Federalismo regionale? “Staterelli” indebitati

martedì 26 novembre 2013


I Comuni hanno un debito di sessantadue miliardi (escludendo circa dieci miliardi di Roma, contabilizzati a parte, ma che sempre debiti sono). Le Province hanno un debito di dodici miliardi. Le Regioni hanno un debito di centocinque miliardi. In totale fanno centosettantasette miliardi. Sono i debiti che il federalismo fiscale dovrebbe risanare o, quanto meno, fermare, sull’assunto che i contribuenti impediranno la crescita delle passività punendo gli amministratori spendaccioni e premiando gli oculati.

Alla domanda sul perché, votando i governanti locali, gli elettori dovrebbero comportarsi con tanta saggezza, visto che, quando votano i governanti nazionali, si comportano in modo molto diverso, il federalismo dà seriamente questa stravagante risposta: “Sentirebbero sulla loro pelle la morsa dei tributi necessari a fronteggiare il volume di spesa”. Il federalismo trasferisce dunque in ambito regionale l’illusione che il cittadino-contribuente, attraverso la democrazia parlamentare, possa costituire un baluardo contro le follie finanziarie dei governanti. Ebbene, i due più clamorosi esempi di rifiuto dell’oppressione fiscale sono forniti da popolazioni che, per sfuggirvi, dovettero compiere due storiche rivoluzioni. I coloni americani e il “Terzo Stato” francese si ribellarono per motivi fiscali.

Ma, dopo che ebbero istituito un Parlamento rappresentativo, dovettero constatare con gli anni che avevano sostituito un sovrano, costituzionale o assoluto, con un Parlamento altrettanto sovrano, sebbene con qualche barriera costituzionale, e con poteri pressoché illimitati sulle tasche della gente. L’humus dell’America e della Francia di fine Settecento è stato sparso nottetempo sulle sponde del Po e del Volturno? Qualcosa di rivoluzionario, in piccolo, nella dimensione italiana, potrebbe tuttavia e dovrebbe esser fatto qui e subito: l’abolizione delle Regioni, enti megalomani che rodono lo Stato come ratti. Ma non sarà fatto. Anzi. Le Regioni stanno per diventare un quasi-Stato, moltiplicato per venti.

Da quarant’anni non fanno che gonfiarsi: più politici, più impiegati, più tasse, più spese, più debiti, più dissipazioni. Ora il federalismo dovrebbe responsabilizzarle dando ad esse mano libera! Considerato che la sanità assorbe in media circa l’ottanta per cento dei bilanci regionali, è un’aberrazione tenere in vita istituzioni costose e passive per gestire il servizio sanitario. In ogni Regione basterebbe un’autorità sanitaria, nominata dal Governo (qualcosa del genere già accade, in via d’eccezione, con la nomina di commissari straordinari alla sanità di fronte a debiti eccessivi). Quanto al resto delle competenze regionali, non c’è nulla che non possa essere proficuamente trasferito allo Stato ed ai Comuni.

All’aberrazione politica si aggiunge la vergogna morale e costituzionale del trattamento differenziato dei malati, che contraddice non solo l’essenza della sanità pubblica, perché non assicura cure uguali per tutti in ogni regione, ma anche la parità fiscale, perché l’imposta sul reddito, che ci fa cittadini, “rende” diversamente da regione a regione. Quello Stato che nei compiti essenziali, come la giustizia, la salute, l’istruzione, non realizza ovvero tollera che sue articolazioni non realizzino l’uguaglianza tra i cittadini, perde quasi del tutto la sua ragion d’essere. Non per niente rischia di frantumarsi in staterelli di stampo preunitario.


di Pietro Di Muccio de Quattro