venerdì 20 dicembre 2013
Diventa necessario, mentre il popolo insorge nelle principali piazze del nostro Paese, perché è dominato dall’incertezza del futuro e dallo smarrimento esistenziale, capire i caratteri della protesta popolare. La collera ed i sentimenti di sdegno da cui è animato il popolo che manifesta nella piazze la propria condizione di vita, immiserita e a rischio di povertà, sono la conseguenza ineluttabile delle politiche economiche sbagliate che sono state seguite in Europa negli ultimi anni. Non c’è più, come è accaduto durante la storia del Novecento, il classico scontro tra gli operai e la borghesia che deteneva il controllo dei capitali, il famoso conflitto tra capitale e lavoro.
Infatti a patire ed a soffrire gli effetti della crisi economica, una delle più gravi e devastanti della storia moderna, forse per durata ed estensione ancora più nefasta di quella del 1929, sono artigiani, piccoli commercianti, imprenditori costretti a pagare i tassi elevati imposti da Equitalia, persone che vivono in una condizione di precarietà molto dolorosa, giovani a cui è stato negato ogni diritto. Il ceto medio insorge e protesta perché sta precipitando nell’abisso della povertà, mentre la politica ufficiale, in obbedienza alla politica della austerità prediletta in Europa, rimane indifferente e impotente.
In questo contesto è il sentimento della speranza nel futuro che sta svanendo, facendo cadere nella disperazione una generazione di giovani senza lavoro e privi di ogni forma di garanzia. Per alcuni osservatori, al fine di capire e comprendere le motivazioni di quanti insorgono nelle piazze, è necessario seguire lo sguardo lungo, che esige di evocare altre eventi simili accaduti nella vicenda storica europea. Infatti la rivolta dei forconi, come viene definita nel linguaggio mediatico del nostro tempo, evoca il precedente storico della famosa Jacquerine dei contadini, che insorsero nel trecento, durante l’alto medioevo, ribellandosi alle ingiustizie ed a condizioni di vita ingiuste ed intollerabili.
In più, per altri studiosi, è fondamentale ricordare cosa rappresentò il movimento di protesta guidato da Pierre Poujade negli anni cinquanta in Francia. Senza fare impropri paragoni fra quel tempo, gli anni della ricostruzione in Francia dopo la seconda guerra mondiale, ed il nostro presente, in cui vi è una crisi economica provocata dalla deflazione, occorre considerare che anche Pujiade si mise contro il palazzo ricorrendo ad un linguaggio populista, guidando la rivolta dei commercianti, dei soggetti privi di tutela, degli imprenditori in difficoltà. Infatti in quel tempo la trasformazione della società Francese, dovuta all’attuazione del piano Marshall, stava facendo venire meno i vantaggi fiscali della economia di guerra.
In Francia il movimento di Pujiade venne prima egemonizzato dalla sinistra comunista ed, in seguito, il generale De Gaulle, per sottrarre al movimento gli argomenti di protesta contro la partitocrazia, decise di dare vita alla Repubblica Presidenziale, che soppiantò la partitocrazia morente. In tal modo il movimento Pujiadista venne riassorbito nella normale e fisiologica dialettica democratica nella Francia degli anni cinquanta. Proprio perché la crisi economica sta frantumando e minando la coesione sociale, in Italia appare evidente che non vi è una egemonia di ordine culturale e politico, che sia capace di interpretare le legittime aspirazioni di quanti insorgono nelle piazze, per manifestare la loro sofferenza e la loro preoccupazione per il futuro, incerto e imprevedibile.
C’è chi sostiene che il movimento dei forconi corra il rischio di essere infiltrato dalle frange della estrema destra, che usa argomenti ostili verso l’unione monetaria e l’Europa dei banchieri. In realtà nel movimento di quanti insorgono nelle piazze vi sono orientamenti politici di segno diverso. Infatti la protesta è in parte regressiva e pujiadista, in parte è segnata dalla volontà che muove i cittadini a manifestare in nome della eguaglianza dei diritti e della giustizia. La classe dirigente Italiana di fronte alla rabbia ed alla disperazione della masse non può limitarsi a ripetete le stucchevoli geremiadi contro la politica di austerità che, attuata in Europa, ha prodotto la deflazione e l’impoverimento del popolo.
È necessario, e si spera che Enrico Letta sappia rappresentare in questi giorni nelle sedi della unione comunitaria questa esigenza democratica, pretendere ed invocare un cambiamento radicale delle politiche Europee, senza il quale non vi sarà né la tanto attesa ripresa né la possibilità di creare lavoro per i giovani e per chi è escluso. Da questo punto di vista, poiché la crisi economica si combina nel nostro Paese in modo drammatico con quella democratica e politica, è fondamentale capire quale sviluppo avrà la discussione sulla riforma elettorale e su quella delle istituzioni.
Il presidente Giorgio Napolitano ha recentemente sollecitato la forze politiche a non assecondare il frastuono elettorale, vaticinando un voto anticipato che non è affatto dietro l’angolo, ed a favorire con senso di responsabilità un confronto democratico, necessario per approvare riforme, che tutti riconoscono come improcrastinabili. Il nuovo segretario del Pd Matteo Renzi, che ha la esigenza di non perdere il credito conquistato di fronte alla base del suo partito, ha sostenuto che l’approvazione della nuova legge elettorale, resa necessaria dopo che la corte costituzionale ha privato la legge Calderoli dei suoi elementi costitutivi, dovrà avvenire con il coinvolgimento di tutte le forze politiche presenti in parlamento. Infatti soltanto salvaguardando il sistema maggioritario e preservando la democrazia della alternanza, da cui dipende la sopravvivenza del bipolarismo, sarà possibile avviare la ricostituzione di un rapporto di fiducia tra i cittadini e le istituzioni rappresentative.
Tenendo presente il precedente di De Gaulle, che nella Francia del secondo dopo guerra seppe riassorbire la protesta nella dialettica democratica, anche nella Italia del nostro tempo sono necessarie le riforme sia della legge elettorale sia delle istituzioni, per restituire efficienza e funzionalità alla nostra democrazia rappresentativa. In caso contrario le manifestazioni di sfiducia e la ribellione popolare contro le istituzioni, nel nostro Paese, sono destinate a dilagare ed ad assumere forme inconsuete e populiste.
di Giuseppe Talarico