La lettera aperta ai liberali di “Ali”

mercoledì 27 novembre 2013


Nelle ultime settimane, insieme ad alcuni amici d’ispirazione liberale, libertaria e conservatrice, abbiamo dato vita a “Libera Europa”, un nuovo movimento politico che contesta il progetto d’unione politica europea e propone al suo posto un modello d’Europa basato sul mercato unico e sul libero scambio, in una cornice di mutua indipendenza politica tra gli Stati. Abbiamo avuto modo di leggere in questi giorni il manifesto del vostro nuovo movimento, Ali (Alleanza Liberaldemocratica per l’Italia), e non manchiamo di riconoscerci molti spunti interessanti nel senso dell’affermazione dei princípi della libertà individuale e del libero mercato. Di tutto questo, certamente, ci felicitiamo.

Tuttavia, al di là delle tante cose giuste e condivisibili, riteniamo che il vostro manifesto sia carente su una questione ormai di assoluta rilevanza politica. Concentrandovi su un approccio tradizionale al “governo limitato”, trascurate la questione del decentramento (o devolution) a livello nazionale ed europeo e della determinazione di perimetri territoriali ottimali per le istituzioni politiche. Eppure, al giorno d’oggi, la contrapposizione tra centralismo e decentramento rappresenta una dimensione politica di primaria importanza, in grado di fornire alcune tra le migliori chiavi di lettura delle dinamiche economiche e sociali dei nostri giorni, più di quanto non lo siano dimensioni più “tradizionali” dell’analisi politica.

In tutto il mondo occidentale, gli Stati piccoli sono allo stesso tempo quelli più prosperi e quelli più economicamente liberi, tantoché la quantità di popolazione che vive sotto un certo Stato permette di prevedere l’andamento dell’economia più di quanto non faccia il colore dei governi che hanno guidato quello Stato negli ultimi vent’anni. La democrazia è uno strumento prezioso, ma funziona bene solamente in contesti relativamente piccoli e omogenei, mentre al crescere delle dimensioni e delle differenze aumenta inevitabilmente il ruolo dell’intermediazione politica, cosicché s’afferma sempre più la supremazia della politica sull’economia.

Il limite della visione liberaldemocratica per com’è stata declinata in Europa negli ultimi anni è che essa coltiva l’illusione che i princìpi di libertà individuale, libero mercato e governo limitato possano esser perseguiti in un quadro di “democrazia unitaria”, a livello nazionale e soprannazionale - cioè che sia possibile istituire dei livelli di poteri monopolistici su decine/centinaia di milioni di persone e, al contempo, sia ragionevole sperare di “controllarli” e di “limitarli”. Purtroppo la Storia insegna che, in un quadro di pura “democrazia maggioritaria”, gli incentivi sono sempre tutti nel senso dell’estensione indefinita del ruolo della politica e dello Stato, e solamente l’introduzione del contrappeso della “concorrenza istituzionale” – di una continua competizione tra sistemi fiscali e normativi – può garantire esiti politici più liberali.

Nei fatti, la crisi italiana ed europea che stiamo vivendo è in gran parte una crisi d’“azzardo morale”, in cui ogni livello di potere è in condizione di spendere le garanzie offerte dal livello superiore. Molte Regioni italiane hanno una gestione incontrollata dei bilanci, perché sanno che comunque, grazie allo Stato italiano, saranno sempre salvate. Similmente, la politica nazionale italiana negli ultimi dodici anni s’è potuta permettere di smorzare qualsiasi impulso riformatore, grazie alla percezione di esser ormai – in virtù dell’euro – dentro qualcosa di “troppo grande per fallire”.

L’unica riforma di rilievo degli ultimi tempi, quella delle pensioni, è stata realizzata in una finestra temporale in cui si è avuta la percezione che il paracadute europeo potesse cedere. Ma tale condizione in breve è rientrata, per le politiche di Draghi d’acquisto dei nostri titoli di Stato che, abbassando artificialmente il nostro spread, hanno spento qualsiasi senso d’urgenza. In queste condizioni, se si andrà avanti nel progetto di unione politica, con tutti i corollari che si stanno delineando, dagli Eurobond al “Fondo salva-Stati”, dal conferimento alla Bce del ruolo di prestatrice d’ultima istanza fino alla gestione sempre più politica della moneta unica, si alimenterà una gigantesca bolla politica che avrà conseguenze devastanti per tutto il continente.

Da un lato, classi politiche nazionali che potranno spendere in modo incontrollato perché coperte dalla superiore garanzia assicurata dall’Ue e dalla Bce; dall’altro, una classe politica europea intenta a comprarsi il consenso attraverso politiche di brevissimo periodo, volte a comporre differenze e disuguaglianze attraverso la spesa pubblica e il trasferimento indiscriminato di ricchezza. Riteniamo che serva muoversi esattamente nella direzione opposta: quella di promuovere condizioni di piena responsabilità politica (accountability).

Si tratta d’affermare il principio “chi sbaglia paga”, e di ripristinare la relazione tra spesa pubblica e tassazione e tra consumo e produzione di ricchezza. Questo, dal nostro punto di vista, necessariamente passa dalla ferma opposizione al progetto d’unione politica europea e, semmai, dal superamento dal basso dei vecchi Stati novecenteschi, secondo un percorso che in alcune parti d’Europa, dalla Catalogna alla Scozia, si sta già delineando. Voi, giustamente, vi proponete di lavorare per “un’Europa aperta, spazio di libertà e pace, rispettosa delle differenze, più capace di competizione e d’inclusione, contro ogni forma di statalismo, di iperregolazione burocratica e di chiusura protezionistica”. Ci sentiamo di condividere questo vostro obiettivo ma, in tutta sincerità, non lo riteniamo perseguibile all’interno dell’attuale framework dell’Unione Europea, tantomeno in un quadro d’ulteriore integrazione politica.

Crediamo, al contrario, che un’idea d’Europa liberale e competitiva possa passare esclusivamente da un modello diverso d’integrazione europea, incentrato non sulla dimensione politica, ma su quella economica e culturale. Per questo, riteniamo che oggi non si possa essere seriamente liberali senza essere euroscettici. Leggete il discorso di Bruges di Margaret Thatcher, leggete il discorso sull’Europa di David Cameron, ascoltate le argomentazioni “libertarie” di Nigel Farage. Scoprirete come la visione d’Europa che preconizzate nel vostro manifesto stia molto di più lì – in quell’euroscetticismo di stampo britannico – che non nella stanca retorica europeista della “liberaldemocrazia” europea.

Sulle questioni dell’Europa e più in generale del decentramento politico, siamo pronti ad aprire con l’Ali – così come con gli altri movimenti e partiti che lo desiderassero – un confronto politico che possa condurre all’elaborazione di policy che vadano effettivamente, e non solo nominalmente, nella direzione di un’Europa plurale e aperta al mercato e alla competizione.

da www.notapolitica.it


di Andrea Benetton e Marco Faraci