L'antropologia del femminicidio

giovedì 17 ottobre 2013


Spesso il sigillo della morte lascia il posto alle botte, ai pugni, alle lesioni personali, alle prevaricazioni di ogni tipo, ai procurati danni con l’autovettura della ex. Le statistiche segnalano una dimensione impressionante di questa ulteriore area di sofferenza e di disagio. Il fenomeno del femminicidio si arricchisce di nuovi dati, di una varietà di comportamenti e impone di accogliere tutte le occasioni di collaborazione interdisciplinare per lo studio e la prevenzione di questo fenomeno, che rappresenta un indicatore generale del rapporto tra uomo e donna, che non ha spazio e tempo, ma affonda lungo la storia umana in ogni luogo della terra.

L’eterno dilemma tra odio e amore che ha spinto i grandi ricercatori delle cosiddette “scienze dell’uomo”, comprese la biologia e la medicina, come pure i grandi narratori, a ricercare una spiegazione, una comprensione degli aspetti di questa realtà, secondo un corretto procedimento scientifico, per ottenere quelle sintesi globali risultanti dalla realtà empirica. Proprio sul tema antico sull’amore e odio tra uomo e donna i riferimenti scientifici devono essere necessariamente interdisciplinari, perché il tentativo di comprendere noi stessi e la conoscenza delle realtà che viviamo impone di abiurare le ipotesi azzardate, le anticipazioni affrettate e premature, i pregiudizi, i facili giudizi perentori.

Il mondo dei comportamenti umani sembra manipolato dalla psicologia, in particolare dalla psicoanalisi, come pure dalle scienze biologiche, forti delle loro osservazioni ripetibili in laboratorio, che hanno la pretesa di dettare le norme di comportamento. Tuttavia, l’enorme problema dell’amore e dell’odio, della guerra e della pace e nello specifico del femminicidio non può essere esaurito nelle ricerche bio-psicologiche, perché il fenomeno evolve in un determinato ambiente sociale che imprime forti condizionamenti sul comportamento umano.

La scoperta di nuovi dati sul piano biologico e in certa misura su quello psicologico dovrebbe invitare a maggiore cautela nel definire norme di comportamento, esistendo appunto differenze fisiche e psichiche tra uomo e donna. Il peso che hanno le influenze collettive sulla sessualità, sull’esperienza amorosa vissuta dalla donna e dall’uomo non può prescindere dal ricorso alla sociologia, alla struttura sociale che plasma l’atteggiamento dell’individuo e sottolinea l’eterna importanza dell’ambiente sociale con il suo complesso di istituzioni, di tradizioni e costumi.

L’osservazione della realtà e parte di essa ci segnalano che alla auspicata vita libera e autocontrollata si sono sostituite nuove crisi d’identità, di incertezze, di disfunzione nel comportamento umano e sociale, le quali sono molto più difficili da sopportare di quelle causate dalla semplificazione delle tradizioni valutazioni sul tema del sesso, dove si sosteneva che la vita sessuale e amorosa dell’uomo rappresentava un comportamento istintivo, così biologicamente determinato nel suo decorso non necessitato dal bisogno di educazione e formazione.

All’opera degli psicologi e degli operatori sociali vengono delegati quei momenti di disagio, di stati di angoscia, così come si ricorrere al medico per una terapia, una temporanea malattia, mentre la conoscenza e la preparazione alla vita sessuale umana ha bisogno di una generalizzata opera di educazione e formazione per sconfiggere l’opinione che la moltitudine dei rapporti tra uomo e donna sia un fenomeno personale predefinito, fissato geneticamente nel comportamento dell’uomo e della donna.

Un’opinione ingannevole, sostenuta anche da persone di alta cultura. Una dissonanza cognitiva che considera esclusivamente l’agire dell’uomo (uomo e donna) una serie di stimoli interni biologicamente determinati, mentre i comportamenti umani sono influenzati da una serie di stimoli diretti e indiretti che provengono dal vissuto psicologico personale (eventi della vita) e dai rapporti sociali che si generano nell’ambiente in cui viviamo.

Consegue la ricerca di ridurre la dissonanza con una serie di operazioni mentali: informazioni giustificative delle proprie condotte; appoggio nell’omologo comportamento di personaggi di successo; sopravvalutazione dei pochi aspetti positivi. L’antropologia moderna giudica l’impulso sessuale come un insieme di esigenze fondamentali assai poco specializzate, che proprio per la loro plasticità biologica hanno bisogno di essere confrontate, confermate e guidate, ricondotte a norme sociali stabilizzate in interessi duraturi concreti, nel quadro di una sovrastruttura di istituzioni civili (Bronislaw, Malinowski, Margaret Nead, Ruth Benedict, Clyde Klyckhn, Arnold Gwhlen).

Posto che la vita sociale culturale di ogni società nello spazio, nel tempo, nelle sue varie forme che determina la differenza tra le funzioni dell’uomo e della donna ha consentito a Margaret Mead (“Sex and Temperament in Three Primitive Societies e Male e Female”) di documentare che se risulta che ogni civiltà istituzionalizza, in un modo o nell’altro, il ruolo dell’uomo la donna, parimenti risulta che le varie civiltà decidono in maniera diversa quali debbano essere le forme di comportamento delle proprietà maschili e femminili. La Mead sostiene che queste forme di comportamento sessuale rappresentino una sovrastruttura sociale, la quale può essere determinata e compresa partendo dai principi informatori di un dato contesto culturale piuttosto che da differenze biologiche fra i sessi.

Le reali differenze biologiche sembrano relativamente insignificanti, mentre appaiono più significative le forme e modi della sovrastruttura sociale per la diversa configurazione del ruolo dell’uomo e della donna nella vita sociale e civile e, peraltro, soggette al mutamento antropologico-sociale secondo l’evolversi della civiltà e della cultura. La guerra dell’odio maschile, della insana gelosia covata per anni, contro le mogli, le compagne, le fidanzate, le ex mogli, le ex compagne, le ex fidanzate contano quasi un morto giorno, oltre alle migliaia di episodi di violenze, di minacce, di persistenti aggressioni, di indomabili persecuzioni, di molestie continue, di sofferenze che avvelenano le giornate di mamme e bambini. Più decessi di quelle sul lavoro.

Illustri protagonisti dell’informazione, formatori della pubblica opinione, stimolatori della scienza collettiva “se non ora quando” aprirete le Vostre pagine a una quotidiana, costante opera di sensibilizzazione del problema del femminicidio, per promuovere nelle piazze una rivolta “spontanea” delle donne e degli uomini (di buona volontà) per diffondere la consapevolezza di una responsabilità che riguarda tutti, proprio tutti, uomini e donne, cattolici e non, intellettuali e ignoranti, professori e alunni, occupati e disoccupati, ricchi e poveri, insomma il volgo e l’inclito. Chiedo a voi uomini di buona cultura e di un certo potere di elaborare il manifesto contro il femminicidio.

Donne di tutto il mondo unitevi non contro gli uomini, ma contro le idee, le opinioni, la mentalità ottusa riguardo alla personalità della donna in ogni luogo, contro le resistenze consce e inconsce per ammettere una parità di costume, di usi, di comportamenti, di azioni, contro le tradizioni, i falsi appelli, i finti diritti, le ipocrisie di quanti vi difendono senza difendervi. So bene che questo umile appello non troverà ascolto, so bene illustri uomini e donne della informazione, della stampa e della tv che queste parole finiranno nel cestino. È vero, come dice il simpatico Milan di Radio24 che la carta costa, ma credo che per scrivere questo manifesto della libertà sprecare un po’ di carta e qualche passaggio in radio e tv non sia proprio uno spreco.


di Carlo Priolo