Giornalismo perugino Mi manda Ciccone

venerdì 15 novembre 2013


Perugia è da un po’ di tempo una città tormentata. Stabile fortezza di impieghi pubblici, monasteri e di affittuari di camere per gli studenti internazionali, al capoluogo dell’Umbria non mancava nulla, né un bell’hotel antico, il “Brufani” con piscina etrusca sotterranea, né quattro Festival, due belle vie, due gran palazzi e grifoni in pietra, non i suoi 30 consiglieri regionali per quasi 900mila abitanti, nemmeno un quadro politico stabilissimo, ribadito in questi giorni dalla mostra (San) “Francesco nel cuore delle regioni” e dal sito nuovissimo del “Dizionario biografico umbro dell’antifascismo e della resistenza”.

La crisi internazionale è però arrivata anche qui, fin dal novembre 2007 nelle vesti dell’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, per il quale caso è partito il solito processo decennale italiano, fatto di condanne, assoluzioni e annullamenti a ripetizione con l’onnipresente Giulia Bongiorno che qui già aveva concionato a lungo per la difesa di Andreotti. I grigi cieli della crisi economica si sono fatti ancora più plumbei per gli studenti stranieri e soprattutto per le loro famiglie, preoccupate da tante dicerie di sesso criminalgotico. Ultimamente è andato in crisi anche un altro saldo bastione di studi cittadino: la Scuola di Giornalismo di Perugia. Tutto parte ancora in estate, quando la Rai di Gubitosi si accorda per 70 nuove assunzioni con l’Usigrai.

Il sindacato sinistro corporativo dei giornalisti Rai, dopo aver bloccato ogni intesa contrattuale con l’ex direttore generale Lorenza Lei per motivi politici, teneva molto a questa intesa, unica rivalsa positiva delle tornate contrattuali con il nuovo dg e la presidente Tarantola. In prima battuta vengono assunti interni precari: 40 giornalisti che, a tempo determinato o autonomi o collaboratori, da un lustro passavano per aiuto regista, autore testi e programmisti. Scelta nominativa senza richiesta né di un curriculum, né di un titolo, con lotte di sbandamento di gruppi di tessere sindacali, intorno. Sul blocco di provenienza dalle scuole di giornalismo c’è un qui pro quo: per Gubitosi c’è la “prassi aziendale” Rai, di coltivarsi i propri virgulti alla scuola di Perugia, donde arrivò Floris e da dove effettivamente, a luglio, arrivano, su chiamata diretta alle sedi regionali Rai 35 ex allievi perugini, qualcuno con tanto di appartamento aziendale.

Per gli altri la beffa a settembre di un improbabile concorso, affidato all’agenzia Praxi, con domande quiz, vaghe oppure sbagliate, addirittura invalidate in corso d’opera. La commissione, presieduta dall’ineffabile Sorgi, appurato che il programma Odeon non era dell’86 ma del ’76, abbozza, si complimenta, poi seleziona per gli orali (a porte chiuse) senza criteri 100 aspiranti, tra i quali anche giornalisti concorrenti come il caporedattore di Radio Vaticana. Finisce con Grillo e il presidente della Commissione Rai, Fico, che assediano viale Mazzini, Gubitosi, il direttore Hr Flussi e Di Trapani (Usigrai); con tutti al Tar e sulle pagine Facebook di protesta, chiamate “Come loro”, alludendo ai perugini, e dopo le censure, ridenominate “35 come loro”.

All’Ordine dei giornalisti, escluso dalla kermesse, Jacopino versa olio sul fuoco postando i retroscena sulle pagine blu e scrivendo indignato a Rai, Fnsi e Usigrai a difesa delle altre 11 scuole (Luiss, Lumsa) che sulla carta sono uguali per gli “indirizzi” Rai e che se non lo fossero metterebbero in difficoltà l’Ordine, le Università e i corsi da 20mila euro l’anno. Abituati alle barricate, questa volta Articolo 21, Usigrai e Cerrato della Casagit fanno i pompieri, ribadendo che Perugia è un canale privilegiato Rai. Contro invece si schiera un loro amico storico, il blog “La valigia blu” di Arianna Ciccone, un nome che a Perugia conta. La ragazza con la “valigia blu” è la napoletana bassina Ciccone, 42enne, con tanto di sorella ed ex professore di inglese, ora compagno, e il 49enne anglo- Usa Christopher Potter al seguito.

In 6 anni è riuscita sotto la presidente regionale (2000-10) Maria Rita Lorenzetti, e del locale Odg Ciliani (“non è un Festival autoreferenziale”) a costruire un gigantesco evento internazionale del giornalismo, senza direttori artistici, con decine di migliaia di presenze, centinaia di giornalisti accreditati, eventi, dibattiti, libri, documentari, interviste, relatori.

Tutti a discernere di media e libertà di stampa, gratuita, innovativa, i temi del precariato giornalistico, della nuova etica web, della lotta tra l’odiata tv, editori e blogger. Espertissimi di una cosa che non hanno mai fatto (“Il giornalismo resta una passione extra lavorativa”), Arianna e Chris riescono ad ottenere per la loro Srl 522.500 euro dalla Regione, 62mila euro dal Comune e 86mila euro dalla Camera di Commercio. Senza contare contributi a latere come location, affitti, auto blu e navette gratuiti (per circa 40mila euro) e gli sponsor indirizzati dalla Presidente (Unicredit, Tim, Enel, Sky). L’edizione 2011al colmo della campagna sulla repressione antistampa finisce in crescendo con Mauro, Concita, Rossi e Stella uniti in coro accanto ad una raggiante Arianna, la cui mascella alla Totò giganteggia soddisfatta nella rientranza dentaria; commovente e minacciosa insieme. Dal 2012 però i fondi calano, da 170mila a 120mila euro (con costi totali da 400mila), fino a miseri 75mila prospettati per il 2014.

Il clima è cambiato, al potere non c’è più il bau bau repressore della libera stampa, la crisi incombe e tutti vogliono stabilità. Le ultime due presidentesse regionali, Lorenzetti e Catiuscia Marini si sono fatte registrare mentre si avvisavano reciprocamente delle intercettazioni della magistratura. La prima, da capo Italferr (FS) è stata arrestata e liberata in un’indagine anti-Tav fiorentina che lambisce pericolosamente i territori renziani. La seconda, messa la dovuta attenzione ai telefonini, è passata agli incontri diretti. In uno di questi, con Arianna e Chris, ha garantito fondi a volontà, impegnandosi senza l’oste, l’anziano assessore alla Cultura Bracco che soldi non ne ha. Non l’avesse mai fatto.

Accanto alle polemiche sulla scuola giornalistica, esplode la rabbia della Ciccone che non intende ridimensionarsi ed annuncia in una conferenza stampa-assemblea in stile “Teatro Valle occupato” ma più lussuosa (il solito hotel Brufani…) che il prossimo Festival non ci sarà, sicuramente non a Perugia. Siamo in piccoli posti, dove ci si conosce, si parla, non si litiga. Come racconta l’assessore comunale Cernicchi, ci si mette d’accordo davanti ad un piatto di formaggio, anche se l’interlocutore Chris, stranamente sorseggia succo di frutta e mastica un muffin. Non ci si aspetta il coro di urla che le erinni - stile Guzzanti - sono capaci di evocare. L’idea che il Festival non ci sia più, fa partire un roboante “vergogna” da L’Espresso per poi venire reiterato in tutto il “red network” nei 5 continenti, fino alla convocazione a Roma dal premier.

Addirittura. Comprendendo di avere di fronte forze superiori alle proprie, gli enti locali preparano la nota spese da 120mila euro. Al Comune calcolano di trovarne altri 30mila e di raggiungere la promessa cifra di 200mila euro. Nessuno ferma però Arianna Ciccone, che ne ha in realtà chiesti 600mila. Al quartier generale dell’hotel Brufani, gremito di giornalisti, blogger, commercianti, cittadini, qualche sponsor, nell’assenza dei politici, ribadisce che “A sostegno del Festival sono scesi in campo i big internazionali e i più grandi giornalisti che definiscono il festival, the best”. In 7 edizioni siamo passati da 50 ospiti a 500, nonostante il budget molto contenuto. Il Roi sul territorio vale 3 volte i fondi pubblici elargiti.

Troppo tardi, proveremo con le nostre forze. I finanziamenti saranno reperiti attraverso il crowdfunding (offerte libere da parte dei cittadini)”. La minaccia è di portare la kermesse a Prato. La napoumbra scatenata attacca sui soldi sprecati per sagre da 4 soldi o per una mostra di giovani autori a Palazzo della Penna che non si capisce se sia costata 140 o 190mila euro. In una conferenza stampa di quasi 2 ore, andata in web streaming per trasparenza, sudatissimo il giovane assessore comunale, ricordate le ospitalità perugine dei cileni, quando non era nato, dimostra tutta la forza dei novi Pd ricordando che al duo anglonapoletano aveva affidato l’incarico (da 5mila) della rassegna stampa e implora che la kermesse resti a casa.

Il regionale prof. Bracco non fa una piega, tiene nel frigo i 120mila euro promessi e controbatte il Guardian sul Trasimeno Festival (costo 8mila) agli arianneschi Reed, il tecnologico di Obama e Bernstein del Watergate. Come tutto si è gonfiato, tutto si sgonfia. Alla fine il Festival, anzi l’Ijf (International Journalism Festival) resterà dove è nato. Gli sponsor, malgrado i loro problemi ed i loro lavoratori metteranno il contante mancante. Restano i buoni, il giovane Cernicchi (“Vero dispiacere. Quasi dolore. Nottata insonne”), il sindaco Boccali, il sottosegretario Legnini. Cattivi: Bracco e le istituzioni. Così due partiti dei media Pd, in tempi di congresso, si fronteggiano in quel dell’Umbria: l’evento-filiale de “La Repubblica” e la scuola-filiale Rai; qualche volta insieme, qualche altra contro. Ci sono poi altre correnti, è ovvio, gli albergatori, la Pa, il tapis roulant che tiene lontani gli immigrati della stazione da Wladimiro e Catiuscia, dai bei dibattiti introdotti da Potter: “La città è nel bel mezzo di una rivoluzione culturale.

Proprio come il giornalismo”. Tutti su “Il Filo di Arianna”, l’agenzia di comunicazione srl, fondata dalla nostra, con tanto di confusione con la più nota associazione per adozioni, e con le domande fatidiche: “Gli sponsor che sovvenzionano il noprofit contribuiranno con Iva o senza?”. Ed i 20 giornalisti, che tengono vivo il sito tutto l’anno, rientrano nei 190 che fanno a gara per essere volontari? Chiedetelo ad Arianna, ribelle del Ijf, futura docente alla Scuola Rai. Sempre a Perugia.


di Giuseppe Mele