venerdì 6 dicembre 2013
Romani, italiani, siciliani, onorevoli, uomini d’onore, fuochisti, verdi, amici di Francesco, leghisti, naviganti sulle barchette-carrette, concittadini, futuri cittadini, ex cittadini, amici, ex amici, nemici, ex nemici, vi prego di ascoltarmi. Sono qui per dare (simbolica) sepoltura a Silvio Reo, non per tesserne le lodi, giacché ho sempre saputo che fosse Reo anche quando ero solito accompagnarmi a lui. Anzi, a lui mi accompagnavo nell’ammirazione di questo, che fosse Reo. Il male - il voto dato sopravvive ai votanti; il bene - obiettivi e promesse - viene sepolto nell’inconcludenza.
V’ha detto l’onorevole Cicchitto che Silvio era uomo ambizioso di potere ed estremista di volere; le due cose insieme sono colpa grave. Una passi, ma due gravemente devono essere scontate. Qui, col suo consenso, con quello di Formigoni e di tutti, Napolitano, Letta, Fiom, i tre moschettieri del Pd, vengo davanti a voi a celebrare di Silvio le mancate candidature future. Ei mi fu amico, mentore, ei mi alzò a leader, fece di me quello che sono come d’altronde si può dire per tutti voi. Anche se Lupi dice che egli era ambizioso e voluttuoso e Lupi è certamente uomo d’onore, cioè onorevole, anzi ministro.
Quando i poveri hanno pianto, quando gli operai hanno mugugnato, quando i giovani hanno twittato, quando le donne hanno gridato, quando i gay hanno strillato, Sivio ha riso. Sapeva che il voto è soprattutto dei pensionati e dei piccoli proprietari di casa; la democrazia era, è e sarà una dura e concreta stoffa, fatta di maggioranza relativa. Ma Beatrice dice che era voluttuoso – le guardava le gambe – e Beatrice è donna d’onore. Tre volte gli consegnai le lettere di dimissioni in bianco firmate da tutti, tre volte ebbe i poteri per cambiare il Paese e sempre egli ebbe pietà e preferì tre Champions. Quagliariello dice che egli era ambizioso e voluttuoso (o disse volenteroso?) e Quagliariello è uomo d’onore, cioè onorevole, anzi ministro. Non voglio, non posso contraddirlo. Sono qui per dire ciò che so di Silvio, cioè quanto mi dissero Confalonieri e zio Giulio.
Tutti lo amaste, tutti ne guadagnaste, tutti viveste grazie a lui un tempo. Infatti già i suoi voti compiangete o chiedete. Perché sennò fuggi dagli uomini per rifugiarti nelle procure? Scusatemi. Il mio nome, viso e cuore sono sempre lì sulla scheda col suo nome ben in grande. Senza quella scheda non so dove ritrovarli. Soltanto fino a ieri la pubblicità di Silvio rimbombava nel mondo e forse ora sarà chiusa in stanze insonorizzate, senza telecamere. È basso, e solo chi è più basso gli rende reverenza, anche se in ginocchio scompare del tutto. Non potrei mai eccitarvi alla rivolta, farei un torto a me stesso, a Lupi, a Cicchitto, uomini d’onore e onorevoli.
Ho visto, rinvenuto e portato con me il nuovo contratto con gli italiani, con sopra a sigillo il biscione. Se solo si andasse al voto, se solo alla tv Silvio potrà leggere il suo programma e testamento politico, non ci sarebbero persiani, medi, galli e grilli che tengano, la marea del voto ci travolgerebbe tutti e a gara tutti resuscitereste il Reo all’ennesimo trionfo. Perciò non lo leggo, anzi la mano trema nel tenerlo. Se avete paura, politici, rabbrividite. Speranza, assicurazione e contro-assicurazione stanno tutte al Quirinale, impegnatosi con Bruxelles, Berlino e ‘Bama che elezioni non ce ne saranno più, non ce ne saranno mai almeno finché Silvio c’è, finché il pifferaio potrà suonare, il piffero sabotato o la villa isolata acusticamente. Dal buco della serratura moniteranno le ferite, qui.
Qui stanno le accuse di truffa, dopo migliaia di scandali che non hanno interrotto carriere e prebende, qui quelle d’evasione, dopo miliardi di regali fatte alle aziende nemiche, qui stanno le accuse di meretricio, che impallidirebbero rispetto alle imprese amatorie di antichi ospiti quirinalizi. L’odio postcomunista solo ha tenuto in piedi accuse e ferite. Noi gli abbiamo aperto la porta all’odio, pur deprecandolo, perché non riuscivamo più a sopportarlo. Per Silvio forse è più crudele questo. Ei dell’odio sapeva nutrirsi e cercava di proteggerci da esso. Quando vide che esso ci dilaniava oltre i gazebo e i cancelli di Arcore, non seppe cadere, non volle spezzarsi di schianto.
Toccò a noi accompagnarlo alla solitudine timida domiciliare, dell’arresto domiciliare. Nemmeno l’ingratitudine lo calmò, però; pensò solo di quante elezioni indirette disponesse, di una, di due; fantasticò di possibili elezioni dirette bulgare. Pensate all’europarlamento che reitera la decadenza dopo l’elezione, un doppio passo deca-dance. Motivi e jingle estivi di sicuro successo. Amici, ex amici, nemici, ex nemici, compagni, ex compagni, camerati, ex camerati, vorrei non istigarvi ed insieme che la destra vincesse. I responsabili, loro, issi, i ’malamente, i malati di mente, i riformati, i riformisti, a malafemmina, noi siamo gente d’onore, onorevoli, molti ministri. Quali rancori, amori, ori, bori hanno portato a ciò. Vorrei saper rapire il vostro cuore, il mio.
Vorrei saper scegliere una parte o l’altra, vorrei essere bipolare come Silvio. Sono però democristiano e siciliano. Non so essere completamente Bruto, il figlio traditore e regicida. Non so essere del tutto Marco, mi manca anche l’imponenza da cattivissimo di un Crosetto. Vorrei, ma non ero l’erede prima, e non sono ora il vendicatore dell’offeso, Silvio Senzasenato, cacciato dall’aula dei suoi pari, che pari non gli sono. Da democristiano e siciliano, sono Bruto e sono Antonio, sono carnefice e vittima, traditore e tradito, Cossiga e Moro, nominato e insubordinato.
Vi presento Silvio mentre lo chiudo nella maschera di ferro; ch’essa parli per lui e per noi. Sono democristiano e siciliano, reo per natura e per ideologia. Non posso che sostenere Silvio Reo, ma non del tutto. Non posso che abbandonarlo, come tutti i benpensanti fanno quando il carro non è più del vincitore, ma anche qui, non posso abbandonarlo del tutto. Senza elezioni sarò Bruto, con il voto sarò Marco. Il vostro Angelino, un povero diavolo, come tutti voi, concreti democristiani, veri italiani rei.
di Giuseppe Mele