Siena, a casa 8 mila del MPS

mercoledì 9 ottobre 2013


A Siena arriva il conto. Salato. Le vicende giudiziarie, politiche ed economiche del Monte dei Paschi stanno producendo i primi effetti. Devastanti e pesanti sul piano dei livelli occupazionali e dolorosi per la chiusura e il drastico ridimensionamento degli sportelli. Il piano di ristrutturazione, approvato dal Consiglio di amministrazione, prevede anche un maxi-aumento di capitale fino a 2,5 miliardi di euro e l’impegno a rimborsare entro l’anno prossimo 3 miliardi del prestito pubblico avuto dal Ministero del Tesoro con i “Monti bond” che in totale era di 4 miliardi.

Cosa è successo finora nella banca senese e cosa accadrà in futuro? Dal 30 giugno la più antica banca del mondo ha 2.700 dipendenti in meno, che saliranno ad 8mila entro il 2017. Dal 30 settembre sono stati chiusi 400 sportelli, che a fine 2017 raggiungeranno le 550 unità. Un terremoto imprevedibile fino a poco tempo fa. Anzi, la megalomania dei vertici di Rocca Salimbeni (in maggioranza scelti dagli amministratori politici di centrosinistra del Comune e della Provincia di Siena) si era spinta ad acquistare per una somma record (circa 7 miliardi di euro) il controllo della Banca Antonveneta pagando alla spagnola Santander il doppio del suo acquisto.

Le vicende che ne sono seguite sono complesse e se ne stanno occupando varie magistrature. Oggi la cura ferrea del presidente Alessandro Profumo e dell’amministratore delegato Fabrizio Viola va avanti nel tentativo di porre rimedio agli errori compiuti dagli amministratori precedenti. Il Monte dei Paschi di Siena era diventato il dispensatore di benefit per tutti: Palio, squadra di calcio, pallacanestro, Confraternite. Il piano di ristrutturazione deve ora avere il via libera da parte della Comunità europea ed è previsto per il 14 novembre. Il giro di vite dovrebbe comportare tagli per 400 milioni, una riduzione del portafoglio BTP che dovrebbe scendere da 23,4 miliardi a 6, un taglio dello stipendio di tutto il top management (massimo 500mila euro all’anno anche per l’Ad che ne prendeva un milione e mezzo).

Il significato dell’operazione è stato spiegato dall’amministratore delegato Viola: “Si apre così la seconda fase che ci vedrà impegnati nel proseguimento del rilancio come una grande banca commerciale con un attraente profilo di rischio-rendimento pur in un contesto di mercato più difficile del previsto”. Sulla vicenda ha pesato fortemente la mano di Bruxelles, condizionando l’autonomia e la sovranità. I vertici del Monte sono andati a Canossa quando al Forum Ambrosetti si sono incontrati con il Commissario dell’Ue Almunia, con il quale hanno messo a punto il percorso da seguire, sottoposto poi all’esame del Ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni.

 Le consultazioni Roma-Bruxelles hanno dato via libera all’operazione. Mentre il Monte dei Paschi varava il piano salvataggio, il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco sferzava le banche a cambiare passo e sostenere l’economia: “Le condizioni restano difficili - ha osservato il numero uno di Palazzo Koch - ma i tempi della ripresa dipendono anche dal sostegno finanziario delle imprese da parte degli istituti di credito”. Le banche cioè devono tornare a svolgere pienamente il loro ruolo di sostegno, perseguire nel recupero della redditività e rafforzare il patrimonio.

Serve cioè per Visco, “un netto cambio di passo”. Al ritorno della fiducia negli investitori, dato da conti in regola, è legata la riduzione delle esposizioni delle banche nei BTP affinché aumentino invece il sostegno a imprese e famiglie. Era stata la Bce, guidata da Mario Draghi, a inondare le banche di liquidità mettendo a disposizione mille miliardi di euro a un tasso dell’uno per cento. Dovevano andare a sostenere gli investimenti mentre nella maggioranza dei casi le banche hanno acquistato i più remunerativi titoli di Stato.

Per le banche italiane s’impongono altri cambiamenti: è necessaria la revisione degli assetti di governo per quelle popolari, mentre per quelle di più grandi dimensioni la forma giuridica più adeguata è quella della società per azioni. Si apre intanto anche la questione del fronte sindacale. L’Abi ha disdetto il contratto nazionale di lavoro dei 300mila lavoratori bancari, la cui scadenza era prevista per il giugno 2014. La replica dei sindacati è stata la proclamazione di uno sciopero per il 31 ottobre in occasione della “Giornata del risparmio”.


di Sergio Menicucci