L'Imu non ci salva dal fallimento

mercoledì 9 ottobre 2013


“Non è fallita la Grecia, figuriamoci se faranno fallire l’Italia”: è questo l’adagio che ci sentiamo ripetere da quasi due anni. Francamente denota insipienza e poca conoscenza della vita. In genere non si fa fallire chi vende gelati col carrettino: considerando che l’aiuto economico che chiede è di poco superiore a una misera questua. Invece si fa fallire l’industriale di medie dimensioni che, superata la crisi, certamente proverà ad ingrandirsi, soprattutto ad aggredire mercati ove orbitano imprese amiche di quelle banche che invocano la politica del rubinetto chiuso (soprattutto nell’Europa mediterranea).

Il paragone è presto fatto: la Grecia sta al gelataio col carretto come l’Italia all’industriale di medie dimensioni oggi in difficoltà. Alla prima si può togliere un porto, un po’ d’alberghi e bottigliate di sole e acqua salata. Alla seconda (ovvero l’Italia) toccherebbe una spoliazione che supererebbe, e di gran lunga, il sacco napoleonico che riempì il Louvre.

Se l’Italia fallisse tutte le aziende di medio-grandi dimensioni, nonché impianti industriali di incommensurabile valore, senza considerare palazzi e ville storiche, passerebbero in mano a nordeuropei e francesi. Il fallimento dell’Italia arricchirebbe una parte dell’Unione Europea già tanto ricca. A conti fatti, i burocrati di Ue e Bce sanno benissimo che non è possibile alcuna ripresa in Italia, a patto che il Parlamento nazionale non legiferi contro le classi privilegiate: cosa che mai avverrà.

L’operazione per scongiurare il fallimento poggia ancora una volta sulle spalle dell’uomo della strada. In questa logica s’insinua la querelle alla Camera, dove si prende tempo sull’Imu mentre il Partito democratico insiste nel chiedere di tassare le prime case di lusso. Le commissioni Bilancio e Finanze hanno deciso di saltare i primi due articoli del decreto che ha abolito la prima rata, iniziando ad esaminare direttamente gli emendamenti agli articoli 3 e 4. Intanto i deputati del Pd hanno presentato diversi emendamenti all’articolo 1 per mantenere l’Imu sulle abitazioni principali con rendita catastale superiore a 750 euro: ovvero la maggior parte delle abitazioni urbane. L’operazione è sostenuta dai capigruppo nelle due commissioni, Maino Marchi e Marco Causi.

 Il Pdl ovviamente s’oppone e, per bocca di Renato Brunetta, chiede a Enrico Letta di rispettare l’intesa politica raggiunta il 28 agosto: quando il governo si è impegnato a cancellare anche la seconda rata dell’Imu dovuta nel 2013 su prime case, terreni agricoli e fabbricati rurali. “Letta è persona troppo intelligente e onesta per non mantenere fede a quegli impegni: io mi fido di lui. D’altronde, un eventuale ripensamento sarebbe un errore troppo grave”, recita una nota di Brunetta. Comunque il default italiano è dietro l’angolo: anche pagando la seconda rata, comunque il governo dovrebbe reperire entro fine anno tra i 5 ed i 7,5 miliardi.

 Somme che difficilmente si potranno trovare sul fronte delle tasse, e perché la disobbedienza fiscale è ormai dietro l’angolo: in molte città le organizzazioni sindacali parlano ormai di un nascente partito dei commercianti per l’evasione fiscale. Intanto in Germania monta la voce che “gli italiani non vogliono fare sacrifici per l’Europa”, e qualche tedesco chiede che “i politici italiani coscienziosi ed europeisti” valutino d’ipotecare il mattone dei cittadini presso la Bce. Con questa classe politica le case degli italiani non saranno mai al sicuro dagli appetiti di banche e burocrati europei.


di Ruggiero Capone