Accolto da Strasburgo il ricorso di Belpietro

sabato 28 settembre 2013


Niente carcere per i giornalisti condannati per diffamazione. La misura della galera è sproporzionata rispetto agli scopi perseguiti dalla norma penale. Viene violato l’art. 10 della Convenzione internazionale che tutela la libertà d’espressione. Il principio è stato ribadito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ha accolto il ricorso dell’ex direttore del Giornale Maurizio Belpietro, il quale venne condannato dalla Corte d’Appello di Milano ( verdetto confermato dalla Cassazione) ad una pena di 4 mesi di prigione, poi sospesa e ad una sanzione economica di 100 mila euro. I giudici di Strasburgo hanno confermato un indirizzo applicato già per il giornalista greco Perna.

 “ Il caso Belpietro esaminato, malgrado il mancato controllo riguardante la diffamazione, non è contraddistinto da alcuna circostanza che giustifichi il ricorso ad una sanzione così grave”. Secondo la Corte il carcere è in contrasto con i principi fissati dalla Carta dei diritti dell’uomo e ha condannato lo Stato italiano a risarcire al giornalista , per il torto patito, 10 mila euro e a pagare 5 mila euro di spese legali.

Una sentenza molto significativa perché costituisce un preciso precedente e perché arriva nel momento in cui ancora una volta il Parlamento italiano è chiamato a varare la riforma delle norme sulla diffamazione. I giudici di Strasburgo considerano non contrario alla Convenzione l’art. 57 del codice penale italiano ( che impone il controllo del direttore su quanto viene pubblicato) ma, verificata la colpa, sostengono che vada fatta una valutazione sulla proporzionalità della pena.

 E la misura del carcere per i giornalisti è sicuramente sproporzionata. Uno dei principi della democrazia poggia sulla libertà di stampa e i giornalisti non debbono aver paura di finire in carcere quando scrivono articoli anche scomodi o esprimono liberi giudizi. La situazione dell’informazione in Italia , almeno da questo punto di vista, è drammatica: denunce, minacce, condanne, pressioni. Quanto accaduto ad Alessandro Sallusti ( condannato per omesso controllo di un articolo e poi graziato dal presidente Giorgio Napolitano), a Giorgio Mulè e ad altri redattori di Panorama condannati alla prigione per aver divulgato quella che ritenevano la verità dei fatti, le perquisizioni nelle redazioni o nelle case di molti giornalisti evidenziano una escalation nei confronti della categoria.

Il senatore Lino Jannuzzi aveva scritto un articolo sui misteri della mafia dal titolo: 13 anni di scontri tra pm e carabinieri. La redazione lo aveva messo in pagina senza il controllo del direttore. I Magistrati Giancarlo Caselli e Guido Lo Forte della Procura di Palermo si ritennero diffamati. Il Tribunale di primo grado di Milano, sentiti i testimoni e viste le carte, assolse sia Jannuzzi che Belpietro. I querelanti fecero ricorso e la Corte d’appello di Milano ribaltò la sentenza condannando Belpietro a 4 mesi di detenzione e alla somma pecuniaria di 100 mila euro. L’ex direttore del Giornale ricorse in Cassazione che confermò, pari pari, la sentenza di condanna.

 Restava la via europea e Belpietro l’ha percorsa senza clamore fino ad ottenere, dopo anni, il riconoscimento che i 4 mesi di carcere erano una pena eccessiva. Il sistema giudiziario italiano è anche sotto accusa da parte della Commissione europea. Bruxelles ha aperto una procedura d’infrazione contro la normativa italiana che limita eccessivamente la responsabilità civile dello Stato per i danni causati dagli errori dei giudici. Che poi è uno dei quesiti referendari dei Radicali.


di Sergio Menicucci