Il “contratto sociale” ucciso da Letta-Alfano

martedì 17 dicembre 2013


Il Paese è spaccato, chi ha garanzie è col Governo e chi sta affogando con la piazza non preorganizzata. Dovrebbe farci riflettere che Pd e Cgil torinesi (e nazionali) stessero progettando una “contromanifestazione” per contestare (ed avversare) le proteste di piazza spontanee, non irreggimentate da sindacati e partiti. È evidente che sindacati e forze di Governo (anche di sinistra) siano oggi per una fissità sociale delle classi (assioma premoderno) e non per il “contratto sociale” (quindi per dare il lavoro). Ma la difesa dei privilegi non era forse un retaggio pregiacobino già messo in discussione dalla Rivoluzione industriale prima che da quella francese? E come può la classe dirigente di questo Paese dare del fascista a chi scende in piazza contro i privilegi? Lo scambio dei ruoli è ormai sotto gli occhi di tutti.

L’oligarchia retta da Letta, Alfano e compari ha relegato le proteste di piazza ad un semplice problema d’ordine pubblico. Per giunta sarebbe già pronto (qualcuno dice ancora allo studio) un decreto che permetta l’arresto in flagranza di chiunque in pubblico critichi l’euro, l’Unione europea e la politica bancaria. Era nelle cose che dovessimo presto salutare una democrazia “bancariamente protetta”, degna interfaccia delle democrazie “militarmente protette” che per decenni hanno governato il nord Africa. Ma è inaccettabile che questa forma di governo ci venga spacciata come “unica via di salvezza per restare nell’euro”.

Così dovremmo accettare la disoccupazione perché non è possibile che s’innalzi il numero degli stipendi pagati: un sacrificio per far quadrare i conti. Parimenti il disoccupato non potrà pagarsi casa né bollette, perché la sua tracciabilità bancaria evidenzierà che, privo di contratto di lavoro, sopravvive da evasore fiscale: non potrà lavorare a nero con impieghi saltuari né farsi aiutare per contanti da parenti e amici, e perché ogni rivolo di quattrini non giustificato da contratto di lavoro farà accendere una lucetta rossa nell’Ufficio delle Entrate. Non solo è stato rotto il “contratto sociale”, ma è anche stato edificato un sistema fiscale che consenta la persecuzione dei disagiati. Rousseau aveva teorizzato nel suo “Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini” come agli albori della nostra civiltà fosse stato stipulato un primo contratto sociale: un patto leonino basato più sulla forza che sul diritto. La forma di Stato che ha albergato nel Vecchio Continente fino a trecento anni fa partiva dal presupposto (più o meno affievolito da varie dottrine) che la legge del più forte avrebbe comunque detto l’ultima parola.

“L’uomo è nato libero e ovunque si trova in catene”, notava Rousseau nell’incipit che dava fondo al nuovo contratto sociale, nato e cresciuto tre secoli fa ed oggi messo in discussione dagli autocrati eurocentrici. All’alba dello “Stato moderno” la forza veniva sostituita dal diritto, che toccava anche i più poveri e inermi, favorendo lo sviluppo di quella società civile che ci ha tutti trasformati in cittadini. Oggi si torna ad appellare le classi povere ed in tumulto come zavorra del sistema, della crescita europea. E c’è chi dagli scranni di aule e programmi televisivi afferma ridacchiando che “la gente che protesta per strada in maniera scomposta non fa testo, è gente che non ha mai avuto una tessera sindacale”. Parole che denotano quanto partiti e sindacati si siano trasformati in club privati, aperti solo all’agiata classe dirigente o comunque a chi si dimostra titolare d’un contratto a tempo indeterminato.

Hanno perso il loro carattere originale che per Rousseau avrebbe dovuto difendere tutti, associati e non, dimostrandosi “forza comune”. Quando regna il contratto sociale ad essere sovrano è il popolo. Lo stesso che delega democraticamente i propri rappresentati quando lo rispettano, ma li delegittima quando il contratto sociale viene infranto. Ad infrangere in Italia il “passo sociale sul lavoro” è toccato a due governi non legittimati dal popolo: prima Monti poi Letta. S’aggiunga che la loro fraudolenta comunicazione vorrebbe convincere gli italiani che si sono inventati come farli risparmiare sulle polizze auto, e ponendo una “scatola nera” nella vettura. Bufala di dimensioni galattiche: la scatola nera per risparmiare la si può montare solo su auto con computer di bordo.

Così se il pensionato con Panda a gas volesse risparmiare, dovrebbe comprare una vettura nuova con computer d’ultima generazione a bordo. Non parliamo poi del “blocca bollette”. Non è attuabile poiché privo di un accordo tra banche, Enel, Eni e Acea. Tutte le trovate di questo Governo sono pari ad uno sputo in un mare di povertà: non risolvono nulla e servono solo a prendere tempo. Ma questo Alfano e Letta lo sanno bene, e per prevenire eventuali aneliti rivoluzionari hanno già annunciato aumenti di stipendio per le forze di polizia. È un Governo privo di legittimazione, può reggersi solo usando la forza sulle fasce sociali in protesta e promettendo che non verranno scalfiti i privilegi dell’alta dirigenza. Complice di questo disegno è gran parte dell’informazione, che quotidianamente gioca a far passare per facinorosi e criminali tutti coloro che scendono in piazza rifuggendo dalle bandiere rosse di Cgil e Fiom.

Il Paese è sull’orlo della guerra civile, chi lo governa avrà già aperto le consultazioni tra capo della polizia e vertici dell’esercito, e per capire se il Capo dello Stato abbia spazi di manovra bastevoli a bloccare tutto senza passare per golpista. Un addetto ai lavori riferisce che sarebbe al vaglio anche lo spostamento di gran parte dei detenuti nei vari bagni penali (Asinara, Pianosa…) per permettere d’alloggiare rivoluzionari e “detenuti politici” nelle case mandamentali sulla terra ferma: un modo per dire all’Ue che sono state riutilizzate le vecchie carceri, e che c’è spazio per tutti. In troppi invocano manette e carcere contro la povera gente. Qualcuno aggiunge che “in galera i disoccupati non possono delinquere”. La faccia di Alfano ci spaventa, prende troppo sul serio il proprio ruolo.


di Ruggiero Capone