sabato 13 luglio 2013
(*) dopo le introduzioni di Facchinetti e Diaconale, pubblichiamo per intero gli interventi degli altri relatori alla presentazione dell’associazione “La Comunità de L’Opinione”, 4 Luglio 2013)
Alessandro Meluzzi (Psichiatra ed ex parlamentare)
Condividendo pienamente, parola per parola, concetto per concetto, quanto esposto da Arturo Diaconale nel suo intervento d’apertura, sono invece totalmente pessimista sui presupposti e sugli esiti del suo ragionamento. E questo, per una ragione logica, prima ancora che ontologica o etica. Perché, anche per la Politica vale il detto “Natura facit saltus”. L’analisi corretta di Arturo sulla diagnosi, la trovo molto ottimista sulla prognosi del paziente, perché questa disperata, consolatoria, passionale, violenta, luminosa, sapiente, incondizionata fiducia nella Ragione e nelle possibilità delle scelte della politica, mi sembra, invece, invece radicalmente negata da un’analisi razionale e -non razionalista- di ciò che è sotto gli occhi di tutti, per quanto riguarda gli esiti, la natura e il decorso della malattia del nostro sistema-Paese, che considero, sostanzialmente, “irriformabile”! Diaconale stesso, con quella sigla -dal vago sapore terroristico- SBA (Stato Burocratico Assistenziale, che riecheggia il “SIM” -Stato Imperialistico delle Multinazionali- delle Br), ha denunciato il disastro di un welfare pervasivo, totalmente in grado di autoalimentarsi, come le metastasi dei tumori. Lo stato di questo Paese è, infatti, assimilabile, a mio giudizio, a quello di un malato terminale metastizzato, devastato dal cancro. Nei confronti di questo “SBA” ogni interveto terapeutico è destinato a rivelarsi vano o inefficace, o di breve durata, per impedire il decesso del malato. Ho la sensazione che l’analisi condotta da Arturo per l’insopprimibilità delle Province, valga per tutto il resto! Si fa una legge-manifesto, per sciogliere le Province (alle quali gli Italiani sembrano piuttosto affezionati: dai tempi di Mussolini, quando una cittadina diventava Provincia si suonavano le campane!), e nulla accade! Però, la politica aveva our deciso di scioglierle, le Province.. E, fin qui, tutto bene.. Ma, se più del 90% del bilancio di quegli Enti sopprimendi è destinato agli stipendi (così come, grosso modo, quello della Sanità..), nel momento in cui gli impiegati pubblici non possono essere mandati a casa e sono inamovibili [situazione, quest’ultima, che vale per tutta la PA. NdR], mi spiegate quali economie si possono fare con questi sistemi, semplicemente accorpando tra di loro spezzoni di uffici pubblici? I risparmi conseguibili sono, in realtà, “briciole”, rispetto alle esigenze reali! Un esempio, tanto per capire.. La Asl di Alba, ritenuta un modello di efficienza nel suo campo, ha ben 1800 dipendenti, di cui la metà “amministrativi”! E questi 900 burocrati, a che cosa servono, se non a impedire agli altri (medici e personale sanitario) di lavorare?! Esiste, quindi, una tragica realtà dei numeri. Ma, allora, che cosa fare di quei 900 burocrati (che, per fortuna, lavorano poco, altrimenti intralcerebbero ancora di più il lavoro degli altri, quelli che producono veramente)?! Li rimandiamo nelle vigne? Ma, questi qua, non sono buoni nemmeno a fare una potatura! Questa sorta di “pensione d’invalidità”, che è - per loro - il rapporto di pubblico impiego, li rende “infungibili”, per qualsiasi altro lavoro nell’ambito del sistema produttivo ordinario. Quindi, la spesa per il pagamento degli stipendi del personale della PA (circa 3,5 milioni di addetti, NdR) è inaggredibile! Questa massa enorme stipendiale è d’importanza capitale in economia, pur tuttavia, perché garantisce risorse con le quali sostenere una consistente quota-parte dei consumi interni. Tutto ciò era sostenibile [la spesa dello Stato -sostanzialmente improduttiva- per il pagamento degli stipendi al personale della P.A.. NdR] in passato, grazie a un regime sostanzialmente protezionistico, con la lira come valuta nazionale, nella totale assenza di competizione globale. Altrove, oggi, i costi di sistema, per produrre beni di consumo che ci riguardano, sono pari a un decimo di quelli italiani, e ancora più inferiori in Cina e nei Paesi in via di sviluppo! Allora, si capisce come, in un sistema attuale di vasi comunicanti, valga il seguente assioma: “Tutto può cambiare valore -persino quello della vita umana-, tranne quello delle monete”. Un’ultima annotazione (in risposta a Loris): i monasteri nascono in Oriente, con Pacomio, durante gli ultimi anni dell’Impero Romano, in cui il peso della burocrazia imperiale era diventato intollerabile. All’epoca, la gente fuggiva nel deserto, sì per seguire Cristo ma, più concretamente, per sfuggire ai balzelli imperiali, alle leve militari e al crollo imminente di uno Stato-sistema! Temo che dovremo assistere alla stessa cosa, a breve, sia in Italia che, successivamente in Europa, perché il nostro sistema socio-economico è divenuto insostenibile. Vanno, quindi, bene le “testimonianze”, come quelle espresse in questo convegno, ma credo che la Politica sia immodificabile: per certi versi, la sua impotenza è tale, che non riesce perfino a decidere di spostare un.. semaforo, a causa della pervasività di sistemi normativi, di contrappesi di ogni natura. L’unico che, oggi, può spostare quel semaforo è un Pubblico Ministero che, però, di norma, si occupa di ben altro, pur essendo l’unica vera autorità rimasta in piedi. L’inaggredibilità del sistema ci impone, pertanto, un impegno di formazione, di testimonianza, di cultura, di riflessione di tipo monastico! Mi dispiace di non aver potuto parlare delle carceri, ormai divenute un contenitore improprio per malati di mente! Il mio maestro, Francesco Cossiga, sosteneva che, in Italia, c’erano solo tre Istituzioni serie: la Chiesa, il Pci e l’Arma dei Carabinieri.. Negli ultimi tempi, però le cose sono decisamente cambiate: la Chiesa ha reagito alla crisi con l’internazionalizzazione e la globalizzazione (salvandosi, così, dal declino...). Il Pci, da parte sua, non ha trovato di meglio, per reagire alla stessa crisi, che fondersi con... l’Arma dei Carabinieri! Si è creato, così, un sistema perfetto di controllo, pervasivo e totalitario e, fondamentalmente, orwelliano, facendo sì che la mancata rivoluzione di matrice marxista-leninista divenisse, in realtà, “permanente”, attraverso l’ipostatizzazione [atto che consiste nella trasformazione di un concreto in una realtà metafisica. NdR] della legalità, che oggi è intesa come processo assiomatico, e non come fatto pragmatico. In conclusione, io credo che, per uomini illuminati, come quelli presenti, non rimanga che prepararsi a una lunga stagione di testimonianza, dagli esiti politici sostanzialmente nulli!
Loris Facchinetti (Vicepresidente della Comunità)
Malgrado io condivida completamente, quanto detto da Alessandro Meluzzi, vorrei fare alcune riflessioni ulteriori. Sono convinto che - al di là della sua analisi realistica della “globalizzazione” del dramma dell’umanità - ci siano delle imponderabili possibilità, che nascono dal profondo di altre energie che ci appartengono, assieme alla Ragione, allo Spirito e all’Anima. E su questo imponderabile io credo che -non in maniera “sciamanica”, ma molto più limpida- ci siano gli anticorpi e i sintomi positivi per curare il malato che, in questo caso, a mio avviso, non è terminale, anche se le sue condizioni sono, decisamente, gravi! E queste risorse le ritroviamo nelle intelligenze, nelle capacità, che possono essere espresse da Comunità come questa, simili a “Monasteri” del pensiero della libertà.. La Storia ci insegna che abbiamo passato periodi assai peggiori di questi.. Pertanto, direi di porre maggiormente l’accento sulla capacità terapeutica che possiede ciascuno di noi tutti, quando ci ritroviamo assieme.
Daniele Capezzone (Presidente della Commissione Finanza della Camera)
Come Montale negli “Ossi di Seppia”, direi che ci vorrebbe, oggi, l’Imprevisto. Ma, lui stesso aggiunge: “Mi dicono che è stolto soltanto il dirselo”! Ringrazio Arturo Diaconale e la Comunità de L’Opinione per questa vostra iniziativa, in cui si discute di “contenuti”. In questa fase, ritengo sia giusto offrire un contributo d’intelligenza a un dibattito politico altrimenti sterile, incentrato com’è sulle polemiche di un’eterna campagna elettorale, anche in un tempo che dovrebbe essere di pace. Ritengo che la discussione politica in corso, infatti, sia molto al di sotto delle aspettative e delle esigenze del Paese, e non tenga conto dei rischi reali che l’Italia sta attraversando. Non mi riferisco soltanto - per capirci - ai rapporti sulla macroeconomia, come quello di Mediobanca, in cui si parla del rischio-Paese, a breve/medio termine (lo spread che torna a salire; i titoli del debito pubblico offerti con più alti saggi d’interesse..), quanto alla drammaticità dei dati microeconomici. Per intenderci: le rilevazioni effettuate negli ultimi quattro mesi ci dicono che la domanda e i consumi interni italiani sono, praticamente, “morti”! I dati dell’ultimo quadrimestre sui prodotti tipici della domanda interna (abbigliamento, elettrodomestici, auto, ..) indicano che l’arretramento dei consumi delle famiglie è pari al 50% in meno, rispetto al periodo analogo del 2012, che era stato -già di per sé- un anno catastrofico! Nel primo quadrimestre, in confronto con l’analogo periodo del 2012, le entrate sulle imposte indirette sono diminuite del 3,8%, mentre quelle sull’Iva sono scese del 7,8%. Miracolosamente, il sistema delle imprese sta ancora in piedi, malgrado dati così negativi.. Tutto questo avviene all’interno di un perimetro ben più ampio, come quello dello spazio comune europeo, i cui leader sembrano marciare compatti verso il baratro, senza nessuna capacità di invertire la rotta! Come? Magari concedendo un po’ di respiro ai Paesi membri in difficoltà, attraverso l’attenuazione dei rigori di Maastricht o, in alternativa, facendo della Bce un prestatore di ultima istanza.. Per l’Europa, la crisi è come se non ci fosse! Siamo alla manutenzione dell’esistente! Molti si sono rallegrati per la concessione che è stata fatta all’Italia di uno scostamento transitorio dello 0,3%, per la spesa pubblica, ferma restando la soglia del 3% nel rapporto Deficit/Pil. Scostamento che abbiamo già esaurito fin da ora! Ma se ci fossero margini per ulteriori investimenti, questi andranno decisi assieme a Bruxelles, in quanto co-finanziati! Considero un fatto molto positivo che, nell’ultima campagna elettorale, Berlusconi e il centrodestra abbiano formulato le proposte giuste (vedi abolizione dell’Imu sulla prima casa e il congelamento dell’Iva), che miravano a imprimere un shock positivo all’economia italiana, per favorire il rilancio della crescita. A questo Governo non si può chiedere la luna: si pretende solo che faccia qualcosa che si avvicini a quella massa critica, necessaria per produrre lo shock positivo di cui parlavamo in campagna elettorale. Solo che, oggi, non si vede nulla di tutto questo! Certo, l’immediato estinguere tutti i debiti (come sembra emergere da recenti dichiarazioni del Premier Letta), che la P.A. ha verso le imprese, sarebbe di grande aiuto. Se ne avvantaggerebbero il Pil nazionale e il gettito fiscale! Sul tavolo, oggi, ci sono almeno tre iniziative possibili, ovvero: (come già detto) onorare tutti i crediti delle imprese nei confronti della P.A.; adottare un piano di dismissioni del patrimonio pubblico (anche se l’attuale mercato immobiliare appare, ormai, saturo..); consentire lo sforamento del tetto del 3%, al fine di favorire la messa in opera di un meccanismo di sgravi fiscali (anche se, ovviamente, tale misura darebbe adito, tra un anno e mezzo, all’apertura di una nuova procedura di infrazione: nel frattempo, però, si può ragionevolmente sperare che ci saremmo un po’ ripresi). Ovviamente, tutte e tre le iniziative, di cui sopra (o una combinazione di esse), potrebbero essere messe in campo contemporaneamente.. Per quanto mi riguarda, come Presidente della Commissione Finanze (ricordo che la grande maggioranza dei componenti sono del Pd!), siamo riusciti a varare una seria riforma di Equitalia, per cui, cito a memoria: le rateizzazioni si fanno in dieci anni; la prima casa non è più pignorabile (la seconda sì, ma a partire da cartelle non inferiori a 130.000 €); i beni dell’impresa non si toccano, se non in via marginale; ecc. La prossima mossa della mia Commissione sarà l’approvazione della delega fiscale, dove all’interno ci sono tanti soldi: la riforma del catasto (che, di per se stessa, non può essere un salasso per i piccoli proprietari!); il disboscamento delle agevolazioni fiscali, sul quale, però, bisogna vigilare, affinché i recuperi vadano ad attenuare il carico reale fiscale sulle imprese. Altrimenti la semplificazione non funziona; la depenalizzazione di alcuni reati fiscali, tenuto conto che, oggi, si rischia l’avviso di garanzia per 30/50.000 €.. Ma siamo sempre lontani dallo shock di cui parlavo, che può avvenire soltanto sotto l’impulso delle tre iniziative “macro” sopra descritte. Attenzione alle trappole disseminate in provvedimenti senz’altro positivi, come quello delle ristrutturazioni: al suo interno troverete, ben occultati, aumenti dell’Iva dal 4 al 10%, per le bevande distribuite dai distributori automatici, e fino al 21% per i gadget distribuiti con prodotti editoriali, malgrado la forte crisi che attraversa l’Editoria! Nel decreto “Fare” compare, addirittura, un aumento delle accise sulla benzina, per racimolare appena 75 milioni di € in più di entrate fiscali! Da ultimo, cito il provvedimento sul lavoro, che prevede la copertura del 70% del costo relativo, attraverso nuove entrate fiscali, ottenute con l’aumento dell’anticipo degli acconti Irpef. Misura, quest’ultima, destinata a penalizzare gli autonomi, creando loro ulteriori problemi di liquidità. Speriamo di poter correggere il tutto in Parlamento, in occasione dell’approvazione delle norme citate.. Ma è insensato che la nostra forza politica si dedichi soltanto alla correzione di questi errori (seppure non così marginali..), con piccoli ritocchi e miglioramenti, lasciando che tutto ciò rimanga all’interno di un perimetro, in cui l’economia del Paese è bloccata! Occorre ragionare, di qui a settembre, lo ripeto, sulle cose “shock”, che sono in grado di cambiare gli attuali scenari depressivi. Grazie e buon lavoro.
Giovanni Guzzetta (Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico, presso l'Università di Roma “Tor Vergata”)
Alla fine di questo incontro, mi chiedo: sarò più ottimista o pessimista? Gli interventi che mi hanno preceduto mi fanno propendere per la prima ipotesi, grazie anche alla lucidità severa, con cui i diversi oratori hanno rappresentato una stessa realtà. Il loro disincanto serve proprio a disarticolare il meccanismo che nega quella realtà così sgradevole! Ci troviamo di fronte, in effetti, a una crisi radicale, profonda, che non riguarda solo le singole politiche, ma che indica -bensì- la fine di un ciclo storico per l’Italia, iniziato nel 1948. Questo lungo periodo di tempo ha coinciso con una narrazione, una chiave di lettura, un modo di interpretare ciò che siamo, ormai non più attuali. Ringrazio sinceramente Arturo per questo invito. Da parte mia, ritengo che ci sia davvero bisogno di coniugare la riflessione a un’azione concreta. Del resto, anche la Rivoluzione francese è arrivata dopo 45 anni di pensiero ideale. A noi, in verità, basterebbe molto meno di una rivoluzione, per risolvere i nostri problemi, anche se abbiamo abbondantemente superato quel termine! La nostra crisi è, di fatto, epocale, e coincide con la fine del mito dello “Stato-badante”, condiviso -in verità- con altri Paesi dell’Occidente, per i quali -però- quello stesso mito è finito dieci-venti anni fa, mentre noi ce ne stiamo accorgendo solo ora! Lo Stato-badante si fondava, in Italia, sulla congiunzione di due idee, per cui, da un lato, vigeva il convincimento che la Politica fosse, sostanzialmente, un’attività di compromesso e di consociazione tra le parti. Dall’altro, si pensava che i cittadini fossero semplicemente dei soggetti passivi, chiamati ad attendere che lo Stato-badante soddisfacesse le loro necessità. Per sopravvivere, quest’idea ha imposto costi elevatissimi ai bilanci pubblici: oggi, tutti noi siamo chiamati a saldare il conto di quell’enorme deficit pubblico, che ci è servito per coltivare il mito dello Stato-badante, per cui abbiamo indebitato noi stessi e le generazioni a venire! Ma il dramma italiano non è soltanto relativo alla scarsità di risorse finanziarie pubbliche (pur rilevante!), per mantenere questo tipo di welfare: a pesare è l’incapacità di rimuovere dall’immaginario collettivo la cultura intramontabile dello Stato-badante. Questa idea, infatti, ci ha visti coinvolti tutti quanti, per decenni, in termini di sistema-Paese, ed ha rappresentato il nostro modo di stare in una comunità di cittadini. Dobbiamo, quindi, fare un’operazione psico-antropologica di superamento del lutto, per la perdita di uno Stato-badante, che non è più in grado di badare a nulla! Direte voi: che cosa c’entra quest’analisi con l’iniziativa di riforma costituzionale, in senso presidenziale alla francese, di cui sono promotore? Semplicemente, perché tale soluzione affronta l’altro corno del problema, rimediando all’inefficienza istituzionale, che ha rappresentato il principale alibi e causa, per perseguire l’unico mito che si potesse coltivare in questo Paese: quello della spesa pubblica irresponsabile, utilizzata per accontentare tutti coloro che di questo Paese facessero parte. L’impotenza di uno Stato, incapace di prendere decisioni, di selezionare priorità, di realizzare quelle riforme più o meno strutturali che il Paese esigeva, è stata compensata dall’elemosina, sempre più esigua, che quello stesso Stato-badante ha elargito ai suoi cittadini. Ora, è tempo di interrompere questo circuito perverso, adottando, nell’immediato, tutte le misure necessarie per la nostra sopravvivenza, che vanno collegate a qualcosa di strutturale, da realizzare per il “dopo”, altrimenti ci ritroveremo in una situazione ancora peggiore di quella attuale. E questo futuro prossimo non può che essere una radicale riforma del modo di organizzare il Governo del Paese, passando dalla cultura dello Stato-badante (il cui corollario in politica sono i Partiti badanti che, ottenuta la delega dai cittadini, si assumono la responsabilità di predisporre le cose a modo loro..), a un sistema di cittadini adulti, che sono in grado di prendere decisioni, senza bisogno dei badanti. Allora, poiché in Politica decide chi governa (ricordo che la Politica non è “partecipazione”, ma “responsabilità” verso le decisioni da assumere, nell’interesse della collettività), c’è bisogno di cambiamenti radicali, che facciano saltare la cultura dello Stato-badante e dei Partiti-badanti. Per ottenere questo risultato, è necessario che i cittadini possano prendere decisioni fondamentali sulla vita del Paese, dando diretto mandato, in primo luogo, a coloro ai quali intendano affidare la responsabilità di determinare gli indirizzi della politica nazionale. In via preliminare, quindi, il Cittadino deve poter scegliere i vertici degli Esecutivi che, nelle democrazie moderne, determinano l’indirizzo della politica nazionale, insieme ai Parlamenti. Oggi, alla fine di quel ciclo iniziato nel 1948, siamo chiamati a prendere decisioni “epocali”, che ci consentano di passare da una società monopolizzata dallo Stato-badante, a un’altra fatta di cittadini adulti. Ciò vuol dire, in termini pratici, che non serve e non basta ritoccare marginalmente l’attuale Costituzione. Noi, infatti, abbiamo bisogno di un processo di riforma, le cui premesse fondative siano analoghe a quelle che servirono a far nascere, nel 1947, la Repubblica italiana. Oggi, siamo nella condizione più favorevole per farlo: tutti noi sentiamo l’esigenza di un nuovo inizio, che riattivi le energie utili a salvare questo Paese, partendo dalla considerazione oggettiva che, non solo, siamo ultra vessati, come contribuenti, ma che le nostre energie sono sottoutilizzate, per noi stessi. Se non riuscissimo a cambiare questo stato delle cose, se non riconoscessimo che i cittadini hanno il diritto a perseguire la propria felicità, secondo le proprie capacità (cito, per l’occasione, la ricorrenza della dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti, avvenuta il 4 luglio del 1756), anziché di riceverla dallo Stato-badante, allora non usciremo dalla profonda crisi che stiamo attraversando.
di redazione