martedì 21 gennaio 2014
I valori antichi del liberalismo classico sono in Italia il programma politico del partito che non c’è. La “mala gestio” del denaro dei contribuenti è invece prassi comune di tutti i partiti. Ciascuno di essi coltiva un’idea tutta sua circa ciò che debba intendersi per sana amministrazione dei bilanci pubblici. A parole una certa maggioranza d’italiani concorda sul fatto che lo Stato realizzi solo l’indispensabile. Purtroppo nulla, in politica, risulta più ambiguo e più abusato della parola “indispensabile”. Tuttavia i soldi dell’erario sono pur sempre la carne dello Stato, che non marcisce soltanto perché i contribuenti la irrorano col sangue dei loro tributi. Uno Stato ben regolato, che vuole conservarsi in salute, dovrebbe dunque preoccuparsi di non dissanguare i concittadini.
Anzi, di lasciarli crescere forti in sicurezza e libertà. “Sub lege libertà” non è semplicemente il motto della polizia di Stato, ma l’essenza stessa della società libera. “Legge e ordine” non rappresentano un’endiadi retriva. Significano, invece, convivenza civile governata dalla legge. Non costituiscono affatto il programma degli Stati autoritari che, al contrario, della legge fanno strame. Uno Stato che opprime i contribuenti con tasse asfissianti sprecate in mille rivoli è sempre pure uno Stato che non ha mai soldi abbastanza per adempiere al suo compito primario di assicurare effettivamente eguale giustizia a tutti e difendere gli individui dal crimine. Appunto ciò che accade all’Italia.
Dove è venuto di moda definire micro-criminalità una cospicua serie di reati nient’affatto minori, ma così qualificati perché lo Stato non ha le forze materiali, umane, economiche per perseguirli e reprimerli. Forse gliene manca addirittura la volontà specifica, come a quel medico che trascura un male cronico per concentrarsi su un morbo acuto. Ma, contrariamente al corpo umano, il corpo sociale non è messo in pericolo da pochi grandi delitti comuni, bensì dall’estesa trama dei piccoli e medi reati rimasti impuniti, che per generale e consolidata esperienza i governati hanno acquisito la certezza che resteranno pressoché senza castigo.
Il furto viola la proprietà privata, base del processo di civilizzazione della società, ed è proibito da precisi comandamenti delle religioni. Ciò nonostante, il furto è stato degradato a blando comportamento antisociale, un delitto trascurabile, a meno che non riguardi i depositi bancari, un capolavoro artistico, la roba di qualche alto papavero. Micro-criminalità, dunque. Ma “micro” per chi? Per chi la definisce, non per chi la subisce. I ladri d’automobile, i borseggiatori, gli scippatori, i topi d’appartamento, e simili, hanno la quasi sicurezza dell’impunità. Spesso neppure vengono denunciati. Raramente, presi.
Il procuratore della Repubblica di una grande città ha ammesso che, per carenza di pubblici ministeri, “reati come furti, scippi, rapine, non avranno mai un condannato e forse neanche un’indagine, dovendo dare priorità alle inchieste su omicidi e criminalità organizzata”! (Corriere della Sera, 2 settembre 2010, pag. 21). In materia criminale la libertà sotto la legge è diventata licenza di delinquere al riparo dei suoi rigori.
di Pietro Di Muccio de Quattro