Eurotelecomunicazioni in stile partenopeo

venerdì 25 ottobre 2013


C’è una strada nella Capitale, dove al turista come al cittadino, sembra di viaggiare nello spazio per trovarsi improvvisamente un centinaio di chilometri più a sud, in piena Napoli. Le espressioni, i gesti, gli abiti, le voci, i volti, i movimenti delle persone che entrano negli uffici presenti su un lato della via, fanno pensare di essere davanti a Palazzo San Giacomo, in piazza Municipio, sede del Comune Partenopeo. L’altro lato della via, per odori, colori e forme conferma questa impressione.

Ci sono bar ricchi di leccornie tipiche quali babà, pastiere e sfogliatelle; accanto, sempre nella stessa atmosfera e secondo i suoi lati migliori e peggiori, seguono negozi, il pulmino navetta, l’edicola e i cassonetti. Questo pezzo di napolitanità si trova in viale Marx, quartiere Talenti e non è un paradosso che il teutonico filosofo dell’egualitarismo presti il suo nome a questo pezzo di Sonnenland. Da Bordiga, Croce fino a Napolitano è l’ex capitale che, capta, ha conquistato e dominato l’incrocio tra accademia e pubblica amministrazione nel dopoguerra. Sotto tali segni si colloca qui da 20 anni la sede del Formez PA fatta propria da tre lustri dal suo inamovibile presidente, il romano Carlo Flamment, 232mila euro l’anno, esempio di quei miracolosi grandi commis d’etat, capaci di collaborare simpaticamente con Rutelli, Veltroni, Berlusconi, Brunetta, ecc. senza perdere smalto, incarichi e presenze in svariati Cda.

Il Formez è uno strano oggetto, non privato, non pubblico, non locale, non centrale; è un’associazione di associazioni di enti locali posta sotto il ministero senza portafoglio della semplificazione. Sotto l’egida della Cassa del Mezzogiorno e dell’Iri, sotto lo sguardo benevolo di Beneduce, Menichella e il fondatore cislino Pastore l’ente ha passato 40 anni di vita, prima, dalla sede degli ex stabilimenti Olivetti di Napoli, a sostenere l’industrializzazione del sud, e poi la formazione meridionale; finché nei primi anni rossi ’90, con l’uomo della Cgil Stefano Patriarca arrivò nella marxiana Roma come agenzia tecnica della Funzione pubblica. Da tre anni, un decreto legge e un ordine del giorno dell’assemblea dei soci hanno trovato nuovi compiti al Formez PA, tutti tesi a riformare e innovare la pubblica amministrazione.

Per ribadire i quali, a fianco dei premises Formez, quasi in contemporanea, vi sono state trasferite le pattuglie informatiche, sempre più smilze e spettinate dell’ex Aipa, ex Cnipa, che durante il trasloco si trovarono con il nuovo nome di Digit Pa. Questi ultimi arrivavano a capo chino dai palazzoni di proprietà monancese della ben più elegante via Isonzo, già sede della grande informatica pubblica (Italsiel e Finsiel), oggi dati in affitto a super istituzioni quali Consob e Agcom che possono permettersi di pagare €1,5 milioni l’anno. Nondimeno l’aria spensierata della via partenopea ha presto migliorato l’atmosfera.

I 150 informatici si sono presto mescolati ai 415 formezziani, partenopei trasferiti, parte pendolari, parte romani partenopizzati; hanno solidarizzato con loro quando la creatura Formez Italia, nata per gestire concorsoni come quello del Comune di piazza Municipio, è stata montianamente abrogata. Ugualmente in cambio i formezziani hanno sostenuto l’animo abbattuto degli ex Digit Pa, quando sono divenuti, assieme alla brunettiana Agenzia per l’innovazione ed al Dipartimento PCM della Digitalizzazione, Agenda Digitale-Agid e poi sono stati sdoppiati in Agid 1 e Agid 2, una comandata dal montiano Ragosa e l’altra, di maggior livello, capitanata dal lettiano Caio, con il problema di essere uno salernitano e l’altro napoletano, come dire livornesi e pisani del Sud.

Ridendo e scherzando sono passati un paio di annetti tra i problemi innovativi di fare nuovi capi e nuove assunzioni (28 bloccate dalla Corte dei Conti) risolti con una diarchia di consolare memoria che dovrà dividersi il budget da 1 miliardo, in gran parte impegnato per spese di personale e funzionamento. Ragosa firma ancora come commissario e Caio parla sempre sulla base del famoso twitter d’incarico. Come il resto delle riforme montiane, anche Agid è parte di quei quasi 500 decreti attuativi che l’attuale governo deve far approvare a colpi di fiducia per smaltire il pregresso.

Una delle priorità di Caio ad esempio, la fatturazione elettronica, è legge da tempo addirittura da un lustro ma se non viene regolamentata non si realizza. Inutile ricordare che ogni regolamentazione viene rimandata perché porta con sé necessità di risorse pubbliche e di nuovi oneri materiali e immateriali per le imprese ed i cittadini.

Malgrado il coinvolgimento di super imprenditori, tutti intendono l’Agid come solo un pezzo dell’amministrazione pubblica. Così Pa ed Università la intendono come cosa propria mentre il mondo dell’impresa la vede come l’occasione di vendere qualcosa alla Pa. A questa ammuina dal basso e dall’alto (bottom e top) corrisponde un uguale e contrario caos europeo. Dopo lungo battagliare la commissaria Kroes, sulle orme della predecessora Reading, ha imposto il suo pacchetto Tlc con l’obiettivo del mercato unico digitale senza barriere, reti e ricavi nazionali, a partire dalle chiamate internazionali da fisso.

Per costruire l’eurorete (fissa, mobile, satellitare) si può fare come per le grandi backbones transatlantiche usate per Internet, che hanno proprietà azionaria frammentata e investimenti corrispondenti alla fee d’incasso (basta l’accordo tra le 5 euroTelco che hanno l’80% del mercato). Oppure si passa alla guerra selvaggia degli operatori sui mercati altrui.

“Le fusioni” delle 160 telco fisse e mobili europee “non sono un fine in se stesse”. Infatti il commissario alla concorrenza Almunia non le permetterebbe. La guerra delle comunicazioni e dei contenuti è un assurdo. Una Telco tedesca o Uk che si impossessasse della maggioranza delle reti europee, praticherebbe un’invasione ostile. In questo secondo caso rientra il piano delle chiamate gratuite imposte, della neutralità della rete, dei cosiddetti contratti-capestro, dei piani tariffari a copertura di 350 milioni di europei o di 10 stati. La democristiana olandese, venuta a Roma a scaldarsi al facile applauso della piazza nostrana, ha invocato guerra alle burocrazie, dopo aver creato regolatori grandi e piccini e richiamato mille regole di privacy, difesa minori e sicurezza.

In settimana la maggioranza dei governi al consiglio europeo sul digitale si prepara a contestare la Kroes completamente, sulla linea delle dichiarazioni della Confindustria digitale europea, l’Etno, che per bocca dell’italiano Gambardella ha chiesto marcia indietro, a parte le semplificazioni di licenza, di spettro e prezziario per l’accesso alle vecchie reti. Il mercato auspicabile unico Tlc da 110 miliardi di euro l’anno si fa solo con fusioni e per grossi fondi europei a sostegno della fibra ottica. Solo un paese si prepara a sostenere l’olandese. Ovviamente l’Italia che oltralpe è sempre supinamente governativa. Poiché una delle grandi Telco è ancora in Italia, l’interesse nazionale vorrebbe il sostegno ad una politica di fusioni. Invece si assisterà il contrario. In Europa si cade nella contraddizione di prendere ad esempio il mercato Usa per poi fare al contrario.

In Italia si cade nella contraddizione di sostenere in Europa che l’agenda digitale sia soprattutto telecomunicazioni, impresa privata e Internet per poi a Roma far coincidere Agid con la Pa. Inoltre si sostiene a Bruxelles una piattaforma antindustriale delle tlc, che poi si dovrà scontare in perdite economiche e in ammortizzatori sociali. Viene alla mente lo scontro vissuto quasi 20 anni tra Rey, allora capo dell’Aipa, erede dell’Ict unitaria e pubblica, e il presidente dell’associazione imprese IT private, Anasin, Tripi che poi avrebbe comprato l’informatica pubblica per ridurla Almaviva. Rey diceva che per informatizzare la Pa non ci volevano soldi. Solo la Pa centrale spendeva allora in informatica 1,84 miliardi di euro l’anno. Ne bastava il 10% in un piano centrale che adottasse dovunque gli stessi strumenti.

Tripi gridò all’orrore: “si rischia la gestione centralizzata di un nuova colossale rete tlc, sacrificando potenzialità e futuro delle imprese specializzate”. Si è seguito il parere di Tripi: è stata creata l’Italia dei comuni It, delle decine di migliaia dei piccoli centri di potere Ict, delle migliaia di stakeholder con arte senza parte che pian piano si sono ridotti a vendere prodotti e servizi asioamericani, finché arrivò Siniscalco, che trovando l’It italiana moribonda, sancì che era inutile spenderci ancora tempo e soldi. Vediamo di non seguire la stessa strada per Tlc e digitale. Agid sta abbandonando anche gli azzurri suoli per andarsene all’Eur.

Si spera che in epoca di Marino e di ipotetiche destrutturazioni dei fori e luoghi imperiali non sia un segno di disgrazia. Mai quanto il plauso e l’augurio rivolto a Roma dalla Kroes a BerLetta. L’ultima volta che si era scorticata dagli elogi, l’aveva fatto per Monti. Si consiglia al premier, come a tutti noi di andare nella strada partenopea per una buona somministrata di reciproche pacche sulle spalle e altrettanti segni propiziatori efficaci quanto non descrivibili.


di Giuseppe Mele