Il centrodestra del dopo Berlusconi

venerdì 6 settembre 2013


Il direttore Diaconale, nel fondo di ieri, ha posto in essere il vero dilemma del centrodestra italiano, cioè il dopo Berlusconi, concludendo che la risposta la può e la deve dare lo stesso Cavaliere facendo partire congiuntamente la “nuova” Forza Italia e la “federazione” di tutte le componenti dell’area della Libertà e della Solidarietà. Senza dubbio alcuno il popolo italiano, nel suo insieme, deve molto al presidente Berlusconi, grazie ai risultati ottenuti durante il lungo periodo di Governo che lo ha visto principale protagonista dei successi italiani sino al 2009. Cioè, nella mia interpretazione, fino a quando non è iniziato il declino della “finanza” italiana, affidata all’irriducibile Tremonti, che ha poi portato ai drammatici momenti che ancora oggi sta vivendo la nostra economia. Il 26 febbraio 2013 il Corriere della Sera, in un editoriale sui risultati delle elezioni citava: “Il Pdl ha subito l'erosione maggiore, perdendo più di 6 milioni di voti. Solo circa metà degli elettori di Berlusconi ha confermato la propria scelta di cinque anni fa”. Perdita confermata da ogni dove demoscopico.

Quindi, riferendomi alle previsioni sulla nuova Forza Italia, se è vero che 6.829.000 persone potrebbero confermare la preferenza per un nuovo orientamento post Berlusconi, è altrettanto vero che la “Federazione” di tutte le componenti dell’area della Libertà e della Solidarietà potrebbe ambire a molto di più di quel 9.406.000 voti presi dalla coalizione del centrodestra. Dovendo, infatti, tener conto anche del più di sei milioni di italiani che hanno cambiato la propria intenzione di voto o si sono astenuti, la realtà del centrodestra italiano assumerebbe la sua reale dimensione su più di 15 milioni di preferenze. Nel bene della “Federazione” cui si è fatto riferimento, è bene dunque cercare di capire a quale fascia di valori sociali appartengono quei sei milioni d’italiani e perché si sono allontanati dalla loro area di preferenza.

C’è qualcosa in più delle mere tendenze politiche, infatti, su cui vale la pena di ragionare, perché il quadro di riferimento non può essere solo ancorato a ideologie o tendenze politiche, ma va necessariamente allargato a nuove esigenze che solo un’attenta analisi di quanto accade a livello internazionale potrà darci risposte certe. Negli ultimi venti anni il contesto internazionale ha mostrato drastici segnali di “sgretolamento” di qualsiasi identità legata a ideologie di fondo o semplici argomenti valoriali. Ha più senso oggi parlare di liberismo, di essere liberali, conservatori, laburisti, repubblicani, democratici, di comunismo, socialismo, ecc., quando la crisi interna e lo scenario internazionale, in particolare il Mediterraneo, ci mostrano l’avvento di nuovi valori che difficilmente la nostra cultura di estrazione può comprendere. Dal Mar Rosso all’Atlantico, quella rivoluzione nata all’insegna della libertà e della dignità dell’uomo ha poi generato dei Governi tendenzialmente “Islamisti”, quindi con una visione tutt’altro che aperta ai due valori di riferimento evidenziati.

Certo, il processo di democratizzazione è quanto mai fluido, ma quello che stupisce è la voglia di “coabitazione” della cultura integralista con quella riformista; cioè il ritorno a valori socio-religiosi del primo Islam (700 d.C.) da coniugare con il modernismo e il modello di vita occidentale. Il Mediterraneo è stato sempre al centro dell’evoluzione dei popoli e i drammatici esiti della guerra civile siriana confermano la centralità di quest’area sull’evoluzione dei popoli. In particolare, per il cambio di strategia degli Usa nell’ultimo decennio, quel “leading from behind” attuato in Iraq, Afghanistan, Rivoluzioni arabe, Siria e Iran, l’Ue è sempre più isolata a livello internazionale e frammentata al proprio interno. Per contro, il mondo arabo si concentra, alla ricerca della propria reale identità, sul “Dialogo interculturale” tra Islam della tradizione e il modernismo di oggi. Il rifiuto di questo dialogo sfocia nei più negativi eccessi quali la guerra civile in Siria.

Se questo è vero per il nuovo “assetto” che si va disegnando in Mediterraneo, a maggior ragione lo stesso dovrebbe essere assunto anche per la cultura europea. Per contro, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Ue, Caterin Ashton, anziché guidare su un percorso comune, ha declinato ai singoli stati ogni decisione in merito a eventuali interventi in Siria. A questo punto nasce spontanea la domanda: ma se l’Italia, la Germania, così come la stragrande maggioranza dei paesi membri dell’Unione europea è contro un intervento armato occidentale per l’attuale crisi siriana, per quale motivo la Ashton ha lasciato completa libertà di manovra alla Francia interventista? Così come Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu, ha ricordato al presidente Obama che un intervento armato degli Usa in Siria non può prescindere da una delibera Onu a favore, gli stessi intenti dovrebbero essere perpetrati in ambito Ue!

Ecco quindi che si manifesta ancora una volta una chiara spinta verso un’Eurozona Stato con maggiore autorità decisionale, soprattutto per ciò che attiene la cultura di fondo della nostra Europa. Da tutto questo emergono dunque due valori di riferimento che sino ad oggi sono rimasti sconosciuti financo al nostro “inconscio” politico: il “Dialogo interculturale” e un’Europa non più intesa come Unione commerciale e monetaria, bensì come un’espressione di valori sociali che fanno capo al nostro retaggio culturale, di estrazione greca, romana e cristiana! Perseguendo questi fini unitari, il centrodestra post-Berlusconi non avrebbe dunque alcun problema a costituire quella Federazione dei partiti riformatori, liberali, popolari e moderati, cui si è fatto riferimento.

Esiste, infatti, oltre al fronte delle “astensioni” e alla nuova FI, anche quella “diaspora di destra” che, perso ogni riferimento sulla vecchia identità, è alla ricerca di nuovi “valori” in cui incominciare a credere. Serve dunque un progetto nuovo, che tenga conto con realismo del particolare contesto internazionale che ha mutato profondamente lo scenario “valoriale” tradizionale e delle particolari condizioni politiche interne, tipicamente italiane. Un’entità che sappia essere interprete di un “nuovo insieme” di movimenti, associazioni, partiti e quant’altro possa essere identificato anche con lo scontento generalizzato della nostra Italia, fornendo soluzioni concrete e immediate a cominciare dal rifiuto categorico all’impiego di altra “violenza” in una terra già dilaniata da quella che è considerata la forma di violenza più distruttiva: quella tra fratelli dello stesso sangue, la guerra civile!

(*) Fabio Ghia è membro della “Comunità de l’Opinione” e iscritto a “Fare per Fermare il Declino”


di Fabio Ghia (*)