venerdì 9 agosto 2013
Nei giorni successivi alla sentenza emessa dalla Cassazione, con la quale è stata confermata in modo definitivo la condanna nei riguardi del Presidente Berlusconi, considerato responsabile del reato di frode fiscale, è riemersa ed è stata riproposta la riflessione sui rapporti tra la politica e la giustizia nel nostro Paese. Per un giurista imparziale ed avveduto come il professore Ainis, il caso Berlusconi mostra che si è aperta una sfida tra la politica ed il diritto. Infatti nelle democrazie liberali ed occidentali un avversario politico deve essere sconfitto dalla politica, in un libero confronto elettorale tra le forze politiche, che si confrontano sulla base delle rispettive ed antitetiche identità ed ispirazioni ideali e culturali. Subito dopo che si è conosciuto l’esito del giudizio in cassazione, si sono ripresentati sulla scena pubblica le due fazioni, quella dei Berlusconiani e quella giustizialista degli Antiberlusconiani, che hanno, malgrado la esistenza del governo delle larghe intese sorto per chiudere un lungo periodo della storia italiana, messo in scena il solito stucchevole repertorio delle accuse e delle virulente polemiche reciproche. Per Travaglio, malgrado il Presidente Napolitano abbia invocato la riforma della giustizia, nel nostro paese la giustizia funziona, poiché Berlusconi è stato condannato.
Questa contrapposizione virulenta, come il capo dello stato ha notato in più di una occasione, dimostrando di avere senso dello stato e di interpretare il suo ruolo in modo imparziale, tra le due fazioni, in cui si è divisa la politica italiana per oltre venti anni, ha impedito che fossero approvate le riforme in materia istituzionale ed in quella economica. Ora non vi è dubbio che occorre ristabilire un riequilibrio tra il potere esecutivo e l’ordine della magistratura. Da tempo si discute sulle riforma della giustizia, senza che si sia riusciti ad individuare un punto di sintesi tra le diverse proposte avanzate dalle forze politiche. In primo luogo, in una democrazia liberale, come ha notato il professore Panebianco, è intollerabile che il CSM., organo di autogoverno della magistratura, sia diviso in correnti politiche. In secondo luogo, è giusto pretendere ed esigere che i magistrati, attraverso lo studio del diritto comparato e del diritto economico, abbiano la possibilità di acquisire le attitudini e le competenze necessarie, per essere messi in grado di valutare con piena cognizione le conseguenze delle decisioni che sono tenuti ad adottare nell’amministrazione della giurisdizione. In terzo luogo, deve essere rivista profondamente la nozione ed il senso della obbligatorietà della azione penale, poiché, anche se nell’attuale ordinamento si configura come un principio a tutela della uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, in molti casi succede che questo principio non trova concreta attuazione nella amministrazione della giustizia. Infatti molti reati, trai i più gravi per gli effetti che hanno nella nostra società, non vengono perseguiti.
Lo stesso ruolo dei Pm, investiti della responsabilità di promuovere l’azione penale, deve essere ridefinito, in modo che vi sia una netta e chiare separazione tra la funzione inquirente e quella giudicante, come avviene nelle maggiori democrazie occidentali. È grave ed ha suscitato grande sconcerto il fatto che Antonio Esposito, il quale ha presieduto il collegio che ha giudicato il Presidente Berlusconi in Cassazione, abbia rilasciato una intervista ad un giornalista de il Mattino, nella quale ha sostenuto, prima che fossero depositate le motivazioni della sentenza di condanna per frode fiscale, che il leader del centro destra fosse a conoscenza dei fondi sottratti al fisco e fatti confluire in un conto occulto all’estero. Ora queste parole di Antonio Esposito, sono apparse inopportune ed irrituali, e sono state censurate e disapprovate dal presidente della Corte di Cassazione Giorgio Santacroce. Infatti, alcuni commentatori, evocando una celebre frase pronunciata da Giolitti, statista liberale, hanno osservato che la legge si applica per il proprio nemico politico, mentre si interpreta in favore del politico amico. Non vi è dubbio, in ogni caso, che la magistratura, che per larga parte è formata da magistrati indipendenti e al di sopra di ogni sospetto, debba godere del rispetto e del sostegno della pubblica opinione, in un paese in cui dilaga la criminalità e la corruzione è diffusa in ogni ambito della vita economica e politica.
Per l’equilibrio dimostrato in questa fase convulsa e delicata, creata dalla sentenza di condanna penale di uno dei leader politici più popolari della seconda repubblica, da tutte le forze politiche, che sostengono il governo delle larghe intese, si è evitata la dissoluzione di questo equilibrio politico, in assenza del quale il Paese rischierebbe di precipitare nel caos e di perdere la credibilità internazionale, riconquistata recentemente. Proprio in questo momento, la interruzione della esperienza del governo delle larghe intese, guidato con il piglio dello statista europeo da Enrico Letta, come ha notato responsabilmente l’onorevole Fassina, comporterebbe il commissariamento dell’Italia da parte della Troika, formata dalla Bce, dal fondo monetario internazionale e dall’Unione Europea. Inoltre è impensabile, malgrado i falchi presenti sia nel Pdl e sia nel PD non escludano il ricorso al voto, pensare di ricorrere alle elezioni anticipate senza avere modificato radicalmente la legge elettorale, conosciuta come il Porcellum. Proprio su questa legge elettorale, attualmente in vigore, che presenta più di un vizio di costituzionalità e non garantisce la rappresentanza democratica in modo efficace, visto che gli elettori non possono scegliere i loro rappresentanti, si dovrà il prossimo mese di dicembre pronunciare la corte Costituzionale.
Questo fatto dovrà indurre le forze politiche a ricercare un accordo per dare vita ad un nuovo sistema elettorale, che sappia conciliare la rappresentanza democratica con la governabilità. Se in questo momento, per effetto della sentenza della cassazione il centro destra rischia di perdere la propria leadership carismatica, fatto mai accaduto in una democrazia liberale ed occidentale, il Pd si trova invischiato in una discussione infinita sulle regole con cui scegliere il nuovo segretario ed il candidato premier. Infatti, come ha notato Fabrizio Rondolino sulla Stampa di domenica scorsa, la sentenza di condanna di Berlusconi rischia di produrre effetti devastanti anche su questo partito. L’identità di questo partito, definito da Massimo D’Alema un amalgama malriuscito, è debole e per alcuni osservatori in buona parte fondata sull’antiberlusconismo. Al suo interno vi è chi si identifica con il governo delle larghe intese, che ha nel presidente Napolitano il suo referente politico ed istituzionale.
Poi vi è la posizione di Matteo Renzi, tentato di utilizzare l’antiberlusconismo, pur di arrivare alla fine della esperienza del governo Letta, sostenuto dalla anomala maggioranza, e rendere ineluttabile il voto anticipato ed accreditarsi come il nuovo leader del centro sinistra. Infine nel Pd esiste la posizione ideale e culturale di chi, appartenendo alla sinistra storica, sogna e vagheggia la formazione di una nuova formazione che sia di sinistra e riformista, come Barca e Cuperlo. In ogni caso si spera, come ha con grande realismo osservato in una bella intervista rilasciata al Corriere della Sera Giuliano Ferrara domenica scorsa, che una sentenza di condanna di un grande leader politico come il Presidente Berlusconi, non provochi la caduta del governo, proprio mentre si intravvede la fine della lunga e dolorosa recessione economica.
di Giuseppe Talarico