Lettera al ministro: Carissima Cancellieri…

martedì 12 novembre 2013


Corrono i titoli di coda sullo spettacolo patetico dei nostri chiacchieroni di regime che hanno sgomitato per mettersi in mostra nel dare giudizi nel commentare, nel ripetere voluminose idiozie andate in prima serata e in prima pagina dei quotidiani di imprenditori a basso contenuto di materia grigia. Opinioni di illustri personaggi, sondaggi e statistiche ci segnalano che la maggioranza dei benpensanti avrebbe preferito le dimissioni del ministro Cancellieri. Prove d’autore in vista di imminenti elezioni.

Tutto ritorna, sofisticati sistemi denigratori; camarille del male dove transitano discussi personaggi con spiccata vocazione al reclamo, alla lottizzazione della chiacchiera, a trame di palazzo, a guerre da condominio. Specchiati esempi di finto candore verbale devastano il mondo reale, corrompono il consenso degli spiriti gentili, procurano l’aborto dei problemi posti all’attenzione del Governo e del ministro Cancellieri. Oscuri richiami nelle pieghe della legge, mendace iperbole di appelli ingannevoli. Una lunga serie di gravi errori condonati per i lottizzatori della chiacchiera. La metempsicosi dal sacro al profano, dal dichiarato aulico al vissuto fangoso, dal vero delle parole al falso dei comportamenti. Sciacalli alla nutella richiamano al bene comune dove campeggiano i devoti cantori della difesa dei superiori valori della Costituzione, del popolo della legalità.

Male? No, ontologicamente il male può essere un’opportunità, un vantaggio. Da domani inizia l’Era delle tanto declamate riforme strutturali, così come il ministro Cancellieri e i colleghi di Governo le proporranno, senza modifiche, senza emendamenti, senza dibattiti, senza confronti con queste o quelle forze politiche o sociali. O così o così. Senza se senza ma, come piace alla piazza. Non le volete approvare? Tutti a casa, decida il popolo. I raccomandati dei partiti, dei poteri forti, dei giornali, delle trasmissioni tv si dovranno trovare i voti da soli, per la semplice ragione che queste fonti del male della democrazia si saranno delegittimate ed al loro interno ci sarà la vera resa dei conti per aver mandato il Paese in default.

Avete capito signori delle tessere, monarchi della designazione dei canditati al Parlamento, potenti dominatori delle corrotte operazioni della manipolazione del consenso democratico (termine che usate a sproposito). “Alla fine la verità né per violenza si toglie né per antichità si corrompe, né per occultazione si minuisce né per comunicazione si disperde; perché senso non la confonde, tempo non l’arruga, luogo non l’asconde, notte non l’interrompe, tenebra non la vela (Giordano Bruno)”. La coerenza è la virtù degli imbecilli, ma non può essere la virtù dei filosofi, diceva Oscar Wilde. Chi si indigna ha già tradito; ha tradito la sua tolleranza, la sua intelligenza, il suo equilibrio, volto a comprendere le ragioni degli altri; a favore degli amici, contro i nemici o contro i vecchi amici a favore dei nemici poi divenuti amici. Torti e ragioni sono ai limiti di un tenue confine. Minacce, insulti, ritorsioni, offese, accuse, diffamazioni.

Forse non è bello, poco edificante, ma la colpa è sempre degli altri o di entità astratte: l’Italia, lo Stato, la politica, il Governo, l’opposizione, le responsabilità, loro, quelli, alla fine gli altri. Vincere, perdere; perdere ma…. E sì, vincere ma…. Ma come doveva essere una clamorosa sconfitta? E come doveva essere una forte vittoria? Ma il rispetto per chi lavora, produce, mette in moto il Paese? Insomma, il popolo. Altra entità astratta. Quale popolo? Una parte quella buona, democratica, progressista, pacifista. E di quella cattiva, antidemocratica, conservatrice, guerrafondaia cosa ne facciamo? La sopprimiamo, la convertiamo, la puniamo, la irreggimentiamo? La prima vera riforma è abbattere gli apparati dello Stato burocratico, che costa la metà del reddito nazionale, introdurre nella Pubblica amministrazione i principi e l’organizzazione del lavoro di azienda (che brutta parola, direbbe Vendola), ma si continuano ad ascoltare le idiozie di Vendola e compagni.

Gli economisti più avveduti e tra essi Giavazzi ed Alesina, come pure il tanto criticato Monti (ingiustamente), ripetono inascoltati che bisogna ridurre la spesa pubblica. Almeno si potrebbe riorganizzare il personale, una equa e razionale distribuzione della forza lavoro in funzione dei carichi di lavoro, per migliorare la qualità dei servizi e diminuirne i costi. Un modo per vincere le disuguaglianze tra chi lavora troppo e chi lavora poco con lo stesso stipendio. Anche i sindacati dovrebbero essere d’accordo. Un po’ meno cortei e manifestazioni nelle piazze e un po’ più di operatività per rendere la Pubblica amministrazione un po’ più azienda, che non è un termine che possa evocare il male assoluto. Leggere la realtà di un grande Paese è cosa buona e giusta ma estremamente difficile, anche da parte di studiosi di alto lignaggio. Molte e complesse le variabili da considerare e i loro reciproci condizionamenti, molti i segmenti che compongono il Sistema Paese ed i loro effetti collaterali.

L’esame di un singolo segmento, la comparazione di come viene affrontato in altri contesti e Paesi, difetta della semplice considerazione che una variabile, un settore di una parte delle attività di gruppi e soggetti di varia origine e natura non può essere confrontato se non viene esaminato parallelamente il tutto. Per l’Italia il primo esame va posto nei confronti dello Stato, dell’ordinamento giuridico-legislativo, dell’organizzazione istituzionale e amministrativa, delle norme che regolano il mercato finanziario, delle condizioni della libera iniziativa, delle concrete possibilità per la nascita e lo sviluppo delle attività economiche, dei controlli. La piazza urla, lo Stato è assente, senza capire che se fosse vero sarebbe cosa buona e giusta.

Lo Stato (inteso come apparato) è troppo presente ed è fonte di ostacoli, inefficienze, corruzione, impiego improduttivo di risorse. Lo Stato, così come è strutturato in Italia, è il primo nemico del cittadino, delle famiglie, degli imprenditori, dei professionisti, dello stesso Governo e dei suoi ministri. Lo Stato non favorisce l’uguaglianza tra diversi, altera la meritocrazia, mortifica la produzione del fare, determina privilegi; è di fatto l’esatto contrario dell’economia sociale. Ovviamente ho usato impropriamente il termine “Stato” proprio per la stessa sintesi concettuale, con la quale la piazza lancia il proprio messaggio di disperazione.

Il termine “Stato” andrebbe specificato in tutta quella miriade infinita e poco conosciuta di enti territoriali e non, di Authorities, di associazioni, di sindacati, di fondazioni, di consorzi, di organismi pubblici e privati che si arrogano diritti, prerogative che frenano ogni utile iniziativa, annacquano ogni riforma, generano una palude dove l'unica possibilità è quella di non fare, di lasciarsi morire mentre altri Paesi tentano la via del Rinascimento.


di Carlo Priolo