mercoledì 4 dicembre 2013
Siamo un popolo di ipocriti: scoppia un rogo in una fabbrica a Prato e scopriamo, come per incanto, che in Italia ci sono aziende abusive create da immigrati per lo più orientali. Il fatto umano ci addolora, questo è chiaro e non riteniamo di doverlo ribadire ulteriormente, ma nel contempo il comportamento delle Istituzioni ci lascia sbigottiti e anche un po’ amareggiati. Fiumi di inchiostro in dichiarazioni di dolore falso almeno quanto i prodotti cinesi ed articolesse di commemorazione retrò sull’operaismo non servono a cancellare un pasticcio, costruito su motivazioni ideologiche, che ha reso politicamente corretta la tolleranza verso un fenomeno, quello dell’abusivismo cinese, che prima o poi sarebbe dovuto salire alla ribalta delle cronache.
Che molte delle fabbriche create dagli asiatici a Prato versino in condizioni critiche dal punto di vista igienico e della sicurezza non è un mistero, tanto quanto il fatto che molte di esse siano totalmente sconosciute al fisco ed utilizzate da molte grandi aziende italiane per ottenere subforniture a buon mercato. Che nelle grandi città esistano interi quartieri composti da strani negozi cinesi che molto spesso non si capisce come campino è un fatto arcinoto tanto quanto la sottile guerra imprenditoriale portata avanti da dubbi commercianti con gli occhi a mandorla, i quali sono soliti accettare qualsiasi cifra pur di acquisire aziende, immobili ed ogni cosa che la spompata economia italiana metta sul mercato per incapacità di reggere la crisi e la pressione fiscale.
I mandarini invece comprano sull’unghia e se lo possono permettere per motivi economici a noi sconosciuti ma anche perché non rispettano (ovviamente non tutti) alcuna legge civile e fiscale. Sono notizie nuove o sono cose che tutti sanno? Quante trasmissioni e articoli sul tema? E come mai il negoziante riceve la visitina dell’Asl o del fisco mentre costoro campano tranquilli? Perché, ad esempio, le Regioni rompono l’anima agli studi medici chiedendo mille adempimenti (molti dei quali impraticabili se non addirittura grotteschi), mentre le irruzioni nei negozi cinesi si contano sulla punta delle dita?
Siamo pronti a giurare che esista una vasta casistica di controlli anche per questo tipo di aziende così come siamo pronti a giurare che ci siano anche coloro che rispettano le regole, ma spesso non è così e tutti lo sanno. Il dragone sta facendo la guerra al mondo senza usare le armi ma impiegando con costanza la massiccia trasmigrazione di capitali, braccia e merci che pian piano stanno riempiendo il mondo con ogni mezzo e con una discrezione inquietante. Per questioni ideologiche abbiamo tollerato che i migranti campassero tranquilli e che sguazzassero nell’illegalità.
Abbiamo assistito alla completa conquista di distretti industriali come Prato e di interi quartieri delle grandi città con annessa scomparsa di aziende antiche, di professionalità, di know-how, di particolari tecniche artigianali cadute sotto i colpi di un capitalismo sotterraneo, riservato ma deciso, (a volte) banditesco e cortesemente aggressivo. Tollerando che ciò accadesse ci siamo resi complici di un duplice dramma: quello delle persone morte o schiavizzate in questi lager mascherati da aziende, ma anche quello delle nostre attività commerciali morte sotto i colpi di una concorrenza sleale.
Perché i controlli, cari paladini dei migranti, servono a garantire la sicurezza dei lavoratori ma anche il rispetto delle più elementari norme di una competizione basata su regole comuni. Adesso la fabbrica di Prato brucia e prima di essa è andata in fumo la nostra economia. Dovevate pensarci prima.
di Vito Massimano