giovedì 28 novembre 2013
Il caso dei marò si è tinto ancor più di giallo all’indomani degli “intrecci” (commerciali e diplomatici) che sottenderebbero la presunta tangente sulla vendita all’India di 12 elicotteri della Agusta Westland (controllata di Finmeccanica): vicenda che vide finire in carcere Giuseppe Orsi, ex presidente del gruppo italiano. Il ministero della Difesa di Nuova Delhi ha avviato la pratica per cancellare la commessa di 550 milioni di euro fatta a Finmeccanica. Poi il governo indiano ha emesso “una richiesta formale di spiegazione probatoria” nei confronti di Agusta Westland.
È evidente che verrà decisa la cancellazione del contratto con il gruppo industriale italiano, ma è anche evidente che nel Belpaese tentino di limitare i danni. Temendo le chiare avvisaglie di chiusura totale all’Italia del florido mercato indiano, e non solo nei settori altamente tecnologici: la valanga sarebbe iniziata con gli elicotteri ma si starebbe già estendendo ad altri comparti del “made in Italy”. La Farnesina s’arrampica sugli specchi ed il Commercio estero finge non stia succedendo nulla. Ma gli investitori, le borse, guardano sempre con più preoccupazione ai titoli italiani (soprattutto Finmeccanica) certi che dopo l’India possa abbattersi sul “made in Italy” una sorta d’effetto domino, già ribattezzato da alcuni “tempesta indiana”. Alcuni addetti ai lavori non nascondono che “una grossa commessa dall’India tranquillizzerebbe un po’ tutti, in primis i mercati”.
E finché non passa questo momento, in certi salotti paludati c’è chi continua a giocarsi la carta dei prigionieri: ovvero, finché i due marò rimangono prigionieri in India, l’Italia può mantenere un filo di trattativa commerciale in quel lontano Paese a forte crescita economica. È mai possibile che lo Stivale si giochi anche la carta del farsi ricattare dalla nazione con più forti percentuali mondiali di stupri, omicidi e fenomeni diffusi di corruzione? Lenocinio di Stato o puttanata mondiale? Da qualsivoglia angolo ci si sforzi di guardarla, l’Italia fa la solita figuraccia, già vista in tante occasioni. Lo Stivale non si smentisce mai, e chi lo governa è degno erede dell’ammiraglio Persano, il comandante della flotta italiana a Lissa: von Tegetthoff disse di lui e dell’Italia (all’indomani della battaglia di Lissa) che “navi di legno comandate da uomini con la testa di ferro hanno sconfitto navi di ferro comandate da uomini con la testa di legno”.
Tegetthoff voleva così attribuire la responsabilità della sconfitta navale ai comandanti italiani che, per rincorrere errate strategie, mandarono a morte i loro sottoposti. La strategia italiana sul mercato indiano di oggi non è forse poggiata tutta sui due poveri prigionieri? Ecco che per certi salotti del Belpaese i due marò devono obbligatoriamente risultare né colpevoli né innocenti: la solita furbata all’italiana. La vecchia politica delle carte imbrattate ed imbrogliate, che il più delle volte ci vede intrappolati negli stessi nostri imbrogli.
La dice lunga il fatto che la Farnesina non stia cavalcando la perizia redatta da Diego Abbo (capitano di fregata, direttore superiore del tiro), esperto balistico di fama internazionale. Abbo ha analizzato la vicenda dell’Enrica Lexie: nello specifico la posizione dei due militari italiani (Massimiliano Latorre e Salvatore Girone) accusati dell’uccisione dei due pescatori indiani, Ajiesh Pink e Valentine Jelestine. “I fucilieri hanno sparato la raffica dissuasiva - scrive Abbo - ad una distanza di sicurezza dal potenziale attaccante in stretta conformità alle Ruf (Rules for use of force) recepite dalle Regole di Ingaggio di cui all’articolo 5 della legge n. 230 del 2 agosto 2011 (ulteriori misure di contrasto alla pirateria).
La raffica dissuasiva ha rimbalzato sull’acqua in quanto l’incidenza della stessa con la superficie del mare era al di sotto dell’angolo critico - dimostra Abbo con grafici derivati da test pratici - Le “Recomandetions” dell’Imo e le Regole di Ingaggio nazionali non prevedevano assolutamente la possibilità di spiattellamento dei colpi né attuavano misure per ridurne gli effetti dannosi e il rischio di danni contro terzi… I colpi 7x57 sono compatibili con la spiattellamento della raffica sparata sempre da una altezza del tiratore di 24 metri, ma ad una distanza di 650 metri fra le due unità”. Quindi Abbo smentisce le illazioni di indiani ed organi di stampa: “I punti di impatto sul peschereccio dimostrano inoltre che la raffica non poteva essere di calibro 7,62 per due ordini di motivi: il primo è funzione della velocità di impatto sul peschereccio che può determinare una traiettoria di rimbalzo per una raffica sparata sempre da una altezza di 24 metri ma ad una distanza di 650 metri fra la Lexie e il St. Antony.
Il secondo riguarda i profili di impatto dei colpi sul peschereccio e sui corpi dei pescatori che mettono in evidenza la rotazione dei proiettili sul proprio asse trasversale (asse di beccheggio) tipico solo dei proiettili 5,56 x 45 mm Nato e 223 Remington”. Ecco che la perizia di Abbo scagiona i due marò, lasciando però aperta la chiave di un eventuale rimbalzo, bastevole comunque a cancellare ogni dolo da parte dei di militari: “Se i colpi fossero pervenuti per traiettoria diretta, avrebbero dovuto avere una velocità non superiore 120¸150 m/s ossia essere sparati da 850/900 metri. Infatti una velocità superiore avrebbe permesso la fuoriuscita dei proiettili sia dai corpi dei pescatori che dal St. Antony.
I 4 colpi, invece, sono stati repertati due nei corpi dei pescatori e due a bordo del peschereccio. Tale tipo di munizione causa ferite estremamente laceranti, con emorragie quasi sempre mortali (l’80% delle volte), indipendentemente dal punto di penetrazione iniziale - spiega Abbo - Per perforare le ossa necessita almeno di 60/70 m/s di velocità. Per legno e cute (con i vestiti) necessita di 30/40 m/s di velocità minima. L’effetto rotazione dei proiettili sul proprio asse trasversale (asse di beccheggio) non ha impedito l’azione di rimbalzo, visto che tutti i proiettili hanno reagito allo stesso modo”. Per farla breve, o si è trattato di un incidente o, se volontà c’è stata, non può essere addebitata ai due marò. Ma oggi il dettaglio della loro innocenza passa in secondo piano, perché la loro detenzione in India è funzionale a riattivare una linea di politica commerciale troppo indebolita da scelte di uomini e provvedimenti di procure.
di Ruggiero Capone