Bonino e 60 anni di storia radicale

martedì 10 settembre 2013


Il digiuno per la pace in Siria promosso da Papa Francesco, e che ha visto coinvolte centinaia di migliaia di persone di diversa fede religiosa e laiche, rinvia all’idea capitiniana e gandhiana della nonviolenza, che valorizza il digiuno di dialogo come strumento politico fondamentale attraverso la «forza della persuasione», senza la quale non è possibile concepire giustizia, diritto e pace. Si tratta di un appello profondamente laico rivolto a tutte le coscienze e di un forte richiamo alla responsabilità e all’impegno, affinché si percorrano tutte le strade possibili, per la costruzione di una alternativa all’azione militare attraverso un percorso di legalità e l’affermazione del diritto internazionale; un appello che si leva in un contesto particolare in cui le organizzazioni internazionali sembrano essersi ridotte a mere rappresentazioni di veti incrociati e di interessi geostrategici.

Non si tratta, dunque, di buona coscienza a buon mercato, di pigrizia o di buonismo pacifista. Non si tratta di una rinuncia al dovere di «ingerenza umanitaria», per il quale i Radicali nonviolenti si sono sempre battuti. Si tratta di sostanziare tale «ingerenza» di dialogo e di ricerca, affinché tutto il possibile sia realizzato e non consumato. La ricerca di armi e strumenti diversi da quelli militari per l’affermazione del diritto e della democrazia nel mondo ha caratterizzato il percorso della sessantennale storia del Partito radicale. Ci si è interrogati sulle istituzioni, le organizzazioni e le forme di lotta che fossero le più adeguate alla conversione delle strutture militari in strutture civili e sulla creazione delle «armi di attrazione di massa» della comunicazione e della informazione sulla validità del modello democratico e liberale.

La posizione sul conflitto in Siria assunta dal ministro degli Esteri Emma Bonino, non solo è saggiamente cauta e responsabile ma è anche in continuità con quella storia e con un lungo lavoro di ricerca di strumenti adeguati per combattere ingiustizie, violazioni di diritto e crimini contro l’umanità, ricerca che ha le sue basi nell’antimilitarismo nonviolento degli anni Sessanta e Settanta, quasi scomparso dalla memoria collettiva degli attuali radicali, almeno dei più giovani. Quell’antimilitarismo ispirò la campagna contro lo sterminio per fame nel mondo, un progetto che impegnò le energie e l’iniziativa radicale dal 1979 al 1986 e che conseguì parziali e significativi successi fino a quando una legge che pretendeva di dare ad esso attuazione non lo snaturò e lo stravolse.

Fu, quello, il primo tentativo di configurare un nuovo ruolo delle Nazioni Unite e di rivendicare ed affermare il «principio di ingerenza» negli affari interni dei paesi destinatari di un intervento straordinario contro la fame e il sottosviluppo; di concepire un uso a fini di pace, sul territorio, delle stesse forze armate con le loro strutture (genio civile e ospedali da campo), in qualche misura anticipatore delle successive missioni internazionali di pace. Emma Bonino ha più volte ribadito con estrema chiarezza che c’è ancora margine per negoziare. E questo significa che si dovrà insistere, affinché torni in gioco la politica e l’Europa sia indotta a trovare una soluzione comune per poter esercitare il ruolo che le compete. Ed è innegabile che, se adesso l’Europa appare meno divisa di qualche giorno fa, ciò sia da attribuirsi anche al ruolo fondamentale svolto dal nostro ministro degli Esteri.

 E in questo senso è orientato il documento di pesante condanna ad Assad firmato da 11 paesi al recente vertice del G20 di San Pietroburgo, e precisamente da Arabia Saudita, Australia, Canada, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito, Italia, Spagna, Turchia e Stati Uniti. La Bonino ha ribadito la sua contrarietà a un’azione militare decisa al di fuori del contesto Onu e prima che gli ispettori presentino le loro conclusioni circa l’uso di armi chimiche nel massacro del 21 agosto scorso, ritenendo che solo allora si potrà mettere sul tavolo una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ampiamente condivisa.

 Il ministro degli Esteri, che conosce bene quel mondo, ritiene che non possa essere certo risolutivo un intervento militare esterno in una situazione in cui anche all’interno dell’opposizione al regime di Damasco c’è lotta aperta e per via del fatto che sul terreno non vi è, al momento, una fazione che possa prevalere. La posizione della titolare della Farnesina fa dunque riferimento alla necessità di un percorso di legalità, insiste su una pronuncia di condanna da parte dell’Onu e segnala l’aggrovigliata complessità della situazione siriana con i suoi pericolosi riverberi a livello regionale e mondiale.

 Un approccio, il suo, lucido e prudente che sta facendo, a nostro avviso, scuola come rivelano i mutamenti nella iniziale rigidità della posizione di Gran Bretagna, Francia, e degli stessi Stati Uniti pur fermamente convinti e decisi ad un intervento mirato e circoscritto teso a neutralizzare la terribile offensiva di Damasco. In queste ore il presidente Barak Obama attende da parte del Congresso il via libera ad una risoluzione da lui presentata e inoltre il segretario di Stato Kerry non ha escluso che si possa decidere di attenderne una anche dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

È del tutto fuori luogo il paragone con la tragedia che si consumò nella ex Jugoslavia e con gli interventi militari che vi furono per la Bosnia e il Kosovo. Difatti la Siria non è il Kosovo (e neppure la Bosnia), non è il teatro di una aggressione subita da un altro popolo all’interno del territorio dell'Unione europea, ma rappresenta un Paese da sempre coinvolto nell’annoso conflitto arabo-israeliano; il regime di Assad non è il regime di Milošević, e non è il solo responsabile dell’instabilità regionale; molti sono dunque gli attori in gioco, tra i quali il Libano, l’Iran e la Russia. Su due linee direttrici, come dicevamo sopra, si è sempre mossa l’iniziativa dei Radicali: il dovere all’ingerenza umanitaria e la ricerca di strumenti alternativi a quelli militari. Sulla ex Jugoslavia, come sul Rwanda, il Partito radicale con Marco Pannella, Emma Bonino e Sergio Stanzani ha contribuito a creare un primo segmento di diritto e di giurisdizione sovranazionali, all’affermazione del diritto naturale storicamente acquisito di ciascun individuo alla democrazia e alla libertà.

 Lo ha fatto dotando la comunità internazionale della Corte Penale Permanente e, prima di essa, del Tribunale ad hoc per i crimini perpetrati nella ex Jogoslavia nel 1993, e poi in Rwanda, nel 1994, che hanno giudicato centinaia di individui, dittatori e militari accusati di genocidio e di crimini contro l’umanità, tra i quali Slobodan Miloševi , Karadži , Ratko Mladi . Fino alla grande iniziativa nonviolenta, fatta di appelli e interventi in tutte le sedi istituzionali internazionali e in numerosi Parlamenti, accompagnata da digiuni, per la creazione della Corte Penale internazionale, entrata in vigore il 1 luglio 2002. È stata, quella, una conquista di importanza storica perché si sono verificate cessioni di sovranità nazionale a istituzioni sovranazionali.

Una conquista che necessita di una ulteriore e decisiva amplificazione, dal momento che non tutti i paesi hanno aderito allo Statuto di Roma e che dei 121 che lo hanno fatto, 32 hanno firmato ma non ratificato il Trattato. Fra questi, Israele, Stati Uniti e Sudan. Tra i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Francia, Regno Unito, USA, Cina, Russia), Russia e Cina, oltre agli USA, non hanno aderito alla Corte dell’Aja. Significativa è stata anche l’approvazione, nel maggio del 2008, da parte del Parlamento europeo, della mozione presentata dall’eurodeputato Marco Cappato con la quale si chiedeva di dichiarare diritto umano fondamentale il diritto alla democrazia e di proclamare il 2010 anno della nonviolenza. Ma la strada da percorrere è ancora lunga, anche se un primo decisivo passo è stato compiuto nella costruzione di adeguati strumenti ed istituzioni sovranazionali per una alternativa strutturale di riforma democratica nel mondo.

Mariano Giustino Direttore della rivista «Diritto e Libertà» www.dirittoeliberta.it


di Mariano Giustino