martedì 21 gennaio 2014
L’incontro tra Renzi e Berlusconi, con l’accordo di massima raggiunto (legge elettorale non solo per superare la sentenza negativa della Consulta ma per snellire lo scenario politico e garantire la governabilità senza il ricatto dei prefissi telefonici; semplificazione dell’assetto istituzionale del Paese con la trasformazione del Senato in Assemblea delle Autonomie e la rivisitazione del Titolo V della Costituzione che, di fatto, ha ingarbugliato le competenze tra Stato e Regioni bloccando l’iter di scelte di interesse nazionale), ha provocato una vera e propria scossa tellurica. Una scossa che ha creato il panico nella sinistra e nelle sue ramificazioni.
A gridare allo scandalo rappresentato, non tanto dal merito dell’accordo, ma dall’aver colloquiato e concordato, addirittura nella sede del Pd, sono stati i mozzorecchi comunque travestiti; le forze che hanno vissuto col controllo degli apparati di partito; gli epigoni dei comunisti cresciuti a “pane e centralismo democratico”; gli antiberlusconiani a prescindere come gli Epifani, i Casson e gli Zanda (che avevano trovato l’argomento per la loro ribalta); e tutto il caravanserraglio a partire dagli scribi dei media schierati, con in testa Barbapapà, dai guru dei talk-show (da tempo in caduta libera), e per finire dagli stessi grillini.
A tutti costoro non interessa la crisi in cui si trova il Paese, né interessano le condizioni dell’Italia, gli indici economici negativi ormai da troppo tempo, la disoccupazione di massa, l’assenza di prospettive per i giovani, il decadimento dell’apparato produttivo massacrato dalla magistratura, gli sconfinamenti del potere giudiziario che condiziona, ormai in modo pericoloso, il potere legislativo e quello esecutivo, il rischio della deriva autoritaria e la democrazia che continua a perdere gli anticorpi che la salvaguardavano.
No, a loro, a tutti loro, interessa continuare la guerra dei vent’anni che è l’unica che hanno imparato a memoria e gli regala l’impressione di essere utili . La scossa però ha lesionato anche piccoli immobili in costruzione che rischiano di crollare. Gli occupanti abbandonando la posa di chi si stava sacrificando per l’Italia, hanno lanciato i propri lai laceranti dimentichi che, giustificavano, in lacrime, l’abbandono di Berlusconi perché l’Italia non poteva permettersi una crisi al buio. Ora minacciano di farla qualora si dovesse precludere la loro sopravvivenza, che a conti fatti con la crisi economica del Paese c’entra come i cavoli a merenda.
Ironia della sorte, sono gli stessi che della stabilità avevano fatto un credo quasi religioso ma che, ormai è chiaro, era solo il mezzuccio per giustificare la scelta della scissione per la loro permanenza nel Governo Letta. Proprio il loro atteggiamento, con la minaccia della crisi, dimostra quanto sia urgente e necessario liberare il Paese dai prefissi telefonici dando vita ad un sistema realmente bipolare per permettere, a chi vince le elezioni, di poter realmente governare senza i ricatti che hanno penalizzato, in questi vent’anni, tutti i governi succedutisi, sia di destra che di sinistra.
Questi ultimi addirittura hanno subìto i giochi di palazzo vedendo succedere a Prodi, prima D’Alema e poi Amato, mentre la seconda volta le dimissioni del premier hanno provocato lo scioglimento anticipato delle Camere. Miglior sorte non toccò nemmeno ai governi del centrodestra che subirono le manovre della magistratura, dei poteri forti e i ricatti dei vari Follini, Casini, Fini che hanno bloccato e non poco la realizzazione integrale dei programmi elettorali. La nuova rotta del Pd significa che forse, con la fine della guerra dei vent’anni, si può mettere mano a quelle riforme indispensabili per la governabilità del Paese.
La legge elettorale, sulla quale va ricercata la massima intesa possibile ma che, comunque, deve essere varata in tempi record, aiuta questo processo che dovrà essere concluso dal nuovo Parlamento se, cosa mai, si dovesse andare a votare in primavera. L’Italia in sofferenza lo chiede.
di Giovanni Alvaro