martedì 1 ottobre 2013
E’ caduto il governo Letta? Si! No.. Mah! Ma no, è solo una capriola…Ecco, vedi? Ora arriva anche il maschio..Il capriolo. E' un momento di turbolenza: moltissimi italiani, solitamente pronti a correre in aiuto del vincitore sono angosciati perché non è chiaro ancora di chi sia il carro trionfante. Difficile dire se il governo caduto Letta, altrimenti detto Berletta, sia veramente out. Il precedente governo Monti cadde per l’abbandono della maggioranza del PdL ai primi del dicembre 2012; ma nei fatti restò in carica fino all’aprile successivo.
Cinque mesi in più di gestione regalata ed a mano libera. I governi LXI°(Monti) e LXII° (Letta) sono in realtà un continuum decisionista, attribuibile al Presidente Napolitano che ha così rinverdito la stagione dei governi presidenziali, dell’epoca Gronchi. Con la differenza che il secondo cercava di mantenere il potere cattolico più destro, mentre il primo ha trovato il modo di far misurare gli eredi dei comunisti con la difficile arte del potere. Tra una capriola e l’altra, il governo Napolitano si avvia dunque al biennio di gestione del paese, giungendo con tutta probabilità alla fine dell’anno, forse anche alla primavera 2014, facilitato dalle epilessie dei congressi-primarie Pd e degli arresti domiciliari Pdl.
Dal punto di vista della gran parte degli elettori, non c’è dubbio che si tratti del biennio peggio gestito della storia repubblicana. Inutile riportare le cifre, basterebbe ricordare che l’indebitamento delle famiglie di 6mila miliardi sta superando l’incredibile cifra della proprietà privata di 8mila miliardi, frutto dei risparmi di uno dei popoli, quello italiano, più risparmiatori sulla faccia della terra. Da altri punti di vista, però, il governo Napolitano ha molti aspetti positivi. E’ una garanzia per l’Europa, cioè garantisce che l’Italia continuerà a svenarsi per essere il terzo pagatore di ogni spesa internazionale. E’ una garanzia per l’ubbidienza alla sempre più stralunata politica atlantista.
Ed è una garanzia per le nostre banche (e di conseguenza per il salotto buono italiano) che faticano a collocarsi nello strano strapotere mondiale del sistema finanziario internazionale. Per la stragrande maggioranza degli italiani si tratta di vantaggi senza senso; eppure viene come un buco nello stomaco all’idea che Europa, Nato e finanza ci si rivoltino contro. Ne soffrirebbero ancora di più tutti i ceti, ma quelli bassi (non si può più parlare di ceti mediobassi, ormai spariti) ancora di più. A garanzia che l’Italia stia al suo posto, di governi Napolitano ne avremo parecchi. Si tratta di qualcosa non legato personalmente al Giorgio sovrano, quanto all’esprit della sua generazione, partecipe della rifondazione del paese.
E’ sempre più difficile, anche nel campo dei “bella ciao” santoriani, trovare qualcuno che esprima i sentimenti paludati di una generazione, che sotto gli alti riccioli della retorica, doveva ricostruire il paese seguendo indicazioni straniere. Il Pd, nella sua trasformazione in una Dc areligiosa, ci prova e sforna degli anodini Letta, preparati, ammodino, ma buoni per ogni stagione, ogni ideologia, ogni latitudine della terra. Già un Renzi appare troppo pazzariello, capace magari di ubbidire a banche e Europa ma tradire gli atlantici. Mezzo Pd, poi, nell’onda d’urto contro la destra, rischia sempre di deragliare e finire nel nichilismo giacobino che oggi, come un buco nero, tiene insieme l’anarchismo filopiccoloimprenditore di un Grillo con le pulsioni statalistocomuniste.
Ecco perché dopo Napolitano, magari ci troveremo un Amato, oppure qualche signora indicata dal vertice Fmi. Un paese importante come il nostro, al di là della caricatura raccontata internamente, non può restare fuori dal cono d’ombra dei poteri su elencati. Li potrebbe fronteggiare, teoricamente, avendone i mezzi e le qualità. Concretamente non ci sono testa e compattezza sufficienti per trovare una via finanziaria ed una politica verso l’estero vicino e lontano. Non si può quindi seguire la via tedesca che, forte del suo strapotere economico, è al tempo stesso guida dell’Europa senza che questa metta il naso in casa sua, e non fa scandalo internazionale se esce sostanzialmente dall’atlantismo.
La condizione d’impotenza italiana viene in genere fatta derivare dal debito pubblico, vero tallone d’Achille nazionale. Si tratta però di un alibi. Con le dovute compatezza e pazienza, neanche il debito pubblico potrebbe impedirci di pretendere tanto quanto diamo. Lo impedisce una sorta di partito antinazionale, che riprese il potere in Italia sull’onda delle diverse poccupazioni e liberazioni. Un partito di varia ispirazione e di vario pensiero, che ha il merito di volere l’Italia parte del processo economico internazionale in divenire ma che da sempre teme l’opinione della maggioranza degli italiani, che tra Chiese, regionalismi e nazionalismi, tendono a privilegiare dirigismi, più o meno autoritari.
All’ombra dei poteri forti mondiali, l’Italia è cresciuta, anche nel rafforzamento delle ex aree deboli occidentali. Oggi, nel riequilibrio di risorse mondiale in corso l’Italia rischia di essere discriminata ed immolata anche dai suoi partner europei. Il rischio è dovuto al fatto che l’Italia ha molto da dare senza forza difensiva e che in secondo luogo è cresciuta per molti osservatori anche troppo in passato e che in terzo luogo non ha link linguisticocomunitari massivi nel mondo. Il partito antinazionale, cui venne affidato il compito di creare il consenso popolare attorno ad una società internazionalizzata, meno confessionale e tradizionale, ora ha l’ingrato compito di fare il percorso inverso, la decrescita felice del downsizing nazionale.
Come evidenziano molteplici e continui fatti, sono le istituzioni, le accademie e la più potente classe dirigente economica che partecipano di azioni e attività oggettivamente peggiorative economia e convivenza sociale. Se non fosse che si tratta di terminologia tabù secondo la generale interpretazione della storia, verrebbe da parlare di sabotaggio intenzionale. Se si paragona il coro degli opinionisti del“Fate presto (a dare le dimissioni)” rivolto nel 2011 al governo di centrodx, invocato da Napoletano dal giornale della Confindustria, da Mieli da via Solferino ed ovviamente dal partito Repubblica con l’attuale “Tragedia della crisi” pronunciato dagli stessi pulpiti non si può fare a meno di vedere la stridente contraddizione con i fatti.
L’Italia del 2011 che non poteva pagare gli stipendi era molto più florida dell’’attuale che ha perso un altro 5% del Pil, un milione di lavoratori, mezzo milione di imprese e 200 milioni di Iva. In realtà il partito antinazionale non può che fare così, per non essere a sua volta distrutto dai suoi stessi mandanti. In questo quadro, al partito nazionale che ha tutti i suoi limiti di provincialismo, disorganizzazione e scarsa fiducia in sé, toccherebbe proporre una sua soluzione. Toccherebbe chiarire che da sempre il partito antinazionale ha agitato accuse di corruzione e ha descritto come criminali i suoi avversari.
E’ormai evidente che fino alla fine Berlusconi, con i diritti politici o meno, con nuove condanne o meno, terrà insieme l’area politica di centrodx. Lo farà con quello spirito galvanizzante di pubblicità, che è la variante commerciale privata della propaganda e magari, sull’onda dell’insoddisfazione degli italiani per i poteri forti del sabotaggio sistematico, vincerà pure. Alla sua scomparsa lascerà un gruppo dirigente a lui legato e senza forza e tanti gruppi e gruppetti che neanche si parlano tra loro. Alla sua scomparsa, come già cercano di fare in queste ore i messi governativi, il partito antinazionale cercherà di separare le anime antistatali cattoliche e antistituzionali regionaliste dal resto.
Perché l’Italia esca dai governi Napolitano e da uno status internazionale minoritario, il partito nazionale dovrebbe fondere insieme tutte le sue anime attraverso il riconoscimento degli aspetti positivi e della continuità di tutta la sua storia. L’operazione Forza Italia 2.0, che può avere effetti positivi pubblicitari, va in senso contrario. Di fronte alla mostruosità dell’attuale Stato fiscale, non c’è bisogno di invocare l’iperliberalismo per puntare ad un sano riequilbrio. Manca poi il coraggio di chiamare il partito antinazionale con il suo nome.
Nei mesi passati a difendere il leader, effettivo unico collante del centrodx, quello che era il Pdl ha tirato fuori le motivazioni più avvocatizie e leguleie, ma non si è mai appellata alla lunga stagione degli indagati ed accusati: Cavour, Giolitti, Mussolini, Leone, Andreotti, Craxi. Perché tutta la nostra storia è un continuo appello al processo contro l’indipendenza che era nazionale ed oggi è sociale. E’ tempo che a processo siano portati gli accusatori.
di Giuseppe Mele