sabato 21 dicembre 2013
Esiste una certa similarità di significato tra il ricostruire, il riformare e la ricostituzione; infatti entrambe le parole richiamano il processo con il quale si ripristina ciò che è andato perduto o distrutto, nell’intesa che l’ultimo termine ha per soggetto lo Stato. L’altro ieri, in serata, è apparso evidente il differente approccio con cui i presidenti Letta e Squinzi affrontano il dramma che da tempo ormai ha toccato l’economia italiana. “La legge di stabilità è un’occasione mancata che non è assolutamente sufficiente a far ripartire il Paese. L’Italia, con i livelli di crescita annunciati, potrà raggiungere il livello di reddito pro-capite del 2007, solo nel 2015”, ha detto Squinzi, che critica anche la paralisi delle riforme strutturali e avverte: “È ancora a rischio la tenuta sociale del Paese”. Letta, dopo le critiche: “Cala lo spread, non sfascio i conti.
Nessuno ha la bacchetta magica e stiamo andando nella giusta direzione”. Indubbiamente il presidente Letta, pur confermando una certa dose di ottimismo puramente politico, farebbe bene a cercare di parlare un po’ più chiaramente agli italiani sul reale stato dell’arte, incluso le “Riforme alla Costituzione” che hanno in programma e quelle strutturali che andranno a interessare lo Stato. Già, le riforme! Sicuramente per l’annuale discorso di auguri del presidente alla nazione, Napolitano apparirà con sullo sfondo quella meravigliosa edizione della “Costituzione Italiana”. A quante riforme è andata soggetta la nostra Costituzione dal dopoguerra a oggi? La prima che io ricordi è stata proprio sulla “Legge elettorale” nel 1954.
Cui hanno fatto seguito un’infinità di riforme tra cui quella sui sindacati, sui cittadini all’estero, sulle autonomie, sulle Regioni, sulla sussidiarietà ecc. Tutte riforme che non hanno fatto altro che complicare ancora di più, ampliandone la dimensione, gli assetti istituzionali interni, creando assurdità organizzative che hanno portato il Sistema Italia da tempo a saturazione. Questa realtà è andata sempre più ad interagire nei rapporti tra istituzioni e popolo, trasformando drasticamente anche il modo di comportarsi dello Stato nei confronti del cittadino e viceversa. Il sistema è talmente saturo che il popolo, nel suo insieme, si allontana sempre di più dalla logica dell’attuale politica dei partiti, in generale, e non è né in grado di comprendere, né altrettanto di sentirsi interessato ai grandi problemi che attanagliano la nostra nazione, tra i quali l’Europa.
Tema che, per contro, dovrebbe essere di grande attualità, sia perché nel prossimo mese di maggio si terranno le prossime elezioni, sia e soprattutto perché comunque è da ritenersi di importanza vitale per la “sopravvivenza” e l’uscita dal tunnel della nostra Italia. Le attuali riforme tanto pubblicizzate dal Governo vanno dunque intese nel complesso delle “cause” che attanagliano questa nostra Italia ormai da 67 anni in una morsa sempre più organizzativamente, istituzionalmente e giuridicamente piena di impedimenti: clientelarismo, partitocrazia, poltrone create ad hoc, organismi istituzionali - Ordini Professionali, Autority, sindacati che hanno imposto l’immobilismo del mondo del lavoro e incentivi alla “retribuzione gratuita” dei cassintegrati, ecc. ecc. - inutili, che generano falsi centri di potere e complicanze burocratiche.
Il risultato più immediato e impressionante, sono i dieci milioni di disoccupati, con punte oltre il 50% di disoccupazione giovanile al sud, attività commerciali in fallimento e quelle poche imprese che sono rimaste attive, in particolare nel nord-est, con sempre maggiore voglia di “delocalizzare” in Svizzera o in Tunisia, Croazia ecc. Dovunque si guarda ci si rende conto che è il sistema che, portato all’estremo della sua disfunzionalità, non può più funzionare! Nella pletora di partiti e movimenti esistenti, esiste una Federazione di partiti, in particolare, che da tempo va professando una svolta da dare al sistema.
Si chiama “In Cammino per il Cambiamento”, dove il cambiamento, potrebbe essere inteso anche in due direzioni differenti: nell’immediato, con la ricerca di “canali” idonei a portare in Parlamento alcuni fondamentali punti programmatici: riduzione del debito statale e della spesa pubblica, ma anche le riforma fiscale, del diritto del lavoro e del sistema creditizio e la tutela del risparmiatore. Questi punti sono indilazionabili e quindi è auspicato che anche questo Governo (o chiunque altro lo sostituirà) possa portali avanti; nel prossimo futuro (già iniziato!), fare e diffondere cultura per il “vero” cambiamento che, a mio giudizio, va a investire in tutte le sue responsabilità l’origine dei più grandi problemi della nostro sistema democratico: la Carta Costituzionale! Se veramente si vuole cambiare, non c’è migliore riforma che la nostra Costituzione.
Mentre per il primo punto la strada è già indicata dall’urgenza dell’intervento, per il secondo credo ci sia bisogno di un po’ più di tempo e, soprattutto, dell’impegno di tutti. Non certamente nel proporre soluzioni, bensì a cercare di creare consenso “partecipativo” al progetto di “cambiamento” che dovrà investire quell’insieme di associazioni, gruppi organizzati, partiti, movimenti, “condomini”, “parrocchie” e quant’altro viene in mente. Non credo stia a nessun partito “definire” la nuova Italia e la connessa Carta Costituzionale. Dovrebbe, dunque, sussistere l’obbligo di proporre un “Parlamento Costituente” o una “Costituente” per la Rinascita dell’Italia.
Una Costituente che potrà ben prendere in considerazione lo Stato Federale, la riforma della Pubblica Amministrazione, del sistema educativo (punto di congiunzione tra il federalismo e l’Europa) e quello professionale, nonché un nuovo assetto della finanza e dell’economia europea, in un mercato e un mondo globalizzato. Ecco, dunque, che ogni singolo cittadino dovrebbe sentirsi coinvolto da questa idea di fondo di una Ricostituzione dello Stato e divenire strumento di diffusione di massa di queste idee per una “contaminazione” rapida della voglia di cambiamento a tutti i livelli.
Primo fra tutti per, “In Cammino per Cambiare" si profila dunque una nuova strada da percorrere: una nuova “Assemblea Costituente” che possa degnamente ridisegnare il complesso etico-giuridico ed etico-sociale del quadro istituzionale, aperto a ogni comprensione del singolo cittadino, avendo come riferimento ispiratore la libertà dei singoli e la sovranità popolare, nel nuovo quadro europeo delle autonomie imposte dal neo-federalismo. Una nuova Costituzione in cui anche la giustizia ritrovi la sua autonoma dignità cambiando approccio sistemico e coniugando esperienze europee derivate anche dal “Common Law”.
di Fabio Ghia