappresentanti politici stessi. È necessario, dunque, abbandonare l’antinomia tra “preferenza sì/ preferenza no” e iniziare a parlare di “preferenza come” sulla opzioni precorribili nell’uso di questo strumento elettorale. Ma soprattutto non avere riserve nel riconoscere che l’unica strada più sensata e imprescindibile per dare voce ai cittadini è quella di attuare criteri e procedure più democratiche all’interno dei partiti, e che le primarie rappresentano lo strumento più idoneo per farlo.


di Barbara Alessandrini