giovedì 14 novembre 2013
La cronaca del nostro Paese sovente propone all’attenzione della pubblica opinione vicende e situazioni esistenziali che svelano e raccontano, anche quando si tratti di casi estremi, lo spirito del tempo e la mentalità diffusa. L’inchiesta della magistratura di Roma ha scoperto e fatto conoscere alla pubblica opinione la vicenda della baby squillo, ragazzine minorenni sfruttate da uomini privi di scrupoli morali e umani, che si prostituivano per ottenere in cambio delle prestazioni sessuali, concesse a uomini adulti e facoltosi, consistenti somme di denaro. Le ragazzine, designate con il nome d’arte di Azzurra ed Aurora, hanno rispettivamente la più grande 16 anni, la più piccola 15 anni.
L’inchiesta ha preso le mosse dalla denuncia presentata dalla madre della ragazzina più grande, separata dal marito ed impiegata in un ufficio. Secondo gli accertamenti compiuti dagli inquirenti, ed in base agli elementi che sono al centro della inchiesta condotta dalla magistratura, la madre della ragazzina più piccola, proprietaria di un bar che non garantiva introiti sufficienti ai bisogni della famiglia, nella quale vi è un altro figlio malato che ha bisogno di cure mediche costose, ha indotto la figlia a prostituirsi, poiché le assicurava somme di denaro necessarie per sopravvivere. Per questo motivo, la madre della ragazzina più piccola è finita in carcere.
Fino a questo momento sono finiti agli arresti cinque persone adulte, più un uomo che, in base alle accuse degli inquirenti, avrebbe ceduto sostanze stupefacenti alle minorenni per avere in cambio prestazioni sessuali. In questa storia, per molti versi sconvolgente e dolorosa, ciò che inquieta e angoscia è ascoltare le motivazioni addotte dalle minorenni per giustificare la loro condotta riprovevole, durante l’interrogatorio che hanno subito, con l’assistenza degli psicologi, dagli inquirenti. Entrambe hanno sostenuto di averlo fatto perché amano il lusso, hanno bisogno di somme consistenti di denaro per appagare i loro desideri e poter acquistare tutto ciò che vogliono.
Da quello che si è saputo fino a questo momento, pare che, secondo il parere degli psicologi che le hanno analizzate, le ragazzine Azzurra ed Aurora erano compiaciute di suscitare il desiderio negli uomini adulti, e consideravano questo fatto un potere di cui disporre, per ottenere in cambio della vendita del loro corpo denaro. Mirko, l’autista che lavora in una università privata, che si trova non lontano dal quartiere Trieste a Roma, frequentato dalle due adolescenti, è l’uomo adulto che ha preso in locazione la stanza nel quartiere elegante dei Parioli dove le minorenni si sono prostituite.
Con Mirko le due minorenni, entrambe cresciute senza un padre, hanno diviso i guadagni ottenuti prostituendosi. Ciò che colpisce è il profilo umano dei clienti delle minorenni, a cui gli inquirenti sono riusciti a risalire, in base ai numeri trovati nelle rubriche dei loro telefoni cellulari. Si tratta di professionisti, commercianti, consulenti d’immagine, uomini adulti e facoltosi, che sovente sono a loro volta genitori di adolescenti che hanno la stessa età delle baby prostitute. Di fronte ad una vicenda così inquietante e sconvolgente, a nulla serve indulgere al moralismo e abbandonarsi alla retorica dei buoni sentimenti, che impone di indignarsi e chiedersi come sia potuto accadere che siamo precipitati in questo abisso di abiezione e di degrado morale.
La precocità delle giovani adolescenti, cresciute in fetta e diventate donne prima del tempo, cospargendosi il volto con il trucco ed indossando abiti succinti, tali da mostrane il fisico avvenente, è l’aspetto che in questa triste e squallida storia fa pensare. È evidente che la condizione della donna è mutata radicalmente nel nostro tempo, e per capirlo occorre riflettere su cosa abbia rappresentato la scoperta della psicanalisi nell’epoca moderna ed il ruolo del desiderio sessuale nel definire l’identità di una persona, la rivoluzione sessuale e la liberazione della donna dalla condanna riproduttiva grazie alla pratica della contraccezione. Tuttavia in questo caso si tratta di adolescenti minorenni, che ancora frequentano la scuola.
Questa vicenda, che sicuramente racconta un caso limite ed estremo, non mette in luce in modo evidente ed innegabile la crisi del sistema educativo del nostro paese? Possibile che delle adolescenti, anziché innamorarsi a scuola della cultura e del sapere e scoprire i propri talenti, stavano tutto il giorno a comunicare con il loro cellulare per procacciarsi incontri sessuali a pagamento? È evidente che nel nostro tempo, dominato da questo rumore ininterrotto, dovuto alle possibilità di comunicazioni offerte dalle nuove tecnologie, è venuto meno e si è interrotto drammaticamente il dialogo tra i genitori e gli adolescenti. Le due adolescenti, dopo che ad entrambe è stato sottratto lo smartphone, sono scoppiate a piangere, poiché la loro identità dipende da questo strumento di comunicazione. I commenti che hanno accompagnato questa vicenda sono stati di segno contrario.
Carlo Freccero, un raffinato intellettuale, che conosce bene il mondo della comunicazione, ha sostenuto in una trasmissione televisiva con realismo e cinismo che la bellezza è un talento, e le donne in tempi di crisi hanno il diritto di disporne per ricavare reddito. Tuttavia Freccero ignora la circostanza che le due adolescenti erano minorenni e con l’identità sessuale ed umana non ancora completamente definita. Altri, con parole rassicuranti, che non attenuano il sentimento di stupore che si prova di fronte ad una caso del genere, hanno notato che non tutte le giovani donne sono così, poiché molte sono ancora disposte ad affrontare sacrifici e privazione per il rispetto dovuto alla loro integrità psichica e fisica.
In ogni caso l’aspetto su cui riflettere è chiedersi come mai, per queste giovani adolescenti, e per molte altre come loro, ciò che conta ed assume valore è solo il denaro e la possibilità di esaudire ogni desiderio. Questa storia, grave e triste, mostra come il nostro tempo è segnato da passioni tristi e dalla mancanza di valori ed educazione. Mai come in questo caso è necessario menzionare i versi celebri ed immortali che Dante nel ventiseiesimo canto dell’Inferno della Divina Commedia, quello dedicato ad Ulisse, ha scritto: “Nati non foste a vivere come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza”.
di Giuseppe Talarico